L’omicidio di Sofia Castelli: quanto vale la vita di una vittima?

Sofia aveva 20 anni, il suo carnefice è stato condannato a 24 anni, pena che rischia di diminuire perché l'omicida è un "assassino modello"

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Pubblicato: 10 Dicembre 2024 12:07

La storia di Sofia Castelli è una di quelle che, una volta conosciuta, ti entra sotto pelle, come il sorriso e quegli occhi luccicanti e profondi come il mare che fanno capolino da foto che diventano ricordi preziosi, soprattutto perché la storia di questa meravigliosa ragazza, come la sua vita, ha un inizio felice e così simile a quello di tante altre donne della sua età, ma un epilogo così devastante e tragico da non poter e non dover essere dimenticato.

Ha solo vent’anni Sofia quando viene uccisa, tra le mura della sua camera, quella che doveva essere sicura, mentre dorme nel suo letto. A spezzare la sua breve vita il suo ex ragazzo, quello che diceva di amarla, quello che non accettava la fine della relazione, quello che dopo aver rubato le chiavi di casa con un espediente, ha aspettato che lei uscisse con un’amica, per poi rientrare di soppiatto, cambiarsi con gli abiti del fratello della sua ex ragazza (in previsione dell’omicidio da lui pianificato), ed aspettare sette ore nascosto nell’armadio che lei si addormentasse per ucciderla a coltellate nel sonno, per poi scappare, senza che nessuno si accorgesse di nulla.

Un delitto pianificato: l’assassino sapeva che i genitori si trovavano in Sardegna, tanto è vero che nel primo grado di giudizio è stata riconosciuta la premeditazione, e due aggravanti, futili motivi e l’uso del mezzo insidioso, eppure tutto questo non è bastato a farlo condannare all’ergastolo, le attenuanti sono state considerate più forti delle aggravanti.

L’essere un assassino modello paga molto di più che essere una vittima innocente, la giovane età dell’omicida vale molto di più della giovane età di chi una vita non ce l’avrà più. Ma come è possibile che alla fine si pensi solo al recupero di chi questo dolore e questo gesto l’ha scientemente e coscientemente compiuto e non alla vittima e ai suoi familiari, la cui unica richiesta è quella di avere giustizia?

In primo grado l’assassino di Sofia ha avuto 24 anni, il 18 dicembre ci sarà il secondo grado di giudizio per l’omicida reo confesso, e la paura che la pena possa essere abbassata ancora di più si fa strada nel cuore e nella mente delle genitori, del fratello, delle persone che a questa giovane ragazza volevano bene.

Queste le parole di Daniela Zurria, la mamma della vittima, che chiede solo di essere ascoltata, perché quella che sentirete non è solo la sua voce, ma la voce di chi non può più parlare, la sua bambina, Sofia Castelli.

Quando ti succede una cosa del genere non ti è permesso neanche più di essere te stessa, io sono una persona molto riservata, faccio una grande fatica ad espormi, ma non posso permettermi di esserlo, perché devo combattere per chi non c’è più, e la mia voce dovrà essere quella attraverso la quale mia figlia Sofia avrà giustizia. Non vendetta. Ma giustizia

29/07/2023. Immagino che la tua vita sia ferma a questa data. Cosa ti ricordi di quel giorno?
La mia vita è ferma al 29 luglio del 2023. Di quel giorno ricordo che eravamo pronti per andare ad una festa, la festa dei cinquant’anni dei miei genitori in Sardegna, quando ho ricevuto la chiamata dei carabinieri. Non ho capito subito, parlavano della casa ed io pensavo che avesse combinato qualcosa Sofia. Quando poi ho chiesto di lei non mi rispondevano e non mi hanno mai risposto. Poi ho capito tutto, ricordo le urla, le mie e quelle degli altri, poi è come se mi avessero spento un interruttore da dentro, ricordo solo la gente intorno a me, non ricordo nemmeno le parole, è stato un momento terribile, non si può spiegare quello che si prova, finisce la tua vita, così in un attimo.

Tornando indietro, secondo te l’assassino aveva dato qualche segnale che è stato sottovalutato?
L’assassino non aveva mai dato segnali evidenti di violenza verbale o fisica, noi lo conoscevano bene da più di quattro anni. Sinceramente non so quello che è successo negli ultimi venti giorni, si erano appunto lasciati da tre settimane, adesso so che lui era insistente, le mandava messaggi, la cercava, non credo che Sofia si fosse resa conto del pericolo perché non ci aveva detto niente e la vedevamo serena.

Come è possibile che non sia stato dato l’ergastolo nonostante la premeditazione e le altre aggravanti riconosciute? Quali sono le attenuanti riconosciute all’imputato? Di essere un assassino modello per essersi costituito dopo l’omicidio?
Non so davvero perché non gli sia stato dato l’ergastolo, non ho risposte, dipende dalle attenuanti che ha avuto, che sono state il buon comportamento processuale, il fatto che non avesse precedenti penali, il fatto che si fosse costituito, il fatto che avesse problemi familiari e la giovane età, la sua. Quella di mia figlia non l’hanno presa in considerazione.

Esistono femminicidi di serie A e femminicidi di serie B?
Mi auguro che non sia così, non voglio neanche pensarlo, probabilmente ci sono delle storie che prendono una piega diversa, magari salgono subito agli onori della cronaca e altre storie dove non c’è nulla da scoprire, perché come nella nostra, era tutto lì, era tutto evidente. Io spero davvero che queste morti così ingiuste e devastanti, almeno agli occhi dello stato, siano tutte uguali.

Che cosa deve cambiare in Italia secondo te perché si possa avere non dico vendetta, ma giustizia per le vittime e per i loro familiari?
Questo non lo so dire, però posso dire che non si può pensare solo che la vittima non c’è più e non si può fare più niente. Pensiamo a recuperare il carnefice, ma non pensiamo minimamente alle famiglie, le famiglie che ci sono dietro e che sono devastate: anche quelle sono da recuperare, soprattutto quando ci sono dei figli delle vittime, o comunque quando ci sono genitori, fratelli, sorelle sono famiglie distrutte che avrebbero bisogno di un supporto dalle istituzioni. Noi di supporti ne abbiamo avuti tantissimi, ma da persone comuni, persone meravigliose che ci stanno vicino e ci aiutano, al nostro fianco da subito abbiamo avuto le associazioni Cadni e Scarpetta rossa, però la giustizia fino ad adesso non l’abbiamo avuta, non quella che meritava Sofia.

Qual è adesso la tua più grande paura?
La nostra paura più grande è che con l’appello si possa ridurre la pena e noi sappiamo già che 24 anni (la condanna avuta in primo grado dall’omicida) non saranno effettivi, perché anche lì la legge lo permette, però temiamo che il 18 dicembre, data in cui ci sarà il secondo grado di giustizia, gli anni da scontare possano ancora ridursi, e quella sì che sarebbe ingiusta profonda, nei nostri confronti, ma soprattutto nei confronti di chi non c’è più ed aveva tutta un’esistenza davanti. Sofia non aveva nemmeno vent’anni, quanto vale la sua, di vita?