È una settimana che ci penso, da quando è accaduto, da quando la notizia ha cominciato a girare sui vari siti di informazione e poi sui social. Un bambino di ventun mesi, nemmeno due anni, muore all’ospedale di Modica, sul suo corpo vengono riscontrate lesioni riconducibili a maltrattamenti perpetrati nel tempo, fratture, bruciature, tagli, fino al tragico epilogo del 17 agosto, quando Evan viene ucciso di botte dal convivente della madre, Salvatore Blanco. Muore per trauma cranico. Il motivo? Il suo pianto.
La cosa sconvolgente di tutta questa situazione è il silenzio, l’omertà con cui questo piccolo essere umano è stato lentamente accompagnato alla morte. Tutti sapevano, c’era addirittura un’indagine per maltrattamenti nei confronti della madre, inchiesta aperta aperta alla fine di luglio, dopo l’ennesima frattura alla clavicola e un esposto alla procura di Genova da parte del padre, persa però nei meandri della burocrazia, e mai arrivato sul tavolo di chi avrebbe potuto proteggerlo.
Adesso i dottori presenti agli altri ricoveri raccontano di una madre che accompagna il figlio in ospedale per medicare ferite infette, o parti del corpo spezzate, e lo lascia lì, lo abbandona al pronto soccorso mentre altri si occupano di lui. Ed è stato a questo punto che mi è tornata in mente un’altra tragedia, quella di Giuseppe, il bambino di sette anni ucciso a bastonate dal patrigno, mentre la sorellina veniva ricoverata in codice rosso in ospedale, con il volto tumefatto.
La loro colpa? Aver rotto una gamba del lettino nuovo. Ma i due fratellini venivano picchiati regolarmente, e anche in questo caso tutti sapevano, in primis la madre, poi la cerchia dei familiari, infine le maestre, che si raccontavano telefonicamente i lividi visibili sui corpi dei bambini, ma non denunciano.
Ed io ho cominciato a chiedermi come si fa, come si fa scientemente e consapevolmente ad uccidere di botte un bambino, prima picchiandolo con un bastone, poi a pugni. Per poi lasciarlo esanime per terra e passare alla sorella, di otto anni. E picchiarla, picchiarla, rendendola irriconoscibile, e poi uscire, come se niente fosse, lasciandosi alle spalle una scia di morte.
Tragedie che colpiscono allo stomaco, come un cazzotto ben assestato, soprattutto per la loro similitudine, anche nel movente. L’odio per i figli della compagna avuti da una relazione precedente , colpevoli di togliere amore e attenzione all’ultima arrivata, nel caso dei fratellini di Cardito, e nei confronti di Evan l’odio nei confronti del padre naturale, che è l’unico ad essersi battuto per salvare il figlio dalla furia omicida di Salvatore Blanco.
Ma quello che colpisce in queste vicende è la solitudine di questi bambini lasciati soli a se stessi, in balia di un orco che li picchiava, ed una madre che lo era solo di nome. E allora diciamo le cose come stanno: queste non sono madri, queste sono donne che amano i loro compagni più dei loro figli, sono donne che vivono una situazione drammatica di sottomissione, certo, ma nel 2020 non è possibile che accadano queste cose, che nessuno si renda conto di quello che sta succedendo e denunci. Com’è possibile che gli assistenti sociali non riescano a proteggere questi esseri indifesi anche da chi li ha messi al mondo?
La bambina all’ospedale è arrivata accompagnata da una vicina di casa e nessuno della sua famiglia le è rimasto accanto, tutti intenti a crearsi alibi o una versione concordante degli accadimenti. In queste storie quello che colpisce è come gli adulti vogliano solo proteggere sé stessi, come se i bambini fossero un sovrappiù, un qualcosa di aggiunto che provoca fastidio, che rompe gli equilibri, gli schemi: il pianto dà fastidio, la voce dà fastidio, i figli di primo letto danno fastidio. E allora che si fa? si picchiano, sempre più forte, fino a spezzargliela quella voce, con la complicità della madre.
Ignoranza? Plagio? Non sono uno psicologo e nemmeno un medico, ma la natura ci insegna che gli animali si fanno uccidere per salvare i propri figli. Com’è possibile che una donna lasci uccidere il sangue del suo sangue senza nemmeno provare a difenderlo? Perché questa è la dura verità, nessuna di loro ha mosso un dito, ha provato a fare scudo con il suo corpo a quello del proprio figlio. No, nessuna. Sono rimaste lì, a guardare l’uomo che stava distruggendo fisicamente i corpi degli esserini che loro stesse avevano messo al mondo.
Il primario del Pronto soccorso del Santobono di Napoli ha raccontato che quella che si è trovato davanti “è la scena più raccapricciante a cui ho mai assistito” e nessuno era lì per abbracciare questa bambina. Per proteggerla e dirle andrà tutto bene. Come nessuno ha mai abbracciato Evan durante le medicazioni, e nemmeno quel giorno prima che morisse.
Rivendico il diritto di essere amati per questi bambini che non hanno più voce, il diritto ad una famiglia che insegni loro la differenza tra il giusto e lo sbagliato, che li accompagni al mare o a comprare il primo grembiulino, che li metta a dormire cantandogli una ninna nanna, e non riempiendoli di botte. I figli non ci chiedono di essere messi al mondo e se non li sapete proteggere e vi mettete gli orchi in casa (non era la prima volta che i bambini e la stessa madre venivano picchiati) i figli non ve li meritate. Non si può chiudere gli occhi, non si può fare finta di niente. La colpa è di tutti quelli che sapevano e si sono girati dall’altra parte. La colpa è anche di chi ha pensato “domani finirà”, “riuscirò a cambiarlo, mi vuole bene, è per questo che lo fa”. Loro non cambiano, non cambieranno mai. Chi uccide è un assassino, ma voi che sapevate e non avete denunciato siete complici. Sulle vostre mani c’è il sangue di un innocente.
E adesso che il pianto è stato spezzato e che non esiste più né il bambino, né la sua voce, dormite bene.
Se ci riuscite.