C’era una volta il mito dell’orologio biologico. Ora è una trappola

Nei tempi in cui le donne erano considerate complete solo se madri, il mito dell'orologio biologico si è trasformato in una trappola perfetta

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Ogni giorno le donne subiscono pressioni esterne e interne su ciò che ne sarà della loro vita. A essere messo in discussione, ancora oggi, è il nostro ruolo nella società. Anche se ci affanniamo a cambiare le cose e a vivere secondo le nostre regole, è impossibile negare l’influenza che hanno le opinioni e i consigli non richiesti da parte dei gruppi sociali che frequentiamo.

Del resto non è colpa loro. È la società, di matrice patriarcale e maschilista, che li ha costretti a giudicarci come donne complete solo se ci atteniamo a determinati ruoli, come quello di essere mogli, ma soprattutto madri.

E la maternità, lo sappiamo, è un campo insidioso nel quale non ci addentriamo sempre volentieri. Perché non sempre è così semplice accettare, o far capire agli altri, che la scelta di diventare genitori, o di non esserlo, è soggettiva, unica e personale e nessuno dovrebbe mai giudicarla. Ma oltre alle pressioni esterne, che inevitabilmente fanno capolino nella nostra vita, dobbiamo fare i conti anche un’altra sollecitazione che viene da dentro, dal nostro orologio biologico.

Cos’è l’orologio biologico e perché fa così paura

Una premessa è doverosa: il famoso orologio biologico di cui tutti ci parlano quando ci avviciniamo agli “anta”, per ricordarci che per diventare madri c’è una scadenza, non riguarda solo le donne, ma anche la controparte maschile. Sono tantissimi, infatti, gli studi che hanno portato alla luce una realtà che troppo spesso è stata omessa, ovvero che anche la capacità riproduttiva dell’uomo diminuisce in maniera progressiva con l’età.

Eppure, la sensazione di avere un corpo che dopo i 30 anni si trasforma in una bomba a orologeria, è qualcosa che appartiene molto più a noi donne che agli uomini. Perché è questo che ci hanno detto da sempre, e noi gli abbiamo creduto.

Un recente articolo di Moria Weigel, autrice e dottoranda presso l’Università di Harvard, apparso sul The Guardian, ha indagato le origini di questa scadenza che crea ansia e stress soprattutto delle donne, rivelando che si tratta di una trappola abbastanza recente. Non che quella della pressione sul diventare mamma sia una storia nuova, intendiamoci, perché i fatti ci insegnano e confermano che nei secoli scorsi l’età media in cui si procreava era molto più bassa.

Ma è vera anche un’altra cosa, e cioè che prima alle donne non venivano date molte altre scelte, se non quella di sposarsi e avere figli. Certo, c’erano i casi eccezionali, quelli di donne ribelli che osavano sfidare il patriarcato e la società, le stesse che venivano addirittura allontanate, giudicate o considerate delle streghe. Ma quella, s’intende, è un’altra storia.

L’orologio biologico, dicevamo, è un’invenzione recente. Erano gli anni ’70 quando la metafora veniva coniata da Richard Cohen, autore di un articolo sul Washington Post intitolato “Le lancette dell’orologio corrono per le donne in carriera”. In quell’occasione, l’autore, aveva riportato tutta una serie di interviste fatte a donne lavoratrici che, secondo lui, desideravano avere un figlio. Un desiderio che, indipendentemente dalle relazioni sentimentali in atto, sembrava crescere a dismisura con il passare degli anni.

Come una sorta di isteria collettiva, questo desiderio sembrava essersi appropriato di tutte le donne che avevano scelto di sacrificare la maternità per il lavoro. Ma lo volevano davvero o si trattava di un’aspettativa della società che in qualche modo aveva generato un bisogno? Quello che è certo è che più le natalità diminuivano, più veniva naturale dare la colpa alle donne e alle loro scelte di posticipare la gravidanza per inseguire lavoro, carriera e successo.

Il mito dell’orologio biologico

Nei tempi in cui le donne erano considerate complete solo se madri, la storia dell’orologio biologico sembrava perfetta per riportarle sulla retta via. Questo bastava per ricordare loro di non allontanarsi troppo da quei ruoli ben definiti che la società aveva scelto per loro da secoli, gli unici in possesso della controparte femminile per autodeterminarsi.

Poi le cose sono cambiate, ovviamente, e le orde di movimenti femministi hanno iniziato a rivendicare tutta una serie di diritti e trattamenti che agli uomini venivano concessi naturalmente. Finalmente anche le donne potevano amare liberamente, viaggiare e fare le loro esperienze, potevano anche studiare e lavorare, e persino osare di affermarsi nella carriera. Qualcuno ha storto il naso, è vero, ma ormai i passi avanti erano stati compiuti e nessuno avrebbe più rinunciato a quegli obiettivi faticosamente raggiunti.

E cosa meglio di un orologio biologico poteva fermare l’ascesa delle donne in questo senso? L’ansia del ticchettio così è stata diffusa. Le donne potevano, e possono, ancora lavorare e ambire a carriere professionali, purché abbiano sempre chiaro in mente che a un certo punto della loro vita devono prendere una decisione: diventare madre o non farlo più. Perché poi diventa troppo tardi, perché poi non è più possibile vivere la gioia di diventare genitore e, ancora, si contribuisce a diminuire la natalità. E un Paese senza nascite è destinato a morire, almeno è questo che dicono quando parlano dell’Italia come il Paese più vecchio del mondo, secondo solo al Giappone.

La colpa, quindi, è ancora e sempre delle donne. Certo, non possiamo negare che dietro al mito dell’orologio biologico ci sia una verità, perché come conferma la stessa scienza con l’avanzare dell’età le possibilità di avere un bambino diminuiscono, ma il fatto che sia proprio il corpo della donna a essere stato identificato come una bomba a orologeria ci sembra una questione molto più sociale che naturale.

In un periodo storico durante il quale gli uomini stanno attraversando forse la loro più grande e personale crisi del secolo, quella che vede le donne riuscire ad autodeterminarsi, ci sembra più che plausibile che il mito dell’orologio biologico possa essere utilizzato per enfatizzare il vecchio e nostalgico stereotipo sulle donne. Basta guardarci intorno per trovare la conferma: avete mai sentito qualcuno dire a un uomo che è tardi per diventare padre? Avete mai sentito accostare le parole scadenza e fertilità in un dialogo tra maschi? La risposta è no, perché quello dell’orologio biologico è sempre e solo stato un problema femminile.

Cose sulla fertilità

L’orologio biologico, se così vogliamo chiamarlo, esiste. Per le donne così come per gli uomini, perché è indubbio il fatto che con il trascorrere del tempo gli ovuli di una donna diminuiscono. Ma la scienza conferma che a diminuire è anche la fertilità maschile con l’avanzare dell’età. Ovviamente ci sono casi eccezionali e situazioni soggettive, ma considerare la famosa scadenza naturale come un qualcosa di esclusivamente femminile è tanto sbagliato quanto fuorviante.

Sono tantissimi gli studi di settore che confermano che con l’invecchiamento la produzione di spermatozoi diminuisce e peggiora di qualità. “Se un uomo ha più di 45 anni, lui e la sua partner possono impiegare cinque volte più tempo per concepire rispetto a quanto impiegherebbero se avesse 25 anni o meno” (Gatjc, Centro di fertilità).

Di questi dati, però, se ne parla poco. Raramente incontrerete uomini seduti al tavolino di un bar a discutere sulle ipotetiche scadenze per diventare padri. Al contrario, invece, per le donne l’età si trasforma in un allarmistico problema da affrontare, acuito ancora di più dalle pressioni sociali. Eppure, secondo un report pubblicato dall’American society of reproductive medicine, condotto sulle coppie che si recano nei centri specializzati, la percentuale di infertilità delle donne è pari a quella di un uomo.

La necessità di parlare di orologio biologico anche al maschile, quindi, si rivela tanto importante quanto fondamentale per cambiare le cose, ma soprattutto per equiparare la posizione sociale di uomini e donne. Diffondere i dati, e parlarne, diventa l’unico modo che abbiamo per smettere di farci carico di una responsabilità che in realtà non è solo nostra.

Il nostro corpo non è un orologio pronto a esplodere quando si avvicina la tanto spaventosa scadenza. È solo un corpo che segue il naturale corso degli eventi, esattamente come succede negli uomini.