C’è un periodo che tutti ricordiamo con grande nostalgia, e lo fa anche chi non l’ha vissuto. Perché sono così tanti i rimandi che gli appartengono che è impossibile restare immuni dal suo fascino.
Stiamo parlando della Dolce Vita, quel periodo storico che ci rimanda indietro nel tempo, tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60, quando la vita mondana e le tendenze che appartenevano all’Italia, e più nello specifico a Roma, sembravano essere uscite dal più seducente dei film di Hollywood.
Uno stile di vita patinato, scintillante e spensierato che ha dato vita a un sogno, che ancora oggi vive e sopravvive. Lo stesso distrutto improvvisamente da uno dei casi giudiziari più celebri e discussi di quegli anni: l’omicidio della Dolce Vita.
Caso Bebawi
Era una Roma più bella e viva che mai, quella degli anni ’60. Fatta di eventi mondani, feste private, hotel di lusso e sogni straordinari. Eppure, qualcosa di inaspettato stava per succedere.
La mattina del 20 gennaio del 1964, infatti, una segretaria della società tessile Tricotex, situata nella splendente via Veneto, rinvenne il corpo senza vita del proprietario dell’azienda: Farouk Chourbagi. Appena 27enne, il giovane uomo, era stato ucciso con quattro colpi di pistola. Il suo volto, invece, era stato sfigurato con l’acido solforico.
Quel giorno non moriva solo un giovane imprenditore, ma uno degli emblemi della Dolce Vita romana. Farouk Chourbagi, infatti, era uno dei protagonisti della mondanità capitolina e sua era la fama di rubacuori. Aveva numerose amanti, più o meno segrete, ed è su quelle che si concentrò la polizia ipotizzando, da subito, un delitto a sfondo passionale.
Le indagini si diressero soprattutto verso Gabrielle Bebawi, una ragazza di origini egiziane. Fu la stessa segretaria che ritrovò il corpo a parlare di lei agli inquirenti, raccontando che alcuni giorni prima aveva sentito l’imprenditore discutere con la donna.
La morte di Farouk Chourbagi fece velocemente il giro del BelPaese, attirando l’attenzione dei media e quella dell’opinione pubblica: nasceva così il caso Bebawi.
L’omicidio della Dolce Vita
La pista seguita dagli inquirenti si rivelò subito quella giusta. Dalle indagini emerse infatti che proprio nel giorno della morte di Chourbagi, secondo la polizia avvenuta sabato 18 gennaio nel tardo pomeriggio, Gabrielle Bebawi e suo marito Youssef si trovavano a Roma. I due, arrivati dalla Svizzera, restarono nella capitale solo per qualche ora prima di raggiungere Napoli.
Gli inquirenti scoprirono inoltre, che proprio prima di partire, Gabrielle Bebawi avesse acquistato un flacone di vetriolo, lo stesso prodotto utilizzato per sfigurare il volto di Chourbagi. Fu allora, dopo un lungo interrogatorio, che Youssef Bebawi confessò agli inquirenti che era stata sua moglie a uccidere l’imprenditore. Lei, d’altro canto, tentò di scagionarsi da quell’accusa puntando il dito sul marito.
Il processo fu lungo e controverso, soprattutto perché per tutta la sua durata i coniugi Bebawi continuarono ad accusarsi l’uno con l’altra. Il processo di primo grado si concluse con l’assoluzione di entrambi per mancanza di prove, ma in appello la coppia fu condannata al carcere: 22 anni per Youssef e 20 per Gabrielle. Ma per ottenere giustizia, ormai ,era troppo tardi: i coniugi, infatti, erano fuggiti all’estero e non era più possibile chiedere l’estradizione. Finiva così il sogno della Dolce Vita.