Attrice, cantante, autrice e regista, Caroline Pagani è un’artista poliedrica e completa che fin da bambina ha frequentato il mondo dello spettacolo grazie a un fratello musicista e cantautore, Herbert Pagani, figura di culto della canzone italiana, cui lei ha dedicato un doppio album, Pagani per Pagani che ha vinto la Targa Tenco 2025.
C’è un filo rosso che attraversa l’opera di Caroline Pagani: la memoria come forma d’amore, la voce come strumento di resistenza e di libertà.
Il tuo doppio album Pagani per Pagani è stato premiato con la Targa Tenco 2025 come Miglior Album a Progetto: che cosa ha significato per te questo riconoscimento?
È stata una grande gioia. Soprattutto perché significa che il disco è stato ascoltato: e quando un disco viene ascoltato, esiste. È come un attore senza pubblico, senza ascolto, non c’è vita. Mi piacerebbe che questo riconoscimento aiutasse anche le persone a scoprire o riscoprire le canzoni di mio fratello Herbert, che sono ancora attualissime. Il tema del Tenco di quest’anno era la memoria, e per me è stato un modo per onorarla, per restituire voce a un artista che ha saputo parlare di umanità come pochi altri. Spero che questo progetto non si fermi qua. Vorrei realizzare un altro album dove inserire le canzoni di mio fratello che sono rimaste fuori.
Pagani per Pagani è un doppio album con cui hai voluto omaggiare tuo fratello Herbert Pagani: come è nata l’idea di realizzarlo?
È un’idea che mi accompagnava da tempo, insieme al desiderio di realizzare uno spettacolo su di lui. Durante la scrittura del testo teatrale ho pensato di affiancarlo a un disco che ne ampliasse il racconto, con arrangiamenti contemporanei ma fedeli allo spirito originale delle sue canzoni.
Qual è, secondo te, il lascito artistico più importante di Herbert Pagani?
I temi che affrontava: l’ambiente, la solitudine, l’alienazione, il dialogo tra i popoli, l’amore in tutte le sue forme. Parlava di umanità, di pace, di responsabilità. In Megalopolis, un’opera rock che ha avuto molto successo in Francia, anticipava i pericoli del cambiamento climatico e della tecnologia disumanizzante. Le sue canzoni, pur poetiche e visionarie, restano dirette e commoventi. Le sue canzoni sono un invito a non perdere la propria umanità. Aveva un linguaggio poetico ma accessibile, capace di emozionare chiunque. Prendi Albergo a ore: una canzone tragica, che parla di due amanti clandestini che si tolgono la vita, ma con una delicatezza tale da trasformare il dolore in poesia.

Credi che oggi ci sia meno attenzione verso il cantautorato?
Forse la musica commerciale domina ancora ma penso che ci sia un bisogno crescente di canzoni che raccontino storie e che dicano qualcosa di vero. È chiaro che le radio privilegiano la musica commerciale, la trap, le sonorità più immediate, ma vedo anche segnali di ritorno alla sostanza, a testi che hanno un contenuto. Anche l’ultimo Festival di Sanremo mi è sembrato andare in quella direzione: più racconto, più autenticità.

Tu che musica ascolti?
Ascolto un po’ di tutto. Musica classica, new age, rock, chanson française, cantautori italiani e stranieri. Forse non seguo molto gli ultimissimi della Generazione Z — non per snobismo, ma perché sono legata a un modo di fare musica che parte dalle parole, dal racconto. Mi piace Lucio Corsi, per esempio, ma in generale mi ritrovo più nei grandi autori, anche stranieri.
Oltre alla musica, c’è tanto teatro: sarai in scena con Mobbing Dick e Luxurias: in particolare Mobbing Dick lo hai scritto tu e hai messo al centro molte donne shakespeariane. Ce ne parli? Perché hai scelto questi personaggi femminili?
Le ho studiate molto e rappresentano perfettamente il tema centrale dello spettacolo: il mobbing e gli abusi di potere sulle donne nel mondo dello spettacolo. Shakespeare racconta dinamiche che purtroppo non sono cambiate: in Misura per misura, ad esempio, una monaca deve cedere al ricatto di un uomo di potere per salvare il fratello.

In Luxurias invece al centro c’è Francesca da Rimini, un’altra figura femminile tragica
Sì, ma qui analizzo il mito in chiave più ampia, dal medioevo fino a oggi. La mia Francesca incontra altre “lussuriose” dell’inferno dantesco, ma anche donne moderne, come Moana Pozzi. È un modo per interrogarsi su cosa significhi davvero peccato, desiderio e libertà.
Stai lavorando ad altre opere teatrali?
Sì, ne ho diversi in mente. Amore e morte a Venezia, che racconta Otello dal punto di vista di Desdemona; un testo sul rapporto tra Eleonora Duse e Sarah Bernhardt; e uno sulle “cattive” shakespeariane. Negli ultimi anni ho scelto di essere un’artista indipendente: mi occupo di tutto, dai costumi alle luci, dal trasporto delle scene alla regia. È faticoso, a volte sfiancante, ma è anche libertà. Solo che toglie spazio al piacere puro della recitazione, e per questo ora canto di più: il canto mi rilassa, mi riempie, mi restituisce energia.

Anche il cinema è nei tuoi progetti?
Sì, il cinema per me è un lusso: puoi sbagliare, puoi ricominciare. Il teatro è un atto fisico totale, richiede un’energia costante, una vita consacrata. Non puoi ammalarti, non puoi distrarti. È un amore assoluto, ma anche un sacrificio.
Con chi ti piacerebbe lavorare? Il tuo sogno nel cassetto?
Con Woody Allen e Pedro Almodóvar. Sono i miei registi del cuore. Entrambi hanno una visione ironica e profondamente umana della vita, e le donne nei loro film sono creature complesse, piene di contraddizioni e desideri. Mi piacerebbe essere diretta da loro, anche solo per un giorno. Mentre nella musica mi piacerebbe molto lavorare con Danilo Rea e Vinicio Capossela, con musicisti brasiliani e Kate Bush. Si sa: ‘i sogni son desideri di felicità’.
Da dove nasce, in fondo, tutto questo amore per l’arte?
Da sempre. Da bambina avevo un fratello artista che mi portava ovunque, alle mostre, a teatro. E i miei vicini di casa erano attori e registi. L’arte era la mia isola di libertà in una famiglia molto rigida.