#SegretiDelCuore

Dicono di me che porto sfortuna

Voci offensive e soprannomi perfidi possono far soffrire chi ne è il bersaglio. Non bisogna subire in silenzio ma reagire con forza. Perchè, oltre che un insulto discriminatorio, dire a qualcuno che porta sfiga è un reato

Marina Mannino

Giornalista

Ancora una volta mi ritrovo a piangere da sola. Un ragazzo della mia compagnia mi ha derisa dicendomi che lo sanno tutti che io porto sfiga. Si sono messi tutti a ridere ma io mi sono sentita ferita e incapace di reagire. Due amiche mi suggeriscono di ignorare questa voce su di me, ma io non ci riesco. Mi è anche capitato di vedere qualcuno che mi “passava” (ovvero, toccava con un colpetto la persona accanto per “passarle” la sfortuna che porto io).  Io non ho fatto niente di male, perché mi trattano così?

Dorotea

Che si tratti di una comitiva, di colleghi di lavoro, di compagni di classe, a volte si tende a definire le persone secondo una classificazione arbitraria, nata da qualche battuta inadeguata o da insensati pregiudizi. Così tanti si trovano affibbiate delle etichette negative: la leggera (“ci sta con tutti”), la superficiale (“è proprio scema”), il bugiardo (“s’inventa tutto”), il sempliciotto (“crede a tutto”), lo sbruffone (“si vanta di quello che non ha fatto”) la saputella (“fa la maestrina”) e anche lo iettatore (“porta sfiga”). Spesso tutto rimane sul piano dello scherzo. Ma talvolta no.

Soprannomi non del tutto innocui

Eppure, anche se i rapporti sono venati da queste etichette perfide, alla fine poi i colleghi sono legatissimi tra di loro, gli amici di una compagnia si sentono come fratelli, i compagni di classe appaiono uniti e solidali. È umano che ci si prenda in giro a vicenda per qualche caratteristica “spiacevole”, dimostrata magari in una sola occasione ma catturata al volo per definire ironicamente chi, tutto sommato, è comunque umanamente vicino. Alla fine nessuno si offende, ci si ride tutti insieme, ma c’è un epiteto che invece fa male davvero: è quello di persona che porta male, getta la sfortuna sugli altri, attira la cattiva sorte.

Non tutti sanno che è diffamazione

Che più di una definizione sia un insulto, ce lo dice anche la legge italiana: se si accusa qualcuno di essere uno iettatore si può essere denunciati per diffamazione, perché è un soprannome che offende la sensibilità di una persona. Va tenuto conto, poi, che il passaggio da superstizione a discriminazione è breve, come ci hanno dimostrato secoli di storia. Insomma, non è solo una battuta sciocca tra amici cattivelli, anche se non si è superstiziosi e se non le si dà peso.

Le conseguenze di una “voce” sciocca

È una voce perfida che può portare all’isolamento sociale di chi ne è colpito. Se a una ragazza si affibbia la nomea di porta-jella, può accadere che ben pochi abbiano poi la voglia di frequentarla. Anche se siamo nel 2023, se abbiamo l’intelligenza artificiale, ChatGpt e razzi che atterrano su Marte, il sentire comune ancora non è immune alla fascinazione del mondo magico, dall’illusione del soprannaturale, al timore di oscure e potenti forze negative che possano demolire la realtà. E alla tentazione di denigrare gli altri: gli haters vi dicono qualcosa?

Una concezione sorpassata e vecchia

Ma se si tratta di giovani generazioni, è obiettivamente stupido che si ricorra ancora a queste concezioni veramente arcaiche. La sfortuna non esiste, come non esiste la fortuna. E’ solo il modo in cui noi interpretiamo degli eventi dolorosi, proiettando fuori da noi la responsabilità e la causa di quello che ci accade di negativo. Nessuno può realmente avere il potere di attirare il male o il bene, se non nelle serie fantasy o nei rituali scherzosi di fine d’anno!

Sfoderiamo le unghie

Quindi se veniamo accusate di essere delle porta-sfiga, non sentiamoci ferite: chi condivide questa opinione e la diffonde è una persona che non merita credito né considerazione. È un (una) miserabile che non ha nient’altro a cui aggrapparsi per infastidire le sue conoscenze. Vive nel passato e prima o poi si troverà solo (o sola) nella sua pochezza mentale. Per reagire, però, possiamo tirar fuori le unghie e scherzarci su: invece di mostrarci dispiaciute, sfoderiamo battute sulla nostra potenza magica e sulle creature malvagie che possiamo evocare. Qualcuno, più credulone della media consentita, si spaventerà davvero!

Facciamo chiarezza con amiche  e amici

Però facciamo chiarezza con le persone cui teniamo davvero: comunichiamo loro il nostro disagio e la possibilità che il legame reciproco possa soffrire di questa insulsa diceria. È chiaro che non dobbiamo dimostrare un bel niente, cioè che non siamo delle pericolose menagramo, ma mettere alla prova il loro affetto per noi. E se qualcuno dimostra di credere a questa assurda etichetta, bè, c’è la magia giusta: si chiama “ciao ciao” e consiste in un taglio netto della relazione con questa persona. Perché perdere tempo a spiegare qualcosa a chi non è in grado di capirla?