Morgan torna a farsi sentire e tuonare contro il sistema giudiziario. Dopo il combattuto sfratto dalla sua casa di Monza, trascorsa l’estate, il cantautore, nell’attesa di cominciare su Rai Radio2 il programma Cantautoradio, in una intervista ai Lunatici di Radio Due racconta il difficile momento che sta vivendo.
Ritorna sul tema dello sfratto, da lui paragonato ad un vero e proprio stupro nei suoi confronti e confessa di vivere a Milano, a Chinatown, in un tugurio tra gli insetti.
Sto molto male, non sono più lo stesso. Uno non ci pensa, ma quello che mi è successo equivale a uno stupro. È identico
La casa è importante, è la più importante cosa che hai. Quando non sai ripararti dal freddo vai a casa e sopravvivi. Questo vale per tutti. Per una persona come me, che fa di quello che ha attorno un oggetto d’arte, lo è ancora di più. La mia casa era un’installazione. La mia casa è stata svenduta a 200mila euro quando ha come valore di mercato 700mila euro. È stata comprata da un maniaco che ha voluto la mia casa perché è un mitomane. Mi hanno portato fuori dalla mia casa con le armi. Io piango, ho tutto lì, tutti i miei progetti. Io stavo sempre in casa a studiare, non sono uno come J Ax o Fedez. Ora sono in uno sgabuzzino a China town a Milano con un sacco di insetti. Non sto più lavorando, prima facevo un sacco di cose, ora non faccio più niente
Il cantante se la prende soprattutto con il giudice che ha ordinato lo sfratto
C’è un giudice che è il paladino degli sfratti. Peggio del giudice della canzone di De Andrè, che diventa giudice solo per poter mandare al patibolo la gente. I giudici dovrebbero giudicare, lo dice la parola stessa. Prendi una questione, ne valuti gli aspetti, pesi e capisci cosa pesa di più. Non fai a priori tutto. Il giudice che ho incontrato io non è un giudice, è uno che non si sa perché è lì, è uno sbruffone. Dovrebbe sfruttare l’occasione per fare veramente il suo lavoro e pensare, ma evidentemente non ce la fa. Ora manderà tutto al macero
A fine intervista, Morgan dice la sua anche sull’ossessione dei selfie da parte dei fan, spiegando perché a parer suo sia doppiamente dannoso per gli artisti:
Vogliono tutti una fotografia, ti chiamano dall’altra parte della strada, rischiano di essere investiti. C’è l’esigenza primaria della foto. Su questo voglio aprire un dibattito: è grave questa cosa, per due motivi. Non solo perché mi rompo pesantemente i coglioni, ma perché innanzitutto non voglio essere localizzato sempre e invece appena ti fanno la foto poi la postano. L’irrintracciabilità è un diritto che io voglio avere. La seconda cosa, ancora più importante, è che io lavoro con l’immagine. È il mio bene, è la cosa su cui firmo i contratti. Mi pagano, il mio lavoro consiste in questo. La Siae dovrebbe far valere il diritto all’immagine che è un nostro bene. Tu puoi farmi una foto, ma non la dovresti pubblicare. La gente non si rende conto che questo per me è un lavoro. Stiamo esagerando. Se lo dici si fanno una risata. Io vi dico che se avessi avuto un centesimo da tutte le foto che ho fatto negli ultimi tre anni non solo non sarei stato sfrattato ma avrei comperato la Sony