Rudy Guede ha davvero ucciso Meredith Kercher?

Omicidio Kercher: Rudy Guede chiede uno sconto di pena e va verso la libertà. Il magistrato di sorveglianza deve decidere se anticipare di 45 giorni la data del "fine pena"

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Pubblicato: 23 Novembre 2021 12:35

Era la sera del 1 novembre del 2007 quando una studentessa inglese, arrivata in Italia con il progetto Erasmus, viene barbaramente uccisa nella villetta che condivideva con altre tre ragazze, due italiane, e l’altra americana. Il corpo esanime viene trovato sul letto, coperto da un piumone, in un lago di sangue e con la gola tagliata. La causa della morte è  l’emorragia dovuta al profondo taglio alla gola. Ha inizio uno dei processi giudiziari più controversi di sempre. Di quella storia la prima immagine che ho memorizzata è quella della coppia formata da Amanda Knox (la coinquilina) e Raffaele Sollecito.

Mi ricordo perfettamente i telegiornali di quel periodo che quasi rimandavano in loop loro due che si abbracciavano davanti all’ingresso di quella casa, teatro dell’omicidio, lui che le accarezzava i capelli, e lei che lo stringeva. A colpirmi, lo confesso, fu l’espressione enigmatica del volto di lei, quegli occhi abbassati, ma aperti, quasi alla ricerca della telecamera, e il linguaggio del corpo di lui, a metà tra la protezione e la sottomissione. Subito dopo fu il sorriso della ragazza uccisa a entrarmi in testa,

quello sguardo buono e sereno, incorniciato da una massa voluminosa di capelli scuri, il viso di una studentessa pronta a spiccare il volo verso la vita che si meritava, un volo così brutalmente e bruscamente interrotto per mano di un qualcuno che aveva deciso di spezzarle le ali senza pietà.

Fu chiaro da subito che non sarebbe stato facile e immediato trovare con certezza assoluta un colpevole, e soprattutto diventò lampante che quel caso di cronaca avrebbe imperversato sugli schermi e nelle tv delle famiglie italiane per molto tempo, almeno fino alla fine dei processi e delle rispettive condanne. La polizia interroga subito Amanda Knox e Raffaelle Sollecito, insieme anche agli altri amici della vittima. I due giovani sono però gli unici a presentarsi senza avvocato e a non avere un alibi solido, per questo la Polizia li tiene in stato di fermo. I due ragazzi si dichiarano innocenti, affermando che la sera del 1 novembre si trovavano a casa di Sollecito, intenti a guardare un film.

Durante l’interrogatorio, Amanda fa il nome di Patrick Lumumba, titolare del bar in cui lei stessa lavorava, ma in seguito l’uomo si dimostra estraneo ai fatti. Per questo la giovane viene condannata a tre anni di carcere per calunnia. Il 20 novembre c’è una svolta nel caso, infatti nel cuscino della giovane uccisa viene trovata un’impronta palmare dell’ivoriano Rudy Guede, e il suo cromosoma y nel tampone vaginale fatto alla vittima.

Fonte: Ansa
Raffale Sollecito (foto Ansa)

Il 5 dicembre del 2009 la corte d’assise di Perugia condanna i due fidanzati rispettivamente a a 26 e 26 anni, sentenza che però viene annullata nel 2011 quando la Corte assolve Amanda e Raffaele e ne dispone l’immediata scarcerazione, secondo i giudici non ci sono prove sufficienti a decretarne la colpevolezza. Ma la lunga battaglia giuridica continua a suon di sentenze di colpevolezza, quella della corte di Assise di Firenze che nel 2014 rimette la palla al centro condannando nuovamente la Knox e il Sollecito, rispettivamente a 28 anni e sei mesi lei, e 25 anni lui. I due non rientreranno mai in carcere e verranno definitivamente assolti il 27 marzo del 2015 per non aver commesso il fatto. Diversa la storia per Rudy Guede, con il processo iniziato e finito 2009, con una condanna a trent’anni, poi ridotta a sedici per le attenuanti generiche, eppure se si vanno a leggere le carte del processo stupisce come, l’accusa verso di lui contempli l’omicidio in concorso con il Sollecito e la Knox, che però verranno ritenuti innocenti, in esplicazione del principio “oltre il ragionevole dubbio”. Ma oggi come allora il dilemma resta sempre lo stesso, Guede ha agito da solo? E se ne torna a parlare proprio in questi giorni perché, oltre a essere passato da poco l’anniversario della morte della giovane studentessa, l’ivoriano, dopo aver chiesto uno sconto di pena, potrebbe tornare libero già nei prossimi giorni.

Rudy Guede
Fonte: Ansa
Rudy Guede

Rudy si è sempre e disperatamente proclamato innocente e ha fatto un percorso di riabilitazione esemplare, laureandosi e lavorando per il reinserimento dei carcerati. Mi ricordo la sua unica intervista rilasciata a Franca Leosini, per la quale rifiutò qualsiasi compenso, nonostante altre emittenti gli avessero offerto parecchi soldi per l’esclusiva e mi ricordo i suoi occhi, quelli di un uomo che cerca di raccontare un’altra verità, la sua verità, che certo stride con le conferenze stampa indette da Amanda e Raffaele, i libri scritti da questi ultimi, e le telecamere ricercate a ogni piè sospinto. E la sua verità racconta di un flirt e di un bacio avuto con Meredith, nessun tentativo di stupro, ma un petting consensuale, fino al suo assentarsi in bagno, con le l’iPod nelle orecchie, che gli impediranno di sentire l’ingresso di Amanda e di Raffaele nella stanza, il litigio delle due, fino alle urla strazianti della Kercher. Solo in quel momento Rudy esce, si scontra con i due, che lo riconoscono e sentenziano “negro trovato, colpevole trovato” e scappano. La colpa di cui il Guede si dichiara colpevole è quella di non aver chiamato i soccorsi, di aver provato ad aiutare Meredith e di non esserci riuscito, questo è quello di cui lui si ritiene colpevole.

Ma è una verità fatta anche dalla storia di questo ragazzo, che a sei anni era già un piccolo uomo, costretto a cucinarsi, perché nessuno lo faceva per lui, abbandonato a livello affettivo da un padre che lo riteneva solo una presenza ingombrante, nonostante lo avesse strappato dalle braccia della madre rimasta in Costa d’Avorio. Certo che nessun passato doloroso può essere una scusa plausibile per commettere un omicidio, nessuna mancanza di affetto può diventare la base per trasformarsi in assassino, ma questa è stata davvero la vita del Guede, che noi stiamo semplicemente condividendo con voi. Un’esistenza che stride con i lustrini della Knox e del Sollecito. Ma queste sono soltanto elucubrazioni di una persona che per fortuna non deve decidere delle sorti altrui, perché certo non può essere la simpatia o l’antipatia nei confronti di un sospettato a poter decidere delle sorti di quest’ultimo, ma solo ed esclusivamente i fatti. E in questa situazione, nonostante un’unica condanna per l’omicidio di Meredith, il dubbio di aver preso la persona sbagliata rimane.

Faccio mie le parole della collega giornalista Franca Leosini che su Guede si è espressa così: «È l’unico ad aver pagato, in carcere ha avuto un percorso riabilitativo di grande intensità. Si è laureato in sociologia. Ha lavorato per il reinserimento dei carcerati, è un volontario Caritas, è considerato una risorsa a Viterbo. Quale che sia la verità di questa terribile storia, si è ampiamente riscattato e merita di essere inserito nella società».