Quei bambini scomparsi nel nulla

Angela è scomparsa nel 1996, Denise nel 2004, Maddie nel 2007, chiunque sappia qualcosa su di loro parli, perché nessuno merita di vivere così

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Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Ho sempre pensato che nessun dolore nella vita potesse essere paragonato alla morte di un figlio, perché tu lo hai cullato, tu lo hai tenuto dentro per nove mesi, cercando di proteggerlo, e poi lui ad un certo punto ti lascia, non per sua volontà, ma perché magari se lo porta via una brutta malattia, oppure un incidente, insomma un qualunque maledetto agente esterno che arrivi e te lo strappi di dosso.

Negli anni ne ho conosciute alcune di queste madri, con il cuore spezzato, che non vivono, sopravvivono, magari lo fanno per i fratelli, cercando di dare un significato a quel lutto. C’è chi dedicherà la vita al volontariato, fondando un’associazione che porti il nome del figlio, per mantenere vivo il suo ricordo. C’è chi passerà le giornate al cimitero, e su quella tomba continuerà il dialogo interrotto dalla morte. Si chiama istinto di sopravvivenza. Poi in questi giorni la storia di Denise Pipitone è tornata prepotentemente nella vita di ognuno di noi, sette giorni in cui l’Italia si è fermata a sperare, a scrutare i tratti somatici di Olesya, la bambina rapita dai rom andata nella tv russa per trovare la madre naturale, cercare la minima somiglianza, diventando esperti di DNA, sognando un lieto fine, che però non c’è stato.

Sono sincera: ho sofferto molto, forse perché questa volta ci avevo sperato tanto che fosse lei, poi ho pensato alla dolore vero, quello di Piera Maggio, ai suoi sentimenti, al suo cuore calpestato, alla sua vita che da diciassette anni ha un solo e unico scopo, conoscere la verità sulla sorte della sua bambina. E allora ho pensato che forse più brutto della morte di un figlio, possa esserci solo l’ignoranza sulle sorti di quest’ultimo, perché ogni anno che passa sarà un anno in meno vissuto al suo fianco, ogni anniversario della scomparsa riaprirà una ferita mai rimarginata, ogni compleanno sarà vuoto, perché non ci saranno candeline da soffiare, non ci sarà la voce che cambia, avrai solo i tuoi ricordi, e te li dovrai far bastare, ed ogni giorno sarà uguale a quell’altro, una miscela infame di speranza e rassegnazione, momenti in cui vorresti sapere, anche se la verità potrebbe mettere la parola fine alla vita. Ed è un dolore costante, uno strazio che non conosce fine, come in una realtà distopica, in cui i tuoi peggiori incubi sono diventati realtà.

Io non so cosa si provi a perdere un figlio così, però posso raccontarvi quegli infiniti minuti di terrore provati quando, nel 2008, Gabriele il minore dei miei figli, scomparve dalla spiaggia, eravamo a cena a Porto San Giorgio, in una di quelle baracche sul mare. Eravamo stati invitati dal futuro presidente della squadra di mio marito per far conoscere le famiglie, Donatella, la mia primogenita aveva otto anni, mentre lo gnomo di anni ne aveva solo quattro. Davanti al nostro tavolo, spostati di qualche metro c’erano i giochi sulla sabbia, con tanti altri bambini, e così avevo dato il permesso anche ai miei di andarci a giocare. Una manciata di minuti, senza quasi mai staccare gli occhi da quella casetta tutta colorata, perché i piccoli si sa, sono imprevedibili. Un aperitivo, uno stuzzichino, e poi all’improvviso torna mia figlia dicendo che non trovava più suo fratello, che non lo vedeva più. Ricordo di aver corso verso i giochi, cominciando a chiamarlo, con la voce che si alzava sempre di più, quasi a voler infrangere la barriera del suono, correvo su quella spiaggia, era già buio, urlando il suo nome, piangendo disperata, mi ricordo a un certo punto di aver immaginato che se si fosse buttato in mare o che ci fosse caduto, lui così piccolo e indifeso.

A un certo punto tutto il ristorante si è messo a cercarlo, cercando di tranquillizzarmi, dicendo che sicuramente lo avremmo ritrovato, ma io non riuscivo a sentire nessuno, c’era solo quella voce bastarda, dentro di me, che mi ripeteva che qualcuno lo aveva preso, che magari era già scappato con lui, ero davvero disperata, sono stati i quindici minuti più lunghi della mia vita, poi lo vidi tornare per mano ad un signore, si era allontanato perché gli era venuta voglia di gelato ed aveva seguito un ragazzino che lo aveva per scoprire dove lo avesse preso. E la mia pena è finita in quell’istante.

Ma voi vi immaginate cosa debba essere quella di Piera Maggio? Che dura da diciassette anni? Come si fa a speculare su quel tipo di dolore? Io ricordo la mia paura anzi il mio terrore, ed ogni volta che scompare un bambino mi ritrovo su quella spiaggia, ad urlare il nome di mio figlio, ad immaginare gli scenari più catastrofici, insieme al senso di colpa, perché ricordo di essermi data pure della cattiva madre per averlo lasciato giocare sulla spiaggia con gli altri bambini, per non averlo visto allontanarsi, come se la responsabilità di quell’evento fosse mia. E invece no, le cose brutte accadono, perché nel mondo esistono i mostri, quelli veri, non quelli che alla fine arriva il principe o la principessa che li combatte e vissero tutti felici e contenti.

Ci sono mostri che non sono draghi, che camminano accanto a noi, che indossano il sorriso della normalità, che conoscono la verità sulla scomparsa di piccoli, che sono figli, che sono fratelli, e tacciono, ci sono esseri indegni di questo nome che all’una del 19 agosto del 1996 si sono portati via Angela Celentano mentre giocava con altri bambini sul monte Faito quando aveva tre anni. Gli stessi mostri che il 1 settembre del 2004 hanno strappato Denise Pipitone all’amore della sua famiglia, da una strada davanti casa, dove giocava con i suoi cuginetti, per arrivare alla scomparsa di Maddie Mccann, rapita il 3 maggio del 2007 dal letto dove stava dormendo, nella stanza del residence in cui i genitori l’avevano lasciata a riposare, insieme ai fratelli gemelli.

Abbiate pietà di queste famiglie, chiunque sappia qualcosa sulla loro scomparsa parli, anche in forma anonima, perché nessuno si merita di vivere così. Mettetevi una mano sulla coscienza, questi genitori hanno già perso un figlio, si meritano di conoscere almeno una cosa, la verità.