Tumore alla prostata: sintomi, diagnosi, terapia

Il tumore alla prostata è una neoplasia maligna che colpisce la prostata, una ghiandola dell'apparato riproduttivo maschile, spesso diagnosticata negli uomini anziani e caratterizzata da sintomi come difficoltà a urinare, flusso urinario debole e dolore pelvico

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Andrea Costantino

Medico chirurgo

Medico abilitato alla professione, iscritto all'albo dei Medici e degli Odontoiatri di Siena.

Pubblicato: 13 Giugno 2024 11:52

L’adenocarcinoma, un tipo particolare di tumore alla prostata, è una neoformazione maligna che si sviluppa nella ghiandola omonima, parte integrante dell’apparato riproduttore maschile.

La prostata è una ghiandola, delle dimensioni di una noce, che si trova tra il retto e la vescica, includendo direttamente il primo tratto di uretra maschile (quel sottile “tubicino” che porta l’urina verso l’esterno dell’organismo). La prostata, oltre ad essere parte attiva nella produzione del liquido seminale, secerne costantemente nel sangue anche un particolare tipo di proteina chiamata antigene prostatico specifico (PSA in inglese). Quando la prostata si ingrossa ed i valori di questa proteina nel sangue sono troppo elevati, si può sospettare la presenza di un carcinoma. Fortunatamente, le neoformazioni prostatiche non sono sempre maligne. Sono molti, infatti, i casi di formazioni benigne che non richiedono particolari cure.

La prostata è una ghiandola presente solo nel sesso maschile e il tumore alla prostata risulta uno dei più diffusi tra questi individui. Dati alla mano, si stima che in Italia si verifichino circa 40 mila casi all’anno e la neoplasia costituisca la più diffusa neoplasia non dermatologica negli individui con età > 50 anni: tra le etnie più colpite troviamo quelle del Nord America, dell’Europa nord-occidentale (di cui il nostro Paese fa parte), delle isole caraibiche e dell’Australia. Negli Stati Uniti, si stima che nel 2023 si siano verificati circa 288 300 nuovi casi e circa 34 700 morti dovuti alla neoplasia.

Il decorso del cancro alla prostata è di norma lento e raramente colpisce aree esterne alla ghiandola con metastasi. Per questa ragione la persona, assumendo comunque le terapie opportune, può conviverci per molto tempo. Sono più rari, ma comunque esistenti, i casi in cui il carcinoma è aggressivo, particolarmente maligno e con un decorso rapido perché le cellule tumorali, trasportate dal sangue e dal sistema linfatico, si estendono oltre la ghiandola prostatica, determinando la diffusione delle metastasi nell’organismo.

Cause del tumore alla prostata

La medicina moderna è ancora impegnata nell’identificare le cause che conducono allo sviluppo di questa particolare tipologia di tumore, sebbene ad oggi non sia stata ancora individuata una motivazione precisa. Si presume che possa derivare da mutazioni nel DNA delle cellule che inducono una replicazione disordinata ed incontrollata, determinando la formazione di masse tumorali, ma le cause di queste mutazioni sono tutt’ora non completamente chiarite.

Studiando attentamente i pazienti affetti, è stato possibile definire una serie di fattori di rischio che contribuiscono ad innalzare le probabilità di sviluppare la malattia:

  • Età dell’individuo. Questo tipo di cancro è molto raro nei soggetti con meno di 45 anni. Il numero di malati aumenta proporzionalmente all’avanzare dell’età. Ad ora, la fascia più colpita è quella che va tra i 60 e 70 anni.
  • Genetica. I fattori ereditari, tra cui l’appartenenza etnica, aumentano la probabilità di essere affetti dalla patologia. Avere il padre o un fratello che hanno sviluppato questo tumore aumenta il rischio per i soggetti. Allo stesso modo, i gruppi afroamericani risultano statisticamente i più colpiti per i più elevati livelli circolanti nell’organismo di androgeni, di testosterone (DHT) e dell’enzima 5 alfa reduttasi.
  • Dieta. Alcuni studi mostrano come diete troppo ricche di proteine e grassi saturi possono aumentare il rischio di sviluppare cancro alla prostata.
  • Obesità sovrappeso.

Ci sono poi alcune malattie ed infiammazioni della prostata che agiscono sullo stato di salute della ghiandola, aumentando il rischio di trasformazione maligna.

La neoplasia prostatica intraepiteliale è una displasia il più delle volte lieve che richiede, però, controlli periodici in quanto potrebbe evolvere in cancro alla prostata. Lo stesso accade nei pazienti con atrofia infiammatoria proliferativa, patologia in cui le cellule della prostata sono più piccole del normale.

Le cellule prostatiche possono risultare indebolite anche quando è presente una prostatite, un’infiammazione batterica che può essere molto intensa.

Infine, sono a rischio di cancro alla prostata tutti i soggetti con proliferazione microacinare atipica (condizione istologica in cui sono presenti degli aggregati di cellule atipiche che non è chiaro se possano essere o meno connesse alla presenza di un tumore della prostata, per cui vanno tenute sotto controllo).

Si ricorda che un ingrossamento della prostata non è per forza sintomo di malignità. Sono molti in casi in cui l’iperplasia prostatica è benigna e la neoformazione è praticamente innocua.

Sintomi del tumore alla prostata

Quando il cancro alla prostata è nelle fasi iniziali, la malattia è quasi totalmente asintomatica, sia perché interessa un’area anatomica limitata, sia perché, nella maggior parte dei casi, il suo decorso è molto lento.

Può accadere però (fortunatamente in casi molto rari) che tale tipo di tumore si presenti fin da subito come aggressivo, interessando non solo l’area prostatica, ma spingendosi anche in altre zone dell’organismo con lo sviluppo di metastasi. Di solito succede quando vengono interessati anche i vasi sanguigni e linfatici che trasportano le cellule tumorali.

I sintomi tipici si classificano in due grandi macrocategorie.

disturbi della diuresi dell’eiaculazione includono:

  • minzione frequente anche durante le ore notturne;
  • incontinenza urinaria;
  • minzione dolorosa. La difficoltà e il dolore nella minzione sono dati dal fatto che, ingrossandosi, la ghiandola prostatica occlude una parte dell’uretra;
  • difficoltà a mantenere un flusso costante di urina (si ha la sensazione di non svuotare completamente la vescica);
  • sangue nelle urine;
  • eiaculazione dolorosa;
  • disfunzione erettile;
  • costante pressione e fastidio all’area pelvica e basso ventre;

Negli stadi più gravi, la malattia evolve interessando scheletro e linfonodi:

  • dolore alle ossa, soprattutto quelle del tronco e del bacino (colonna vertebrale, femore, coste, ossa iliache). Nella maggior parte dei casi, il dolore avvertito è direttamente correlato alla presenza di metastasi localizzate;
  • quando il tumore comprime il midollo osseo, ci può essere intorpidimento agli arti inferioriincontinenza urinaria e fecale;
  • fratture ossee frequenti anche senza aver subìto traumi importanti.

Alcuni di questi sintomi sono associati anche ai tumori benigni, per questo è sempre necessario consultare uno specialista fin dalle prime avvisaglie. I controlli di routine sono fondamentali anche perché, spesso, il cancro alla prostata è scoperto accidentalmente quando ci si reca dal medico per indagare l’origine dei sintomi sopracitati.

Diagnosi di tumore alla prostata

La prevenzione del cancro alla prostata è fondamentale per scongiurare una diagnosi tardiva e per far sì che la malattia rimanga localizzata, abbassando il rischio di incorrere in complicanze più gravi.

A questo scopo, è raccomandato recarsi periodicamente dal proprio medico curante o da uno specialista urologo. Controlli di routine devono diventare una buona prassi soprattutto per coloro che fanno parte della fascia d’età più a rischio, quella degli over 60. Bloccare la malattia fin dal suo esordio garantisce una prognosi migliore.

La visita inizia con la raccolta dell’anamnesi del soggetto e prosegue con un esame obiettivo svolto dallo specialista, che si preoccuperà di indagare non solo la sintomatologia presente, ma anche la storia clinica passata, in modo da avere una visione a 360 gradi.

Tappa fondamentale del percorso diagnostico è il prelievo sanguigno per il controllo dei valori di PSA che, come abbiamo visto, se troppo elevati possono essere segnale di un’alterazione a livello ghiandolare. La sua presenza, però, non è specifica per la presenza di un tumore maligno, ma può evidenziare anche la presenza di altre patologie prostatiche come prostatite e ipertrofia prostatica. Il valore può alzarsi anche in seguito a traumi che coinvolgano la prostata (ad esempio, se si esegue il prelievo dopo essere andati in bicicletta).

Se gli esami del sangue non sono molto chiari o evidenziano valori anomali, il medico può decidere di proseguire con l’indagine, utilizzando tecniche di imaging biomedico.

L’ecografia transrettale digitale (DRE) permette di individuare disturbi a carico della ghiandola prostatica. Allo stesso modo, una risonanza magnetica contribuisce a fornire un’immagine 3D della ghiandola, evidenziandone le eventuali problematiche.

Una biopsia prostatica, seppure più invasiva, permette di prelevare direttamente una parte del tessuto prostatico malato, per un suo studio istologico. Grazie a questa tecnica è possibile scoprire se il tumore è benigno o maligno ed effettuare una stadiazione del medesimo. L’intervento avviene solitamente in ambulatorio in anestesia locale e non richiede ricovero ospedaliero.

Se il tumore è ad uno stadio avanzato e ha determinato la formazione di metastasi, lo specialista può decidere di prescrivere esami che forniscono ulteriori dettagli:

  • una RX al torace consente di vedere se il tumore si è già diffuso con metastasi ai polmoni;
  • la TAC è la metodica di scelta per indagare la salute dei linfonodi, in particolare quelli pelvici e dell’addome, primi ad essere interessati da tumore alla prostata;
  • la scintigrafia ossea offre una visione precisa sulla diffusione del tumore ai tessuti ossei e alle parti molli;
  • la PET con colina è un nuovissimo esame, attualmente il più accurato, per evidenziare questo tipo di massa. Viene iniettato nel paziente un radiofarmaco che mette in evidenza le aree anomale.

Un esame approfondito è sempre utile per escludere altre patologie che interessano la prostata, non solo di tipo tumorale. Un aumento volumetrico della prostata può essere, infatti, associato ad un’iperplasia prostatica benigna – quindi un tumore innocuo della ghiandola – o alla prostatite, un’infiammazione batterica che interessa questo organo.

Cosa succede se con gli esami il medico individua un tumore?

Tutte le volte in cui i risultati delle indagini fanno sospettare la presenza di un tumore, sarà compito del medico cercare di capire la sua natura benigna maligna. Viene valutato inoltre il grado del tumore, cioè in che fase esso si trova, se allo stadio iniziale o se ha già metastatizzato. Si tratta di informazioni fondamentali che influiscono direttamente sul trattamento e sulla prognosi del paziente.

Trattamenti e cure per il tumore alla prostata

I trattamenti previsti per il cancro alla prostata variano in base all’intensità dei sintomi e allo stadio in cui la malattia si trova. Le più sfruttate per il trattamento del cancro localizzato e allo stadio iniziale includono, come primo step essenziale, un controllo costante dei livelli di PSA nel sangue, tramite prelievo e studio della componente ematica.

Per evitare che la situazione peggiori andando ad invadere tessuti extra-prostatici, l’urologo può consigliare al paziente una prostatectomia radicale. Si tratta di una terapia chirurgica invasiva, che prevede l’asportazione della prostata. La nuova ingegneria chirurgica offre al paziente un intervento di tipo laparoscopico e robotico, che garantisce tempi di recupero più brevi perché non prevede un accesso diretto dall’addome. Sono tecniche che riducono al minimo il rischio di incontinenza e disfunzione erettile future, in quanto si riduce radicalmente la possibilità di ledere le strutture circostanti la ghiandola.. Si tratta di un’operazione mirata solo sulle aree da asportare. Di norma la chirurgia è la via ideale per il trattamento del cancro circoscritto poiché ad essa non devono necessariamente seguire altri trattamenti radiologici e chemioterapici.

Spesso usata in sostituzione alla chirurgia, la brachiterapia è un tipo di radioterapia che consiste nel collocare delle sorgenti di radiazioni all’interno del corpo del paziente, consentendo di agire in maniera diretta sull’area interessata senza coinvolgere le strutture circostanti. La radioterapia a fasci esterni prevede, invece, un’irradiazione diretta della prostata. Le cellule tumorali risultano più sensibili di quelle sane ai raggi X e vengono danneggiate.

Quando il cancro è avanzato e ha già iniziato a diffondersi nell’organismo, sono ideali:

  • la terapia di deprivazione di androgeni od ormonoterapia. Sono cure ormonali che vanno a ridurre il livello di androgeni nell’organismo considerati ad oggi uno dei principali responsabili della moltiplicazione delle cellule cancerogene. In genere, un ricorso tempestivo a questo tipo di terapia fa in modo che la crescita del cancro sia rallentata o addirittura si arresti;
  • la chemioterapia è l’ultima spiaggia, prescritta solo per i pazienti che non rispondono ai trattamenti ormonali.

Sono molti i centri oncologici che stanno sperimentando nuove terapie biologiche basate sull’utilizzo di cellule dell’immunità ingegnerizzate che vanno ad aggredire in maniera selettiva quelle malate.

Come prevenire il tumore alla prostata?

Nonostante gli sforzi, non sono ancora state individuate delle tecniche efficaci per la prevenzione del tumore alla prostata. È possibile, però, intervenire sui fattori di rischio.

Una buona norma è quella di mantenere uno stile di vita sano, che prevede un’attenta alimentazione e un costante esercizio fisico. Questo include anche un controllo del peso e del consumo di grassi.

Ai fini di una diagnosi precoce, si raccomanda inoltre di sottoporsi a visite urologiche periodiche ed esami del sangue per osservare i livelli di PSA, principale avvisaglia della presenza di questo tipo di tumore. Dopo i 40 anni di età sono suggeriti screening periodici, specie se si hanno precedenti in famiglia.

Screening

La prevenzione secondaria attraverso lo screening rimane, ad oggi, lo strumento più adeguato per influire sulla storia naturale della malattia e ridurne la letalità. Il test di screening che è apparso più confacente allo scopo è il dosaggio periodico del PSA. Le raccomandazioni per lo screening possono variare, ma tale procedura non invasiva viene proposta ad individui con età superiore ai 50 anni e talvolta è iniziata prima negli uomini ad alto rischio (uomini di razza nera o con storia familiare di cancro alla prostata). Lo screening non è invece raccomandato in individui con un’aspettativa di vita < 10-15 anni.

Un livello di ≥ 4 ng/mL (4 microgrammi [mcg]/L) è spesso considerato un’indicazione per la biopsia negli uomini di > 50 anni. Nonostante valori molto alti siano significativi (indicando l’estensione extracapsulare della neoplasia o la presenza di metastasi) e la probabilità di cancro aumenta con l’aumentare dei livelli dell’antigene prostatico specifico (PSA), non esiste un valore soglia sotto il quale non vi sia alcun rischio.

Fonti bibliografiche: