“Sono davvero felice di quello che faccio?”, “Sono soddisfatto della mia routine?”, “Cosa c’è che non va e come posso cambiarlo?”, queste sono alcune domande che ciclicamente ci facciamo, alle quali spesso però non segue una azione concreta per cambiare quello che non va.
Dietro a questo immobilismo spesso si nasconde l’auto-sabotaggio che non ci permette di migliorare la nostra vita quotidiana. Ne abbiamo parlato con Alessandro Da Col e Alessandro Pancia, fondatori di Accademia Crescita Personale – Meritidiesserefelice, che ci hanno spiegato come pensieri e convinzioni limitanti ci bloccano proprio nei momenti in cui potremmo spiccare il volo.
Che cosa s’intende per auto-sabotaggio? E in quali circostanze possiamo parlarne?
L’auto-sabotaggio è un conflitto interiore tra un obiettivo conscio e un programma inconscio. In termini semplici, è l’insieme di azioni, pensieri e comportamenti che mettiamo in atto, spesso senza rendercene conto, per ostacolare il raggiungimento dei nostri stessi obiettivi.
Dal punto di vista neuroscientifico, non è un atto di masochismo. È un meccanismo di protezione disfunzionale. La parte più primitiva del nostro cervello, il sistema limbico, è programmata per mantenerci al sicuro nella nostra zona di comfort. Qualsiasi cambiamento significativo – un nuovo lavoro, una relazione, un progetto ambizioso – viene percepito come un’incognita e, quindi, una potenziale minaccia. L’auto-sabotaggio è la strategia che questo sistema usa per “proteggerci” dal rischio del fallimento o, paradossalmente, dalla paura del successo e delle nuove responsabilità che esso comporterebbe.
Ne parliamo ogni volta che, pur desiderando un risultato, agiamo in modo contrario: procrastiniamo un compito importante, creiamo conflitti inutili prima di un evento felice, o minimizziamo i nostri successi per paura di non essere all’altezza delle aspettative future.
Quali sono i campanelli d’allarme cui dobbiamo prestare attenzione?
I segnali dell’auto-sabotaggio sono spesso mascherati da comportamenti apparentemente razionali. I più comuni sono:
- La Procrastinazione Cronica: Rimandare costantemente azioni decisive, non per pigrizia, ma per un’ansia legata alla performance o al giudizio.
- Il Perfezionismo Paralizzante: Usare lo standard irraggiungibile della “perfezione” come scusa per non iniziare o non completare mai un progetto. Se non è perfetto, non può essere giudicato.
- Il Dialogo Interiore Critico: Quella voce costante che ci dice “non sei capace”, “non te lo meriti”, “fallirai di nuovo”. Questo dialogo mina la nostra autostima e ci convince a non agire.
- Minimizzare i Successi: Attribuire i propri risultati alla fortuna o a fattori esterni (“sono stato solo fortunato”), negando le proprie capacità e alimentando la sindrome dell’impostore.
C’è una fascia d’età in cui si è più vulnerabili?
Più che una fascia d’età, l’auto-sabotaggio è legato ai momenti di transizione e di crescita. Emerge con forza quando ci troviamo sulla soglia di un cambiamento importante, che ci spinge fuori dalla nostra zona di comfort. Tuttavia, è particolarmente comune nella fascia 25-40 anni, un periodo in cui si prendono decisioni cruciali a livello di carriera, relazioni e identità personale. La pressione di “fare la scelta giusta” e la paura di sbagliare possono amplificare questi meccanismi di auto-protezione.
In genere sono più a rischio gli uomini o le donne?
Il meccanismo di base è universale e non ha genere. Tuttavia, le manifestazioni possono essere influenzate dai condizionamenti culturali e sociali. Nelle donne, l’auto-sabotaggio si manifesta spesso attraverso la sindrome dell’impostore, il perfezionismo e la tendenza a non negoziare il proprio valore (ad esempio, chiedere un aumento), a causa di pressioni sociali legate all’essere sempre “adeguate” e “non disturbare”. Negli uomini, può emergere come evitamento della vulnerabilità, paura di chiedere aiuto (perché visto come debolezza) o attraverso comportamenti di procrastinazione legati a una forte ansia da prestazione e alla paura di non essere all’altezza del ruolo di “successo”.
Come possiamo reagire all’auto-sabotaggio?
La reazione non deve essere una lotta, ma una strategia. Combattere i pensieri negativi li rafforza. Serve un protocollo di interruzione basato su tre fasi:
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- Riconoscimento Consapevole (Senza Giudizio): Il primo passo è notare il pattern quando si attiva. Invece di dire “ecco, ci risiamo, sono un fallito”, basta osservare e nominare: “Ok, sto attivando lo schema della procrastinazione”. Questo sposta il controllo dall’emozione alla razionalità.
- Distacco dal Pensiero (Defusione Cognitiva): Capire che “avere un pensiero” non significa “essere quel pensiero”. Possiamo osservare la voce critica come se fosse il commento di una radio in sottofondo, senza sentirci obbligati a credervi o a reagire.
- Azione Minima Efficace (MAE): L’unico modo per sovrascrivere un vecchio programma è dare al cervello un dato nuovo. Invece di pensare all’enorme compito da fare, chiediti: “Qual è il più piccolo passo, quasi ridicolo, che posso fare adesso per andare in quella direzione?”. Può essere aprire il file, scrivere l’oggetto dell’email, fare una telefonata di due minuti. L’azione genera motivazione, non il contrario.
Quali esercizi possiamo fare e a chi possiamo rivolgersi per superare il blocco?
Esercizi Pratici:
Journaling Investigativo: Dedica 10 minuti a rispondere per iscritto a domande come: “Cosa temo realmente possa accadere se raggiungo questo obiettivo?”, “Qual è il beneficio nascosto nel rimanere fermo dove sono?”. Questo fa emergere le paure inconsce.
La Pratica dell’Azione Imperfetta: Scegli un’attività a basso rischio e svolgila deliberatamente all’80% della tua capacità. L’obiettivo è allenare il cervello a tollerare l’imperfezione e a scoprire che il mondo non crolla.
A chi rivolgersi:
Per blocchi profondi, legati a traumi o a schemi radicati nell’infanzia, le figure di riferimento sono lo psicologo e lo psicoterapeuta. Per l’auto-sabotaggio legato a obiettivi professionali, di performance e di carriera, un coach strategico o un mentore può fornire gli strumenti e il protocollo per riconoscere e superare questi meccanismi in modo pragmatico e orientato all’azione.
Quali sono gli errori da evitare?
Colpevolizzarsi: L’autocritica è il carburante dell’auto-sabotaggio. Trattarsi con compassione e riconoscere che è un meccanismo, non un’identità, è fondamentale.
Aspettare di “sentirsi pronti” o motivati: La motivazione è il risultato dell’azione, non la sua causa. L’attesa è una forma elegante di procrastinazione.
Confrontarsi con gli altri: L’auto-sabotaggio si nutre del confronto. Concentrarsi sul proprio percorso e sui propri micro-progressi è l’unico modo per costruire una fiducia autentica.
Si può ricadere nell’auto-sabotaggio?
Assolutamente sì, ed è normale. L’obiettivo non è diventare perfetti e non sabotarsi mai più. Questo sarebbe un altro standard irraggiungibile. L’obiettivo della self-leadership è diventare più veloci e abili nel riconoscere il pattern quando si presenta e nell’applicare la strategia per disinnescarlo. Ogni volta che si ricade e ci si rialza consapevolmente, non è un fallimento. È un allenamento che rafforza il nostro “muscolo” di resilienza e ci rende sempre più capaci di guidare noi stessi verso i risultati che desideriamo.