Sin da bambine ci hanno insegnato che sbagliare è umano e che, anzi, è proprio dagli errori che possiamo imparare, migliorare e crescere. Così questi, nella nostra società, sono contemplati, accettati e perdonati. Ma a Hina no, a lei non era concesso errare. E quei continui sbagli, considerava tali da suo padre, le sono costati la vita. Così l’11 agosto del 2006, Hina Salem ha pagato il diritto di sbagliare, di sovvertire le regole familiari, di prendersi la libertà che gli era stata negata.
"Io in Pakistan sarei stato condannato, ma non a trent’anni. A trenta non è giusto. Ho ucciso mia figlia, ma questa è “mia” figlia", ha dichiarato Mohammed Saleem, 5 anni dopo il suo arresto ai giornalisti Giommaria Monti e Marco Ventura. Un'affermazione, questa, atroce e sconcertante, che però restituisce con chiarezza le condizioni di vita in cui Hina era costretta a vivere. Le stesse che ha rinnegato per vivere secondo le sue regole.
E mai scelta fu così sbagliata per Mohammed Saleem. Lui che dopo l'omicidio si è incolpato di una cosa soltanto, di essere venuto in Italia, territorio fertile di divertimento, svago e perdizione. Perché lui è certo che se fossero rimasti in Pakistan tutto questo non sarebbe successo.
E non importa che quelle rigide regole culturali non rispettate abbiano spezzato le ali a una ragazza giovane e piena di voglia di vivere, sangue del suo stesso sangue. Mohammed aveva solo un modo per interrompere quel continuo errare di sua figlia: ucciderla.
Così si snoda la vicenda di Hina Saleem che per tanto tempo ha accesso l'opinione pubblica. Con quei rimandi al delitto d'onore e la necessità di far valere delle regole culturali imposte dal capo famiglia. Perché la giovane Hina non era una persona libera, ma una proprietà della famiglia e delle sue regole. Così, non rispettandole, ha pagato con la vita.
Nata a Gujrat, in Pakistan, da genitori musulmani, Hina Saleem arriva a Sarezzo, nel Bresciano, all'età di 14 anni. I suoi genitori si erano già trasferiti qui in cerca di fortuna. Arrivata in Italia, sin da adolescente, Hina sente il bisogno di vivere la vita secondo le sue regole e si integra perfettamente con gli usi e i costumi della cultura occidentale.
Capisce preso che le rigide regole culturali che appartengono alla sua famiglia e alla sua cultura le sono d'intralcio, così scappa più volte di casa, arrivando anche a denunciare suo padre e i continui accanimenti per ogni sua scelta. Perché Hina non può uscire con i suoi coetanei o andare in discoteca, non può neanche andare a scuola. Perché i genitori per lei hanno deciso un destino diverso e all'orizzonte, per lei, c'è anche un matrimonio combinato con suo cugino che vive in Pakistan.
Passano gli anni e Hina, ormai maggiorenne, trova l'amore. Lavora in una pizzeria di Brescia e convive felicemente con Giuseppe Tempini, un operaio italiano. Ma quel sogno di libertà raggiunto non con poca fatica è destinato a interrompersi: l'11 agosto del 2006 la diciannovenne viene uccisa brutalmente dalla sua famiglia.
Attirata nella casa paterna con un pretesto, mentre sua madre e i suoi fratelli sono in Pakistan, Hina Saleem viene sgozzata e uccisa con 20 coltellate. Il suo corpo privo di vita viene seppellito nell'orto di casa con freddezza e tranquillità dai cognati, mentre il padre dirige i lavori, come ha riferito la vicina di casa.
Ad ammazzarla è stato suo padre Mohammed Saleem, insieme a Muhammad Tariq, marito della sorella della madre, e i due cognati di Hina, Zahid Mahmood e Khalid Mahmood. Tutti sono stati processati e condannati a trent'anni di carcere, tranne suo zio che ha ricevuto una condanna di soli due ani e otto mesi per aver partecipato solo alla sepoltura.
Anni dopo l'efferato omicidio, Mohammed Saleem ha concesso un'intervista ai giornalisti Giommaria Monti e Marco Ventura, autori del libro Hina. Questa è la mia vita. "In Pakistan non sarebbe successo, perché non c’è discoteca, non c’è la donna libera, non come qua, non così" ha dichiarato l'uomo "Una libertà così non va bene, troppa libertà per la donna. Anche per l’uomo". Ma di rimorso o pentimento non c'è nessuna traccia.