Gianni Brera è un’icona del giornalismo sportivo considerato padre e inventore della lingua del calcio. Nel corso della carriera ha reinventato il linguaggio di questo sport e molti dei suoi neologismi, per esempio contropiede, goleador, melina, sono di fatto entrati nel vocabolario dei cronisti. Celebre anche per i soprannomi che dava ai campioni del pallone, con i suoi racconti riusciva a toccare il cuore dei tifosi. Fuoriclasse dell’arte della scrittura, Brera è stato ed è ancora oggi, a tutti gli effetti, il più grande giornalista sportivo italiano.
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Gli esordi di Gianni Brera
Gianni Brera, all’anagrafe Giovanni Luigi Brera, nasce l’8 settembre del 1919 a San Zenone al Po in provincia di Pavia. Ultimo di cinque figli, a 13 anni viene mandato dal padre a studiare a Milano, ospitato dalla sorella maggiore Alice che fa la maestra elementare. Mentre frequenta il liceo scientifico inizia a giocare a calcio e a scrivere dei piccoli articoli a commento del campionato della Sezione Propaganda sul settimanale sportivo milanese “Lo schermo sportivo”. Si iscrive a scienze politiche all’università poi, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, è costretto a partire soldato. Diventa prima ufficiale e poi paracadutista, scrivendo in questa veste alcuni memorabili articoli per diversi giornali di provincia. A guerra finita riprende l’attività di giornalista per La Gazzetta dello Sport, che era stata soppressa dal regime fascista. Gianni Brera viene nominato responsabile del settore atletica leggera. Per occuparsi di questo sport, studia a fondo i meccanismi neuro-muscolari e psicologici del corpo umano. Le competenze acquisite, unite a un linguaggio fantasioso e geniale, contribuiscono a sviluppare la sua straordinaria capacità di raccontare il gesto sportivo con passione e trasporto.
La carriera giornalistica
Nel 1949 viene inviato al seguito del Tour de France e le sue cronache, unite ai successi di Coppi e Bartali, portano La Gazzetta dello sport a vendere un numero di copie incredibile prima di allora. A soli trentanni diventa co-direttore del giornale assieme a Giuseppe Ambrosini e punto di riferimento del giornalismo italiano. Nel 1954 scrive un articolo sulla regina Elisabetta II che genera polemiche e per questo motivo si dimette, con una decisione irrevocabile, dalla Gazzetta. Dopo un viaggio negli Usa, torna in Italia e fonda il settimanale “Sport giallo”. Poco dopo viene chiamato al “Giorno” alla direzione dei servizi sportivi. La testata si distingue per l’anticonformismo e il linguaggio più vicino al parlare quotidiano. Brera mette così a punto il suo stile basato su una grande inventiva tramite la quale crea dal nulla miriadi di neologismi. La sua fantasiosa prosa ha fatto sì che Umberto Eco definisse Brera come un “Gadda spiegato al popolo”. Nel 1976 Gianni Brera torna come editorialista alla “Gazzetta dello Sport”, poi di nuovo a “Il Giorno” fino al 1979 quando entra nella redazione del “Giornale nuovo”, fondato da Indro Montanelli. Per aumentare la tiratura del quotidiano, le cui vendite languiscono, viene lanciato il numero del lunedì, dedicato soprattutto ai servizi sportivi affidati a Gianni Brera. Nel 1982 Eugenio Scalfari lo ingaggia a La Repubblica dove resta per dieci anni.
I neologismi e la carriera in Tv
Brera resta legato a La Repubblica fino alla morte rifiutando persino un assegno in bianco da parte del Corriere della Sera. Segue tutti i principali eventi sportivi del periodo e non teme di attaccare personaggi considerati intoccabili. Ma del suo lavoro restano memorabili i neologismi coniati e i soprannomi dati agli atleti. Suoi sono i termini, oggi diventati di uso comune, contropiede, goleador, libero (il difensore senza compiti fissi di marcatura), cursore (l’esterno), melina, pretattica, prodezza, incornata, traversone (il lungo lancio in diagonale), Derby d’Italia (per Juve-Inter), centravanti atipico (una sorta di ‘falso nueve’), ma anche Eupalla (la dea protettrice del bel gioco) e ‘uccellare’ (ingannare l’avversario con una magia). Tra i soprannomi iconici ci sono invece “Rombo di tuono” per Gigi Riva, “Abatino” per Gianni Rivera, “Bonimba” per Roberto Boninsegna, “Mazzandro” per Sandro Mazzola, “Simba” per Ruud Gullit e “Cavaliere” per Silvio Berlusconi. Brera è infatti il primo a chiamare così l’allora patron del Milan perché effettivamente insignito dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro. Negli anni ’80 il giornalista inizia anche una collaborazione saltuaria e poi fissa, alla trasmissione televisiva “Il processo del lunedì”, condotta da Aldo Biscardi. Poi appare come ospite e opinionista in programmi sportivi, e perfino come conduttore sull’emittente privata Telelombardia. Il 19 dicembre del 1992 muore a causa di un incidente automobilistico.
Vita privata e curiosità su Gianni Brera
Nel 1943 ha sposato Rina Gramegna dalla quale ha avuto quattro figli: Franco (nato e morto nel 1944), il pittore Carlo, lo scrittore Paolo e il musicista Franco. Si è sempre definito un tifoso del Genoa per cui ha coniato il termine “Vecchio Balordo” che è ancora oggi annoverato fra gli appellativi con i quali i tifosi del Genoa chiamano affettuosamente la loro squadra. Secondo diversi colleghi, tra cui Gianni Mura, il realtà Brera è stato un sostenitore dell’Inter ma ha dichiarato la sua simpaia per il Genoa per evitare polemiche nell’ambiente calcistico milanese. Alla sua memoria, dal 2001 si assegna il premio Gianni Brera “Sportivo dell’Anno”. Le pipe dello scrittore sono state messe all’asta e acquistate dalla Provincia di Varese per una mostra. Le quattro macchine da scrivere meccaniche portatili appartenute a Gianni Brera, tutte di marca Olivetti, sono state donate dalla famiglia ai seguenti destinatari: Museo del calcio di Coverciano; Circolo culturale “I Navigli” di Milano; Ristorante la Quintana di Vidigulfo, in provincia di Pavia; Gianni Mura. A 4 anni ha ricevuto un calcio da una cavalla, che gli ha deformato il viso. Nel corso degli anni ‘60 Brera è diventato celebre per le sue polemiche rivolte principalmente al “Golden Boy” rossonero Gianni Rivera e, più in generale, a quei giocatori tecnici ma non combattivi, che poco aderivano alla sua filosofia calcistica. Un articolo di La Repubblica per i 30 anni dalla morte del giornalista rivela che per certi articoli dell’autore, la madre di Rivera pianse e i tifosi bruciarono le copie de “Il Giorno”, dove allora lo scrittore lavorava. Gianni Brera è stato inoltre direttore del Guerin Sportivo, testata sulla quale ha pubblicato per anni la seguitissima rubrica “L’arcimatto”, uno spazio che sfruttava per sfoggiare le proprie doti di funambolo a tutto campo, partendo da argomenti di natura calcistica per arrivare a discorrere di storia, cucina, letteratura o filosofia.