Gesto antiviolenza: come si fa, come riconoscerlo e cosa fare

Cos'è Signal For Help e come riconoscere il gesto internazionale per indicare una situazione di pericolo: ecco cosa fare per aiutare le vittime di violenza

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista, redattore e copywriter. Ha accumulato esperienze in numerose redazioni, scoprendo la SEO senza perdere il suo tocco personale

Chiedere aiuto in una condizione di immediato pericolo può condurre verso due strade. Da una parte ci sono libertà e salvezza. Dall’altra, però, il rischio concreto e sanguinolento di mettere a repentaglio la propria vita e quella delle persone a vicine, come i figli.

Ciò perché chiedere aiuto spesso prevede il lasciare una traccia dietro di sé. Una scia a volte troppo facile da seguire. Una telefonata, un incontro, una ricerca online. Un grido, uno scatto improvviso, una mano alzata.

Scenari differenti per pericoli differenti. C’è chi vive con il proprio aguzzino, giorno dopo giorno, e chi si è di colpo ritrovata tra le sue mani, spesso sola seppur in mezzo a tanta gente. Non è facile comprendere quando qualcuno ha bisogno d’aiuto, il che ci porta a un altro elemento cardine. Chiedere aiuto prevede la comprensione altrui. Ecco come nasce Signal For Help, il gesto per chiedere sostegno quando si è vittima di violenza. Silenzioso, rapido, efficace e facile da celare. Eseguirlo è però solo una metà di un accordo silente con gli sguardi altrui. Comprendere e agire è l’altra.

La nascita di Signal For Help

Palmo in mostra, pollice ripiegato all’interno e quattro dita che lo avvolgono. In un secondo il gesto è compiuto e il grido, si spera, compreso. Tutto ha avuto inizio pochi anni fa, quando il mondo era alle prese con le restrizioni da coronavirus.

Per molti queste hanno rappresentato l’obbligo di rinunciare alla propria vita sociale. Per tante, invece, si sono tramutate in un crescente rischio per la propria incolumità. I casi di violenza sono aumentati, in relazione al maggior tempo trascorso in casa con il proprio “carceriere”.

Una fondazione canadese, Canadian Women’s Foundation, impegnata contro la violenza sulle donne, ha così deciso di lanciare un’iniziativa, diffondendola il più possibile online. L’eco è stata internazionale, mirando a offrire una via di fuga attraverso le videochiamate, private o di lavoro, al tempo diffusissime.

Importante sottolineare, poi, come in nessun caso questo pugno creato, nella maniera descritta, faccia riferimento a parole, singole lettere o anche concetti della lingua dei segni. In nessun caso potrà essere interpretato da qualcuno in modo differente da quello pensato. Prima del lancio della campagna, infatti, l’associazione si è rivolta a delle comunità di non udenti per ottenere un parere in merito.

Altri segnali d’aiuto

È innegabile come Signal For Help sia ormai diffuso nel mondo e rappresenti il segnale internazionale in caso di violenza domestica, e non solo. Ne esistono però altri, che sarebbe bene conoscere.

Nel Regno Unito, ad esempio, esiste un sistema con le molestie nei bar. Qualora si volesse segnalare un pericolo imminente al personale, basterà chiedere se Angela è presente. La campagna lanciata dal governo britannico ha proprio come nome “Ask for Angela”.

Qualcosa di molto simile è stato proposto negli Stati Uniti. Al bancone occorrerà chiedere un “angel shot”, per far comprendere la propria condizione. Un po’ più complessa, invece, la situazione in Francia, che dal 2015 riconosce come segnale un punto nero disegnato sul palmo della mano.

Proprio durante la pandemia, in Spagna e Belgio è stato attivato un servizio di richiesta d’aiuto in farmacia, considerando come queste fossero un’area molto frequentata: mascherina 19, precisamente “mascarilla 19” e “masque 19”, in spagnolo e francese.

Cosa fare dopo aver visto il gesto

A confronto con gli altri segni indicati, Signal For Help risulta di certo più immediato, pratico, privo di necessità di strumenti e parola. Funziona ovunque e non prevede un determinato protocollo da mettere in atto.

Una volta avvistato questo pugno che intrappola il pollice, si ha una scelta da fare. Tutto in nome di una necessaria protezione da garantire alla persona in questione. Molto cambia a seconda del rapporto che si ha con la stessa.

In caso di conoscenza o parentela, sarà di certo più semplice trovare una scusa, nell’immediato o in seguito, per trovare un momento da sole. In caso di assenza di figli o altri soggetti potenzialmente in pericolo, si potrà quindi approfittare di tale evento per allontanare la persona dal proprio aguzzino, di fatto portandola in salvo e contattando chi di dovere.

Ben diverso il discorso quando a segnalare è una perfetta sconosciuta. Chiamare un centro antiviolenza o un movimento impegnato nella lotta contro la violenza di genere è il primo step. Si potrà quindi capire il comportamento da assumere.

Intervenire d’istinto potrebbe infatti scatenare una reazione a catena pericolosa. Basti pensare a tale scenario: donna segnala il proprio pericolo, qualcuno interviene ma non è in grado di trarla in salvo. Lei si ritroverà ancora sotto il giogo del mostro, che stavolta sarà furioso per il tentativo messo in atto.

Iniziamo con il segnalare l’elenco di tutti i numeri telefonici dei centri antiviolenza della rete Di.Re, in riferimento all’intero territorio italiano. A ciò si aggiunge il numero antiviolenza e stalking 1522, sempre attivo. A seconda delle situazioni, si potrà anche contattare il numero dei carabinieri, 112, o della polizia, 113. Ciò nel caso in cui si possa attendere il tempo necessario per il loro intervento, o si abbiano riferimenti da dare come indirizzo, targa e altro.

La denuncia

Occorre comprendere, infine, quanto sia importante non sostituirsi alla persona che subisce violenza. Ciò vuol dire non imporre la propria visione e il proprio volere. Avendo un rapporto con la stessa, si potrebbe pensare di agire di testa propria e dettare le regole. Sarebbe profondamente sbagliato.

Occorre capire prima di tutto cosa lei voglia ottenere da quel gesto. Riuscire a contattarla telefonicamente e fare domande con risposte secche, “sì” e “no”, è un inizio e riduce il rischio di sollevare sospetti in casa.

“Vuoi che chiami il centro antiviolenza?”, “vuoi che chiami la polizia?”. Tutto ciò è cruciale per non accrescere il pericolo e soprattutto per non accelerare i tempi. Non è detto che la persona sia pronta a denunciare e fronteggiare l’iter che seguirà. Non ha bisogno di altri che si impongano su di lei, ma soltanto di ascolto, comprensione e coraggio.