Il diritto all’oblio di una madre che abbandona il figlio: cosa dice davvero la legge

Dopo il caso di Aprilia si torna a parlare di madri che abbandonano i figli, cosa dice la legge a riguardo

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Maria Francesca Moro

Giornalista e Lifestyle Editor

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Pubblicato: 30 Gennaio 2024 13:07

Venerdì 26 gennaio, una donna è entrata nel Pronto Soccorso di Aprilia, nella provincia laziale di Latina, e ha lasciato il figlio di circa sei mesi. Le immagini dell’abbandono, ripreso dalle telecamere dell’ospedale, sono state diffuse senza censura dalla stampa ed è partita una caccia alla madre. Ma cosa dice la legge sul diritto all’oblio di una madre che sceglie di lasciare il proprio bambino?

L’abbandono di un figlio nella legge italiana

Secondo l’articolo 591 del Codice penale, se un genitore, padre o madre che sia, abbandona un figlio che non abbia ancora compiuto i 14 anni di età, incorre nel reato di abbandono di minore e rischia una pena dai 6 mesi ai 5 anni di reclusione.

In caso di madre che abbandona il figlio neonato le circostanze sono lievemente diverse. Abbandonare il neonato, seppur questo venga ritrovato illeso, è accusata di abbandono perché responsabile di aver messo in repentaglio la vita del bambino. Se il neonato fosse lasciato in un posto pericoloso, l’accusa potrebbe essere di tentato omicidio.

Ma se una donna lascia il proprio bambino in un luogo sicuro, lontano dai pericoli, dove può essere subito ritrovato – come è ad esempio un ospedale – allora, guardando a precedenti sentenze emesse dal Tribunale italiano, è escluso il reato di abbandono.

Il diritto a partorire in anonimato

La legge italiana (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) consente alla madre, al momento del parto, di non riconoscere il bambino e lasciarlo nell’ospedale in cui è nato. In questo caso il nome della madre rimane sempre segreto e l’atto di nascita riporterà la dicitura “nato da donna che non consente di essere nominata”. Diritto concesso anche alle donne sposate.

In questi casi, alla mamma viene garantita l’assistenza dei servizi sanitari territoriali, ad esempio i consultori. Mentre il bambino è immediatamente segnalato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, che mette in moto l’apertura di un procedimento di adottabilità.  Entro circa una settimana, il bambino verrà dato in affido a una coppia in lista di attesa per l’adozione e inizierà un periodo di circa due mesi di affido pre-adottivo.

In questo arco di tempo, la madre ha il diritto di mantenere l’anonimato, ma ha la possibilità di ripensare la propria scelta e chiedere di riottenere l’affido del bambino. Sarà il Tribunale, in tal caso, a valutare quale sia la situazione che meglio possa garantire al neonato il diritto a crescere in un ambiente sano.

Le “ruote degli esposti”

Per contrastare i fenomeni di abbandono e infanticidio, molti ospedali italiani hanno riattivato quelle che un tempo si chiamavano “ruote degli esposti”. Si tratta di culle protette, poste al riparo ma al di fuori dall’ingresso principale della struttura, dove è possibile lasciare un neonato affinché lo Stato se ne prenda cura.

In questo caso, la donna non deve presentarsi in reparto e chiedere di mantenere l’anonimato, ma può semplicemente lasciare il bambino nella culla. Come nel caso del parto in anonimo, il neonato sarà prontamente dato in adozione a una famiglia ritenuta idonea.

Il figlio ha il diritto di conoscere la propria madre biologica?

Fino al 2012 a prevalere, in ogni caso, era il diritto alla segretezza della madre, prioritario di fronte a qualsiasi possibile richiesta futura del figlio biologico. Il bambino abbandonato non poteva in nessun modo risalire all’identità della genitrice se non dopo la morte di quest’ultima. Tale legge, però, si poneva in contrasto con il diritto del figlio a essere informato, sancito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Una legge precisa a riguardo, non c’è. Di volta in volta, analizzando il caso specifico, il giudice avrà la possibilità di contattare, di fronte a una richiesta del figlio, la madre che ha scelto l’anonimato, avanzando la possibilità di una revoca alla precedente scelta dell’oblio.

I diritti del padre biologico

In caso di neonati abbandonati, la famiglia di origine mantiene un ruolo primario e avrà sempre la precedenza su qualsiasi altro candidato all’adozione. La legge n. 396/2000, prevede che qualsiasi bambino possa essere riconosciuto in ospedale entro 3 giorni dalla nascita, presso in Comune entro 10 giorni dalla nascita. In questo caso, il procedimento di adottabilità viene immediatamente interrotto.

Se invece sono trascorsi più di 10 giorni dalla nascita del neonato e il procedimento di adottabilità con conseguente affido pre-adottivo è già stato avviato, i genitori biologici (tanto il padre quanto la madre) potrebbero perdere il diritto al riconoscimento. È un caso già avvenuto, nel quale il giudice ha considerato tardiva la richiesta dei genitori biologici, valutando più opportuno, per il bene del bambino, il non allontanamento dalla famiglia adottiva.

È giusto diffondere i dati della madre?

Come visto, è la legge a riconoscere a una madre il diritto all’anonimato e il mantenimento della segretezza sulla propria identità, anche verso lo stesso figlio, per tutta la vita. È dunque una gravissima violazione della privacy e dei diritti riconosciuti dalla legge la diffusione dell’identità di una madre che sceglie di abbandonare il figlio.

Di certo, si tratta di una grave violazione del codice deontologico cui dovrebbero attenersi tutti i giornalisti. Codice che, sulla carta, ha come priorità la tutela e il benessere del minore. E se la stessa legge, proprio a tutela del suo benessere, non sempre offre a un figlio la possibilità di contattare la madre biologica che ha scelto l’anonimato, come potrebbe essere un bene lo scoprirne il volto in televisione?

Non è un modo per fare il bene del minore, oltre che essere una prepotente forma di violenza nei confronti di una donna che, per qualsiasi ragione, sia arrivata alla mai facile scelta di abbandonare il proprio figlio. Gli appelli social che hanno invaso il web lo scorso anno, quando Ezio Greggio ha provato a convincere una madre che aveva lasciato il figlio in ospedale con un paio di video su Instagram, non hanno fatto cambiare idea alla donna, l’hanno soltanto mortificata.

Senza considerare che, atteggiamenti del genere, mettono non così velatamente alla gogna la scelta di usufruire di servizi come le culle in ospedale e il parto in anonimo, servizi che, ribadiamo, sono previsti e messi in atto dalla stessa legge. Alternative che proteggono e tutelano tanto la madre quanto il bambino e che, così raccontante, si trasformano per una donna in difficoltà in un rischio non minore del lasciare un neonato in un luogo non protetto.