Nel 1971, nel suo libro Blaming the victim, lo psicologo statunitense William Ryan parla per la prima volta di colpevolizzazione della vittima. Un tema, quello del victim blaming, estremamente attuale che emerge prepotentemente e drammaticamente nei più recenti casi di cronaca, quelli dove le vittime di violenza e di stupro vengono accusate, senza pietà o remora alcuna, di aver causato o favorito in qualche modo la ferocia subita.
I capi d’imputazione sono tanti e diversi, ma ormai e purtroppo li conosciamo a memoria. Se una donna viene violentata è perché “Se l’è cercata”, perché il suo abbigliamento era troppo provocatorio, perché ha fatto intendere che volesse andare oltre. Perché è una poco di buono. Tutta colpa della perdita dei valori della quale la nostra società è accusata? Niente affatto!
Le ragioni di questi pregiudizi, che rappresentano oggi un’eredità ingombrante e insostenibile, affondano le radici in tempi lontani. Basti pensare che il pensiero imperante oggi giorno era sostenuto anche da Erodoto: “Ora, il rapire donne è considerato azione da malfattori, ma il preoccuparsi di donne rapite è azione da dissennati, mentre da saggi è il non darsi delle rapite alcun pensiero, perché è chiaro che se non avessero voluto non sarebbero state rapite” (Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, 1991).
Senza scomodare l’antica Grecia, possiamo dare uno sguardo ai più discussi casi di cronaca. Capitoli neri che scavano ferite nella storia del nostro Paese e dell’umanità, ma che è doveroso analizzare e raccontare affinché le cose cambino, e lo facciano per davvero. Affinché persone come Pina Siracusa, violentata brutalmente dal branco, non vengano più colpevolizzate e condannate nelle intenzioni e nelle responsabilità che, è bene ricordare, sono imputabili solo ed esclusivamente ai carnefici.
Pina Siracusa: violentata dal branco
Non tutti ricordano la storia di Pina Siracusa, alcuni non la conoscono neanche. Eppure quel copione dell’orrore del 1988, assomiglia nella sua sceneggiatura ai più recenti casi di violenza e stupro. Pina aveva 21 anni, all’epoca dei fatti, e come tutte le sue coetanee grandi sogni per il futuro. Ma quelli gli sono stati strappati via da chi si arrogato un diritto inesistente, quello di scegliere per qualcun altro. La sua storia, ormai dimenticata, è stata riportata in auge da Gianluca Nicoletti su La Stampa che ai tempi incontrò la ragazza: una vittima di violenza condannata dall’opinione pubblica.
È successo tutto quel lunedì di Pasquetta del 1988. La ventunenne di Mazzarino, Caltanissetta, viene invitata da alcuni ex compagni di scuola a prendere parte al tradizionale picnic. Le assicurano che ci sono anche altre ragazze e lei decide di raggiungerli, ma una volta arrivata al casolare si accorge di essere da sola. Loro sono tanti e non perdono tempo in convenevoli.
La portano all’interno della cascina, proprio lì dove alcuni materassi giacciono sul suolo. Pina capisce di essere in trappola, di non avere via d’uscita eppure ci prova a scappare, lottando con tutte le sue forze. Ma non ce la fa e loro iniziano a violentarla, a turno e più volte. Altri ragazzi, allertati da chi ha già consumato l’orrore, vengono invitati a partecipare alla “Festa”. Sì, è questo per loro, solo una festa. Il branco è al completo, ma non gli basta aver già violato il corpo e l’anima di quella ragazza, loro vogliono annientarla.
Il tempo scorre veloce per loro, che si danno il cambio, che vanno e poi tornano. Troppo lentamente, invece, scorrono quelle ore per Pina che ormai, inerme e priva di sensi, non può più fare niente. Alla fine di quella giornata 15 ragazzi, di cui 11 minorenni, avranno violentato barbaramente Pina.
La denuncia
A fine serata la ragazza viene riaccompagnata nei pressi della sua abitazione, dove vive con i genitori e sua sorella. Si sente sporca, fuori e dentro, e le ferite dell’anima sono ben visibili anche sul suo corpo. Resta a casa, lo fa per giorni, deve capire, elaborare. Deve agire. Nonostante le minacce da parte degli stupratori, fa suo il coraggio e racconta quello che è accaduto ai genitori e poi ai Carabinieri.
Si reca nella caserma di Mazzarino e denuncia tutti, fa nomi e cognomi: sarà la giustizia, da ora in poi, a fare il suo corso. Ma a pochi giorni dall’episodio succede qualcosa di inaspettato. Nel comune di Caltanissetta la voce dell’accaduto si diffonde rapidamente e al contrario di quanto si può immaginare, la solidarietà nei confronti di una ragazza brutalmente violata viene a mancare.
Prima le famiglie dei ragazzi, che difendono i loro figli delle accuse, che danno la colpa a lei, alla vittima. Poi tutti gli altri: quei giovani provengono tutti da famiglie rispettabili, non avrebbero mai commesso una violenza del genere. Al massimo, dicono, si sono solo divertiti con una donna adulta e consenziente. Ma le cose sono andate molto diversamente da quella narrazione distopica che i fautori del victim blaming portano avanti.
La colpevolizzazione della vittima continua, e passa per il suo status sociale, per il suo essere ragazza semplice, umile e povera. La chiamano “Pina la babba“, l’accusano di aver peccato di ingenuità. Di essersi fidata delle persone sbagliate: anche quella è una colpa. Poi, come sempre, l’attenzione si sposta sui ragazzi, sulla loro intenzionalità. Sulla loro difesa portata avanti in primis dalle famiglie e da molti cittadini di Mazzarino.
La voce del sindaco Rocco Anzaldi, però, si alza tra le altre. Lui crede a Pina e vuole che quell’azione sia condannata. Il caso, così, attira l’attenzione di tutto il Paese.
La condanna
Inizia il processo, ma non la presa di coscienza. I ragazzi affrontano l’accusa con leggerezza: in tribunale ridono, si legge sui giornali del tempo. Ma alla fine la giustizia fa il suo corso, anche se la pena è tanto, troppo lieve. Ma quelli sono i tempi in cui la violenza sessuale è ancora considerata un crimine contro la morale. Ci vorrà la legge del 15 febbraio del 1996 per arrivare a considerare lo stupro come un crimine contro la persona.
I 15 vengono accusati di violenza e condannati a cinque anni di carcere, poi ridotti dalla Corte d’Appello di Caltanissetta. È una sentenza che sconvolge le famiglie, che si aspettavano una giustizia distorta e a loro immagine e somiglianza. Pina ha fatto condannare ingiustamente dei ragazzi innocenti, è ancora questo che in molti sostengono. La ragazza lascia Mazzarino con la speranza di poter ricominciare altrove.
Di Pina nessuno parlerà più per molto tempo, fatta eccezione di quel 1991 quando, invitata a partecipare alla kermesse di Miss Italia, verrà eletta Miss Coraggio.