Le tragedie sono fatte di storie: dolorose come schiaffi la cui impronta bisognerebbe non dimenticare mai. Le tragedie sono fatte di numeri, perché restituiscono la misura degli eventi.
La strage dei migranti di Lampedusa è uno di quei momenti che dovrebbero rimanere impressi per sempre, che a imperitura memoria devono restare nella nostra mente, perché sono il ricordo di come la fuga verso la libertà possa diventare una prigione eterna.
Noi, del resto, abbiamo solo avuto la fortuna di nascere nella parte “giusta” del mondo. Che poi, anche questa definizione, non è corretta: non c’è un luogo giusto e uno sbagliato, non c’è un posto più bello e uno più brutto, ma c’è solo un tempo, un’epoca, un momento. Siamo nati nel momento e nel posto giusto, ma solo perché la vita è andata così. Non dovrebbe essere difficile, in questo modo, immedesimarsi nelle storie di altri, di persone che – invece – hanno dovuto scegliere la fuga. Magari pagandola a caro prezzo: prima in termini di denaro e poi, molto peggio, con la vita.
E questo è uno dei tanti motivi perché non si deve dimenticare. Era il 3 ottobre del 2013 e questa storia, purtroppo, non si conclude con un lieto fine.
3 ottobre 2013: cronaca di una tragedia
Abbiamo detto che la storia è fatta di date, numeri, ricorrenze, momenti. Quella della tragedia di Lampedusa ha una data, 3 ottobre 2013, e delle cifre che fanno tremare le mani solo a scriverle: oltre 500, 368, 48, 20.
E delle ricorrenze, perché da allora in ricordo viene celebrata la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. Che, dieci anni fa, erano state 368, su oltre 500 persone (quasi tutte di nazionalità Eritrea) che erano partite su un barcone di 20 metri. Queste persone erano state 48 ore in mare, stipate in pochissimo spazio, in un viaggio che per loro doveva essere un inizio, ma che per molti è stato solo la fine. Tragica, sbagliata, ingiusta. Il natante su cui erano stati fatti salire, infatti, si è inabissato davanti all’Isola dei Conigli. A Lampedusa.
Numeri, storie, vite spezzate: questa tragedia non è stata la prima e neppure l’ultima, cronache recenti raccontano di tanti altri episodi, di altre morti, di altri drammi che hanno scosso e colpito l’opinione pubblica.
Ma torniamo a quel 2013, a quando il peschereccio è partito dal porto libico di Misurata. Una barca carica di persone, erano le 3.15 di notte quando i motori si sono fermati a circa mezzo miglio dalle coste di Lampedusa. Secondo i racconti ci sono stati momenti di panico, forse anche causati da un fuoco acceso per lanciare una richiesta di aiuto ad altre imbarcazioni. Molti si sono gettati in mare, la barca è colata a picco. Sono morti donne, bambini e uomini. Sono stati solamente 155 i superstiti, venti le persone ancora disperse. E poi il dolore, tanto dolore. Un “Mai più!” detto all’epoca, che però non si è avverato. La strage, infatti, è continuata.
Morti in mare, i numeri
Quella della morte dei migranti in mare è una tragedia che sembra non avere fine. Non bisogna andare molto indietro nel tempo per tornare alla spiaggia dello Steccato di Cutro: era febbraio 2023 e un’imbarcazione si è spezzata nel mare calabrese. Tantissime le vittime, indefinibile il dolore, un po’ emerge dalle immagini del fotogiornalista Roberto Salomone che sono dure, crude, fanno male: ma sono necessarie perché non fanno girare dall’altra parte.
A tracciare un terribile bilancio delle morti in mare è Medici Senza Frontiere che, in una nota riportata dall’agenzia Dire, spiega: “A dieci anni dalla tragedia di Lampedusa, il susseguirsi di naufragi e stragi in mare e le almeno 28.000 persone morte o disperse nelle acque del Mediterraneo dal 2014 sembrano non essere ancora sufficienti per convincere l’Unione europea e il governo italiano ad un cambio di approccio. Al contrario, il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013 ha segnato l’inizio di una conta sempre più numerosa di morti in mare e di una serie di misure inefficaci e disumane a discapito di vite umane”.
Poi prosegue citando l’operazione di ricerca e soccorso Mare Nostrum, che ha avuto una durata di poco più di un anno. A seguire, poi, vengono ricordati altri tragici incidenti: “Tra gli altri, il naufragio nel Canale di Sicilia dell’aprile 2015 in cui morirono centinaia di persone, la strage di Cutro nel febbraio 2023, con oltre 90 vittime, e il naufragio di Pylos a giugno 2023 che uccise oltre 500 persone tra uomini, donne e bambini”.
Medici Senza Frontiere sottolinea, tra le altre cose, la necessità di un intervento: “Un’azione di ricerca e soccorso su iniziativa degli Stati membri europei è non solo necessaria ma indispensabile e urgente”.
Commemorazioni e la nascita della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione
Il 3 ottobre viene commemorata ogni anno la strage avvenuta nel 2013 con diverse iniziative, tra le tante a un decennio di distanza colpisce un’installazione in Darsena a Milano: dall’acqua emergono mani di ogni età tese verso il cielo accanto a una barca rovesciata e a tantissimi fiori, un’iniziativa del Municipio 6 di Milano. Un modo per non dimenticare.
E poi i tantissimi momenti di ricordo e riflessione organizzati in tutta Italia, compresa Lampedusa dove ogni anno vengono organizzate le celebrazioni dal Comitato 3 ottobre: quest’anno una serie di eventi a partire dal 30 settembre e fino alla data dalla tragedia. Il comitato è: “Un’organizzazione senza scopo di lucro” – si legge sul sito – “Che ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi dell’inclusione e dell’accoglienza”. Lo fa attraverso il dialogo e coinvolgendo cittadini, studenti e istituzioni.
In memoria di quel tragico evento, inoltre, è stata istituita la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione: il 15 aprile 2015 la Camera ne ha approvato l’istituzione, decisione poi ratificata il 16 marzo dell’anno successivo dal Senato. Come riportato sul sito del ministero dell’Interno questa commemorazione è stata stabilita per ricordare chi “Ha perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria”.
Un importante momento di riflessione per tutti, un’occasione per informarsi e per capire cosa accade nel Mediterraneo. Affinché non accada mai più.