Dopo che il pedagogista Daniele Novara e lo psicoterapeuta Alberto Pellai hanno mosso la petizione per “far sì che nessuno dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze possa possedere uno smartphone personale prima dei 14 anni e che non si possa avere un profilo sui social media prima dei 16”, petizione che ha raccolto oltre 50mila firme ed è stata presentata nei giorni scorsi in Senato, l’argomento è diventato materia di dibattito ovunque: in tv, fuori e dentro le scuole, nelle chat di classe, tra genitori e amici. Abbiamo sentito il professore Novara per fare il punto della situazione. E farci spiegare – senza mezzi termini – danni, vittime e colpevoli. Che, vi sembrerà strano, non sono i genitori.
lo smartphone perché sottrae la vita, mentre la vita si impara vivendola
Prima di tutto: a che punto è la raccolta firme?
Siamo oltre 50mila, la nostra petizione ha avuto un gran successo. Ieri c’è stata la conferenza stampa in Senato, tutti i gruppi politici sono d’accordo con la nostra idea, sono già state depositate delle iniziative di legge, si tratta solo di mettere insieme le varie idee così da poter arrivare ad un obiettivo. Vale a dire: il riconoscimento dell’età giusta in cui un minore possa iscriversi sui social. C’è un grande problema di riconoscimento dell’età, perché in teoria in Europa e in Italia il limite è fissato a 16 anni ma ciò non avviene perché è tutto basato sulla autocertificazione, che viene aggirata.
Lei dice: “Prima dei 14-15 anni, il cervello emotivo dei minori è molto vulnerabile all’ingaggio dopaminergico dei social media e dei videogiochi”. Ci può spiegare meglio cosa succede, a livello cerebrale, di così pericoloso?
Lo faccio nel modo più semplice possibile: nel nostro cervello ci sono delle aree deputate, ovvero specializzate, al “piacere”: sono quelle che promuovono e registrano il godimento, le cosiddette aree dopaminergiche. Il bambino piccolo le vive giocando con gli altri, correndo, mangiando, imparando, vivendo la sua vita da bambino. L’area del piacere, per lui, è molto ampia. Per l’adolescente è quella che afferisce alla relazione con i compagni, ai primi rapporti affettivo-sessuali; si tratta di un’area diversa da quella infantile, meno legata al gioco, più al contatto. Nel momento in cui lo smartphone, con tutti i suoi contenuti, compresi i siti porno, si sostituisce al “piacere”, impedendo che il bambino vada a giocare con i compagni o che l’adolescente si incontri e socializzi con gli amici, si crea un danno perché, sparendo le aree di crescita legate la gioco e alla socializzazione, si spegne anche la crescita. Ne scaturisce l’isolamento, come è successo negli ultimi anni. Il che, a pensarci, è paradossale, perché questi device, soprattutto lo smartphone, hanno avuto successo promettendo la connessione globale, la vittoria sull’isolamento. “Restiamo connessi” recitavano molti slogan. Mentre il risultato finale è che ci troviamo di fronte una generazione sempre più isolata. Si deve intervenire, la situazione è completamente fuori controllo e il rischio maggiore è che si comprometta la crescita delle nuove generazioni.
Ha trovato più resistenza nei genitori o nei ragazzi da quando è partita la petizione?
Le dico la verità? La vera resistenza è quella degli psicologi dell’adolescenza, sono sincero e lo affermo senza mezzi termini. Hanno continuato imperterriti a non vedere il problema e sostenere che a ragazzi e ragazze di 12-13 anni facesse bene stare ore sullo smartphone, come forma di libertà, di crescita, di autonomia, senza rendersi conto che si trattava di un paradosso. Nel momento in cui si chiudono nella loro stanza e si isolano, più che di autonomia si tratta di autolesionismo. Ecco, l’inconsapevolezza di tanti psicologi dell’adolescenza sul grave effetto lesivo degli smartphone mi lascia senza parole. Loro sono considerati esperti del settore, ma in realtà si sono infatuati anche loro degli smartphone e non si rendono conto dei danni che hanno prodotto.
Oggi, rispetto alle generazioni precedenti, nelle famiglie spesso si lavora entrambi. C’è meno tempo e possibilità di stare dietro ai (e con i) figli. La giustificazione di molti genitori è: “Il telefonino mi serve per controllare dove sono, per non lasciarli soli, è uno strumento necessario”. Cosa risponde?
Proprio ieri eravamo in Senato a parlare di questa cosa e ho detto chiaramente che lo scopo dell’iniziativa promossa da me e dal dottor Pellai è quella di fare in modo che le nuove generazioni si avvicinino adeguatamente alle nuove tecnologie, senza esserne dominati. Si possono trovare varie soluzioni per utilizzarle bene, ma la cosa che non si può, non si deve fare, è lasciare uno smartphone a un 12enne liberamente, senza limitazioni, come se fosse un suo oggetto personale. Anche perché questi smartphone sono dei veri computer portatili, non solo telefoni. In pochi secondi si può atterrare su un sito porno. Tanto che i ragazzini non rispondono quasi mai al telefono ma dicono: “Mando o manda un vocale”. Ne viene meno lo scopo che potrebbe essere utile, cioè tenere il contatto, e torniamo al discorso di prima: non ha favorito il contatto ma l’isolamento. Come si dice? “Eterogenesi”, ovvero qualcosa nato per uno scopo ma che poi si rivolta contro lo scopo per cui era nato.
Posto che si riesca a vietare il telefono agli under 14, dopo cosa succede? Perché non è che compiuti i 14 anni i rischi scompaiano…
Certo, ma va da sé che se un ragazzino fino a 14 anni non ha avuto accessibilità e confidenza, si è già salvaguardato. Poi a 15 anni si è più maturi, c’è minor rischio di manipolazione cerebrale. Come fa un bambino di 8-9 anni, preso dall’entusiasmo dopaminergico, a controllare la sua dipendenza? Lo vedo con mio nipotino, talvolta gli do il mio smartphone e gli dico: “5 minuti e poi basta, altrimenti non lo vedrai mai più”; ma se io non mettessi questo limite ovvio che lui si perderebbe, ci starebbe le ore. I videogiochi sono realizzati da fior fior di psicologi per “agganciarti” il cervello: sanno bene su quali corde, quali elementi neuro cerebrali fare presa.
Cosa direbbe ad un genitore che potrebbe replicare: “Ormai è troppo tardi, non posso più recuperare il danno fatto né levare a mio figlio un mondo che ormai è non solo il suo, ma quello dei suoi coetanei?”
Non è assolutamente troppo tardi. Questa tecnologia ha “solo” 10 anni di vita, è una goccia nella storia. Siamo totalmente in tempo, ma non dobbiamo perdere tempo. Mi creda che i genitori sono tutti con noi, non vedevano l’ora che ci fosse una iniziativa di questo tipo, che li aiutasse. Come detto ieri in Senato, non si può pretendere che i genitori facciano i poliziotti. Il semaforo rosso sulle strade lo ha messo lo Stato, mica sono stati gli automobilisti. I genitori devono educare i figli, ma non possono diventare poliziotti, è una pretesa assurda. Sono gli stessi psicologi dell’adolescenza che pretendono che i genitori facciano con i figli adolescenti quello che la società non aiuta a fare. Siamo tutti bombardati, figli e genitori, dalle aziende più grandi del mondo, colossi che hanno una capacità di persuasione e una forza pubblicitaria pazzesca. Sono pure riusciti a manipolare i claim, hanno messo in giro i famosi claim dei “nativi digitali”, dei cosiddetti “bambini touch”, Allora c’era l’idea che il progresso fosse questo. Adesso per fortuna l’aria è cambiata. Purtroppo molti specialisti, come detto, non vogliono prendere atto che l’operazione smartphone per bambini e ragazzi non solo è fallita, ma è pericolosa.
Lei quindi sta decolpevolizzando i genitori: “Non lasciamoli soli, perché sono anche loro vittime”?
Certo che sono anche loro vittime della società. Se devo trovare dei colpevoli sono proprio loro, questi specialisti che hanno spinto i genitori a pensare che fosse una cosa giusta. Molti di loro sono anche in malafede, perché sono sponsorizzati dalle aziende in questione. Mentre i genitori vanno solo aiutati.