Giornata internazionale degli anziani, la scoperta italiana che rallenta l’invecchiamento

Una ricerca internazionale, che ha come primo autore un italiano, ha identificato una proteina che farebbe da "freno" all'invecchiamento

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Eleonora Lorusso

Giornalista, esperta di salute e benessere

Milanese di nascita, ligure di adozione, ha vissuto negli USA. Scrive di salute, benessere e scienza. Nel tempo libero ama correre, nuotare, leggere e viaggiare

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Aumenta la popolazione anziana e l’Italia è uno dei Paesi in cui la speranza di vita è più alta, pari 83,4 anni, secondo l’Istat. Un dato che torna di attualità in occasione della Giornata internazionale degli anziani, che ricorre il 1° ottobre, insieme all’importanza della qualità di vita dei “senior”. Intanto, proprio alla vigilia della ricorrenza è arrivata la notizia di una scoperta che potrebbe rallentare i processi di invecchiamento. La ricerca, che ha portato a identificare una proteina chiave, ha come primo autore un italiano.

La “chiave” contro l’invecchiamento

Lo studio, pubblicato sulla rivista Immunity, ha avuto come scopo la ricerca sui fenomeni di neuroinfiammazione che sono alla base dei processi di invecchiamento. Per questo è stato analizzato un campione di persone over 65. A condurre la ricerca, che ha indagato anche sul rapporto tra malattie autoimmuni e invecchiamento, ha avuto carattere internazionale e ha visto la partecipazione dell’Università di Harvard, dell’Università di Stanford e dell’Università della Svizzera Italiana. Primo autore è invece il ricercatore italiano Davide Mangani che insieme ai colleghi ha identificato nella proteina TCF1 il meccanismo “chiave” che regola proprio il sistema immunitario e che viene ritenuta un potenziale “freno naturale”.

Cosa è stato scoperto

Come spiegato da Mangani, “abbiamo scoperto la via attraverso cui l’interleuchina 23 (sostanza attraverso cui le cellule si scambiano segnali infiammatori) attiva questi linfociti. Con un paragone automobilistico è come se i linfociti Th17 fossero parcheggiati in discesa, pronti a partire. Finché sono parcheggiati, mantengono il nostro organismo in equilibrio, ma quando cominciano la discesa, prendono velocità, scatenando fenomeni di infiammazione fuori controllo. Era noto che l’interleuchina 23 attiva la partenza dei linfociti, ma non si sapeva come. Noi abbiamo scoperto che lo fa levando il freno a mano, che è appunto la proteina TCF1”.

Lo studio internazionale, targato Italia

I risultati dello studio, che si annunciano promettenti, saranno presentati in Italia in occasione del convegno “Excellence in Neuroinflammation Meeting”, in programma il 18 ottobre presso l’Abbazia Benedettina di Praglia, in provincia di Padova. Lo studio indica come la proteina TCF1 potrebbe essere in grado di impedire che i linfociti Th17 assumano caratteristiche pro-infiammatorie e autoimmunitarie, dunque limiterebbe le conseguenze di uno dei fattori di invecchiamento. “Abbiamo scoperto che la TCF1 agisce come un freno naturale delle risposte infiammatorie. La ricerca approfondisce le basi molecolari e cellulari delle risposte immunitarie nelle malattie infiammatorie, con l’obiettivo finale di identificare e sviluppare strategie terapeutiche innovative”, spiega ancora Davide Mangani, oggi all’Istituto di Ricerca in Biomedicina dell’Università di Bellinzona. Laureato in Biotecnologie Mediche alla Federico II di Napoli, Mangani ha poi proseguito gli studi all’estero, specializzandosi in malattie autoimmuni, neuroinfiammazione e immuno-oncologia.

Il futuro dell’invecchiamento

Come chiarito ancora dall’esperto, “la nostra scoperta segna un passo decisivo verso strategie mirate a contenere la neuroinfiammazione autoimmunitaria e a migliorare la qualità della vita, soprattutto della popolazione anziana”. A sottolineare l’importanza dello studio sulla TCF1 è arrivata anche la decisione di conferire a Mangani una menzione speciale al premio promosso dalla Fondazione Francesco della Valle per la migliore pubblicazione sul tema della neuroinfiammazione. Il Professor Di Marzo, Presidente del comitato scientifico della Fondazione, ha sottolineato l’importanza del lavoro non solo per la sua qualità e innovatività, ma soprattutto per le sue possibili ricadute terapeutiche che potrebbero offrire nuove strategie per migliorare la salute degli anziani.

Conta anche lo stile di vita

La proteina e le possibili implicazioni farmacologiche legate alla scoperta della sua azione, però, da sole non rappresentano l’unico fattore in grado di rallentare l’invecchiamento o incidere sulla qualità di vita degli over 65. “Non dimentichiamo – ha infatti sottolineato Mangani – che la TCF1 può essere regolata anche da fattori esterni (fumo, alimentazione, etc.): il che significa che agire sugli stili di vita può aiutare a prevenire il lato cattivo della neuroinfiammazione”. Tra i fattori di rischio maggiori in termini di invecchiamento della popolazione, infatti, anche l’Istituto Superiore di Sanità identifica alcuni parametri. In particolare, nell’ambito del progetto Passi d’Argento, sono citati “isolamento, sovrappeso/obesità, fumo, alcol, sedentarietà e malattie croniche”. Tra gli elementi di prevenzione, invece, ci sono “attività fisica, dieta sana, stimolazione cognitiva, partecipazione sociale, controllo medico e vaccinazioni, come delineato dalle strategie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per un “invecchiamento attivo”.

Sfide e opportunità

È sempre l’ISS a sottolineare come il progressivo aumento della popolazione anziana in Italia costituisca sia una sfida che una opportunità. “Entro il 2050 la proporzione di anziani tenderà a raddoppiare, passando dall’11% al 22% della popolazione totale. Nei prossimi 5 anni, per la prima volta nella storia dell’umanità, il numero di individui di età uguale o superiore a 65 anni supererà quello dei bambini al di sotto dei 5 anni. L’incremento della popolazione anziana sarà più evidente nei Paesi in via di sviluppo, ma soprattutto nei Paesi industrializzati il segmento di popolazione che aumenterà maggiormente sarà quello degli ultraottantenni, il cui numero assoluto, entro il 2050, risulterà praticamente quadruplicato”, sottolinea l’Istituto, che sottolinea: “È necessario potenziare e finanziare la ricerca sull’invecchiamento come entità indipendente e complessa, riconoscendo l’enorme ritorno che gli investimenti in tal senso potrebbero assicurare all’intera società, attraverso l’individuazione dei fattori, non solo sanitari, ma anche di carattere assistenziale, sociale, economico e ambientale, che favoriscono l’invecchiamento attivo e in buona salute”.