Tequila era una femmina di pitbull docile e affettuosa, conosciuta da tutti a Gravina in Puglia per la sua indole buona. Lo scorso 30 agosto era scomparsa da contrada Graviglione, in zona Prezzano. La famiglia la aveva cercata ovunque, aggrappandosi alla speranza di ritrovarla viva. Pochi giorni dopo, la scoperta più terribile: il suo corpo senza vita, straziato da una violenza che non ha parole.
Secondo la veterinaria dell’Asl, che ha esaminato la carcassa, Tequila presentava orecchie amputate, coda strappata, scorticature sul dorso e gravi ferite multiple. Non si è trattato di una morte accidentale, ma di torture deliberate, inflitte con crudeltà. Una barbarie che ha scosso l’intera comunità.
La Lega Nazionale per la Difesa del Cane (LNDC Animal Protection) ha denunciato subito l’accaduto, definendo l’atto “inaccettabile e socialmente pericoloso”. L’associazione ha depositato una denuncia alla Procura della Repubblica di Bari, chiedendo indagini rapide, l’acquisizione delle immagini delle telecamere di sorveglianza e la raccolta di testimonianze. L’appello è rivolto anche ai cittadini: chiunque abbia visto movimenti sospetti o disponga di informazioni deve rivolgersi alle forze dell’ordine o contattare lo sportello legale LNDC.
La presidente nazionale, Piera Rosati, ha parlato di “un crimine di una gravità inaudita”: chi è capace di infierire così su un animale indifeso rappresenta “un pericolo concreto per l’intera società”. Perché questa non è solo la storia di un cane torturato e ucciso: è l’ennesimo segnale di un problema che riguarda tutti.
Anche il Corriere della Sera e Rainews hanno rilanciato l’appello, sottolineando la necessità di giustizia e di una risposta chiara. Tequila, per la sua famiglia e per chi la conosceva, non era “solo” un cane: era parte della loro vita, era amata. La sua morte, e soprattutto le modalità con cui è stata inflitta, chiedono verità.
Tequila non era solo un animale: era parte di una famiglia, viveva di amore, carezze, fiducia. E proprio questa sua fiducia cieca verso gli esseri umani è stata tradita nel peggiore dei modi, non è stata soltanto uccisa: è stata seviziate e mutilata. Un atto che non possiamo archiviare come “caso di cronaca nera”, perché porta con sé un significato preciso: la pericolosità sociale di chi lo ha commesso.
Lo dicono da anni criminologi ed esperti, come Roberta Bruzzone: quasi tutti i serial killer hanno iniziato uccidendo animali indifesi. Chi trae piacere dalla sofferenza di un essere vivente privo di difese è privo di empatia, di umanità, di scrupoli, e se non viene fermato, continuerà. Prima sugli animali, poi sulle persone.
E allora la domanda è: quanto ancora dobbiamo aspettare per avere pene severe e certezza della pena per i reati contro gli animali? Finché chi sevizia e uccide potrà cavarsela con poco, continueremo ad assistere a storie come quella di Tequila. Perché questo non è “solo” un crimine contro un cane. È un crimine contro la nostra società, ogni volta che un animale viene torturato e la sua morte resta impunita, perdiamo un pezzo della nostra umanità e apriamo la strada a una spirale di violenza.
Tequila non potrà più parlare, non potrà più scodinzolare festosa davanti a chi la amava. Ma noi sì: abbiamo il dovere di alzare la voce per chiedere giustizia e verità per Tequila. Non per retorica, non per pietismo, ma per un dovere etico e civile.
Difendere gli animali significa difendere anche noi stessi. Perché chi uccide un cane buono e indifeso può farlo, un giorno, anche con un essere umano, e allora la giustizia per Tequila diventa giustizia per tutti.