Dieta e calorie, la voglia di dolci non è influenzata dal cibo che si mangia

Uno studio dimostra che la voglia di torte e biscotti non dipende dal tipo di cibi che consumiamo nella dieta. Ma conta su metabolismo e calorie

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

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Sembra una catena di sant’Antonio. Si mangia un dolce e si ha la sensazione che il gusto della torta, del pasticcino, del gelato o di quello che preferite guidi le nostre scelte alimentari, al punto da diventare esso stesso un veicolo per le preferenze future. Ebbene, se avete questa sensazione, forse dovreste ricredervi. Perché il desiderio di cibi dolci non sarebbe influenzato dalla dieta.

A dirlo è una ricerca che segnala come mangiare più cibi dolci non aumenterebbe la preferenza per i sapori dolci. Questo è stato osservato almeno negli adulti, in attesa di informazioni specifiche per i bambini.

Uno studio di lunga durata

Gli esperti, che hanno presentato i risultati della ricerca a Nutrition 2025, convegno annuale dell’American Society for Nutrition hanno visto che dopo sei mesi di diete con quantità variabili di cibi dolci, la preferenza dei partecipanti allo studio per il dolce è rimasta la stessa, indipendentemente dalla quantità di cibi dolci consumati. Non solo.

“Abbiamo anche scoperto che le diete con un contenuto di dolcezza inferiore o superiore non erano associate a cambiamenti nel consumo di energia o nel peso corporeo – segnala in una nota per la stampa il ricercatore principale dello studio, Kees de Graaf, dell’Università di Wageningen nei Paesi Bassi.

Sebbene molte persone credano che i cibi dolci promuovano un maggiore apporto energetico, il nostro studio ha dimostrato che la dolcezza da sola non è la causa dell’assunzione di troppe calorie. La maggior parte degli studi che esaminano gli effetti dell’esposizione ripetuta al sapore dolce sul gradimento, o preferenza, per il dolce sono stati condotti a breve termine, coprendo periodi fino a un giorno. Senza dati coerenti sugli effetti a lungo termine, la domanda fondamentale se le preferenze per il dolce siano modificabili o meno è rimasta senza risposta”.

Lo studio si è basato su un approccio convalidato per la misurazione delle preferenze per il gusto dolce, utilizzando alimenti e bevande sviluppati appositamente per lo studio e non somministrati come parte delle diete di intervento.

Cosa emerge

La ricerca ha preso in esame tre gruppi di circa 60 volontari, per un totale di 180 partecipanti, sottoposti a diete con alimenti prevalentemente dolci, meno dolci o un mix di alimenti.

Sono stati consegnati a domicilio dei partecipanti pacchi di cibo e bevande ogni due settimane per sei mesi, fornendo circa la metà del fabbisogno alimentare giornaliero di ciascun partecipante. I partecipanti allo studio hanno ricevuto menu giornalieri come guida, ma potevano consumare la quantità di cibo fornita a loro piacimento.

I cibi sono stati suddivisi in categorie in base al loro grado di dolcezza, sulla scorta di uno studio che misurava l’intensità del gusto in circa 500 alimenti olandesi comunemente consumati. I prodotti dolci hanno compreso cibi come marmellata, cioccolato al latte, latticini zuccherati e bevande zuccherate. I prodotti non dolci includevano alimenti come prosciutto, formaggio, burro di arachidi, hummus, popcorn salati e acqua frizzante.

La preferenza di ogni persona per il sapore dolce è stata testata prima dell’inizio della dieta di intervento, due volte durante la dieta, subito dopo la sua conclusione e uno e quattro mesi dopo che i soggetti non seguivano più la dieta assegnata. I ricercatori hanno anche esaminato l’assunzione totale di energia e macronutrienti, l’assunzione alimentare durante lo studio e parametri fisiologici come peso corporeo, composizione corporea e marcatori ematici per il rischio di diabete e malattie cardiovascolari, come glucosio, insulina e colesterolo.

Dolce non “chiama” dolce

Gli esperti hanno visto che una minore esposizione ad alimenti dal sapore dolce non ha portato a cambiamenti nelle preferenze per il gusto dolce, nella percezione del gusto dolce, nella scelta alimentare o nell’assunzione di energia.

Non solo: il gruppo che consumava più alimenti dal sapore dolce non ha manifestato una maggiore preferenza per i cibi dolci. Inoltre, non sono state identificate associazioni tra la quantità di cibi dolci consumati e le variazioni del peso corporeo o dei biomarcatori per il diabete e le malattie cardiovascolari.

Dopo l’intervento, i partecipanti sono tornati naturalmente ai livelli di partenza basali di assunzione di cibi dolci nei controlli a 1 e 4 mesi. In pratica, quindi, l’indicazione è chiara. Il contenuto di dolcezza dell’intera alimentazione conta in termini di calorie e metabolismo, ma non dovrebbe influire sui gusti. Dolce non “chiama” dolce, insomma.

Le indicazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a scopo informativo e divulgativo e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza medica con figure professionali specializzate. Si raccomanda quindi di rivolgersi al proprio medico curante prima di mettere in pratica qualsiasi indicazione riportata e/o per la prescrizione di terapie personalizzate.