L’abilità di uno scrittore sta nel delineare personaggi che con le loro caratteristiche riescono a suscitare un sentimento nel lettore, fino quasi a empatizzare con loro. In questo Alessandro Manzoni è stato pioniere: con la sua opera principale “I Promessi sposi”, infatti, ci ha regalato personaggi che a distanza di secoli sono ancora nel nostro immaginario. Accanto a Renzo, Lucia e don Abbondio, non possiamo dimenticare la Monaca di Monza, una delle figure più controverse, affascinanti e tragiche del suo capolavoro.
La carica psicologica che ha caratterizzato Geltrude (questo il vero nome della monaca), non è frutto solo della penna di Alessandro Manzoni, ma di una storia realmente accaduta che ha ispirato lo scrittore. La Monaca di Monza de “I Promessi Sposi” nella realtà si chiamava Marianna de Leyva, una ragazza di nobili origini che fu costretta a vivere una vita clericale contro la sua volontà, cedendo alla passione e al delitto per difendere quello che considerava il suo vero amore.
La scelta imposta dalla famiglia
Marianna era la figlia primogenita del conte Martino de Leyva de la Cueva-Cabrera e Virginia Maria Marino, ereditiera di un ricco commerciante e finanziere genovese. La donna morì di peste nel 1575, un anno dopo aver dato alla luce Marianna. Il padre si risposò nuovamente con una nobildonna valenciana da cui ebbe alcuni figli maschi.
Per evitare che Marianna ottenesse l’eredità materna fu allevata nell’ottica di diventare una suora. Ecco perché ancora adolescente entrò nel convento delle suore di clausura di Santa Margherita a Monza, fino a quando nel 1591 prese i voti con il nome di suor Virginia Maria, in onore della madre. Forte della famiglia da cui proveniva, Marianna visse una vita agiata in un appartamento privato e assistita da una piccola corte. Il convento confinava con la dimora degli Osio e qui incontrò Gian Paolo. I due nel giro di poco si innamorarono intensamente e diedero alla luce una bambina: Alma Francesca Margherita che andò a vivere con Gian Paolo, il quale dimostrò uno spiccato istinto paterno.
Una passione che si è tramuta in dramma
Nonostante i tentativi di nascondersi, la relazione tra i due fu di dominio pubblico. Solo grazie alla posizione delle loro famiglie si riuscì a insabbiare la storia, fino a quando una conversa minacciò di rivelare tutto. I due amanti messi alle strette decisero di compiere un gesto estremo. Gian Paolo uccise la ragazza, ma da quel momento divenne sospettoso, tanto da eliminare tutti quei testimoni che potevano metterli in pericolo. A queste strane morti seguì il tentato omicidio di due suore che, scampate all’uccisione, raccontarono tutto.
Gian Paolo inizialmente riuscì a scappare e trovò rifugio da alcuni amici a Milano, ma questi, tentati dalla taglia sulla sua testa, lo uccisero. Marianna invece, subì un processo: durante il dibattimento, la donna dimostrò tutto il suo pentimento affermando di aver provato in tutti i modi a resistere a quella che considerava un’insana passione. Le sue parole non bastarono a evitarle la condanna, il cardinale Borromeo ordinò la reclusione a vita in una cella murata all’interno della casa delle Convertite di Santa Valeria.
In realtà Marianna rimase segregata solo 14 anni quando nel 1622 lo stesso Borromeo decise la sua scarcerazione. Il cardinale, infatti, vide in Marianna un reale pentimento tanto da diventare in seguito la guida spirituale di tutte quelle giovani novizie e suore la cui fede stava vacillando. gNonostante i suoi errori, Marianna è stata una figura profonda e articolata, il simbolo di una donna in balia delle decisioni altrui e incapace di capire quanto le proprie azioni l’avrebbero portata alla rovina.