Alfredino Rampi, perché non possiamo dimenticare

Il 13 giugno 1981, dopo 3 giorni di agonia, moriva Alfredino Rampi, caduto in un pozzo incustodito. Un fatto di cronaca che commosse e cambiò l’Italia

Foto di Sara Gambero

Sara Gambero

Giornalista esperta di Spettacolo e Lifestyle

Una laurea in Lettere Moderne con indirizzo Storia del Cinema. Appassionata di libri, film e del mare, ha fatto in modo che il lavoro coincidesse con le sue passioni. Scrive da vent’anni di televisione, celebrities, costume e trend. Sempre con un occhio critico e l'altro divertito.

Pubblicato: 13 Giugno 2017 16:07Aggiornato: 18 Ottobre 2021 17:44

Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte. Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all’ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredo Rampi

(Giancarlo Santalmassi durante l’edizione straordinaria del Tg2 del 13  giugno 1981)

Il caso del piccolo Alfredino Rampi, il bambino caduto in un pozzo profondo 60 metri, vicino a Vermicino e morto dopo 3 giorni di agonia e tanti inutili tentativi di salvarlo, fu il primo vero fatto di cronaca che tenne l’Italia col fiato sospeso.

Per mezzo della diretta televisiva organizzata dalla Rai (a reti unificate, per ben 18 ore), milioni di  italiani seguirono con commozione e partecipazione l’evolversi della vicenda. Quello di Alfredino, nel bene e nel male, è stato il primo caso di dolore mediatico.

“Era diventato un reality show terrificante” scrisse Piero Badaloni.

Alfredino Rampi: tentativi di recupero
Fonte: Ansa
Alfredino Rampi: tentativi di recupero

Il viso allegro e innocente di Alfredino, quella canottiera a righe che indossava nell’unica foto che abbiamo di  lui, sono impressi ancora oggi negli occhi e nel cuore di tutti gli italiani dell’epoca. Da chi nel 1981 era madre o padre e rivedeva in Alfredino il proprio figlio, da chi era bambino ed è rimasto impressionato da quelle immagini di morte e dolore trasmesse in tv. Dalla disperazione letta negli occhi dei propri genitori.

Alfredino Rampi: la disperazione della mamma
Fonte: Ansa
Alfredino Rampi: la disperazione della mamma

La sua vicenda ha ispirato nel tempo romanzi e canzoni.

Dopo di lui ci sono stati altri casi di cronaca simili e altrettanto tragici. Ultimo in ordine di tempo quello del piccolo Adrian Costa, caduto il 1 aprile 2017 in un pozzo a Velletri. Ma Alfredino è rimasto negli occhi e nel cuore di tutti, proprio per l’aggressione mediatica della vicenda.

In tanti tentarono di estrarre il bambino dal pozzo. L’ultimo a provarci fu un volontario, che si fece calare a testa in giù nella notte tra il 12 e il 13 giugno 1981. Il suo nome era Angelo Licheri, è morto a 77 anni il 18 ottobre 2021. Licheri, detto l’Angelo di Vermicino, restò nel pozzo 45 minuti, tentando di legarlo con una corda di sicurezza. Gli pulì gli occhi e la bocca e gli parlò dolcemente nel tentativo di rassicurarlo. Ma purtroppo non riuscì a strapparlo alla morte.

Angelo Licheri dopo aver cercato di salvare Alfredino
Fonte: Ansa
Angelo Licheri dopo aver cercato di salvare Alfredino Rampi

Il caso di Alfredino è stato una sconfitta, perché alla fine il bambino è morto, nessun happy end lo ha salvato. Ma la sua vicenda, grazie all’insistenza di sua mamma Franca Rampi, ha ispirato la nascita della Protezione Civile.

Forse l’eredità di Alfredino è stata questa, la sua vicenda ci ha insegnato a non lasciare mai niente o nessuno incustodito, senza protezione. Soprattutto quello che abbiamo di più caro al mondo.

Fonte: ANSA
Angelo Licheri, “l’Angelo di Vermicino”, ultimo a calarsi nel pozzo e a provare a salvare Alfredino (Ansa)