Covid-19, cosa sappiamo della nuova sottovariante BA.2.75

Omicron, la sottovariante BA.2.75 si diffonde rapidamente: cosa sappiamo e come proteggerci

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 7 Luglio 2022 11:55

Capita sempre, quando compare una nuova variante del virus Sars-CoV-2. Si cerca di capire cosa potrebbe accadere se questo ceppo di diffondesse a macchia d’olio, come è accaduto con precedenti varianti Omicron come la 4 ed ora la 5, che hanno letteralmente spodestato i tipi virali che circolavano precedentemente.

Se è vero che la ricerca del patrimonio genetico del virus è fondamentale per capire cosa sta accadendo e soprattutto provare a ipotizzare quale sarà il quadro del futuro, è altrettanto chiaro che al momento arrivare a conclusioni certe è pressoché impossibile. Ma ci sono comunque dati che possono aiutare a riflettere, seppur parziali ed ancora profondamente incompleti per poter dare certezze su ciò che accadrà.

Una variante “giovane”

Come riporta Ansa, la sottovariante BA.2.75 è stata osservata solo da poco più o meno un mese fa. A preoccupare ci sono però alcune percezioni: in primo luogo, pur se in assenza di pubblicazioni scientifiche fino a questo momento, colpisce il fatto che sia facilmente diffusibile e non sia rimasta circoscritta visto che il virus con queste particolari caratteristiche è stato rilevato in diversi Paesi del mondo oltre all’India in cui è stato segnalato per la prima volta.

C’è poi un altro aspetto che fa mettere in guardia gli esperti: insieme ad altre due sotttovarianti caratterizzate dai numeri vicini (un po’ come accade con gli indirizzi dei palazzi, si chiama BA.2.74 e BA.2.76) parrebbe in grado di avere una fortissima diffusione, con potenziale impennata del numero dei contagi. In particolare, nel processo continuo di “riaggiornamento” dei virus che fa parte del loro naturale sviluppo nel tempo, colpisce il fatto che presenti nove mutazioni rispetto alla progenitrice Omicron 2, localizzate sulla proteina Spike. Questa, come ormai abbiamo imparato, è una sorta di “ancora” per il virus che lo aggancia sulla cellula da infettare. Attraverso gli “uncini” invisibili la Spike è quindi la chiave d’accesso del virus, che poi si replica appunto all’interno della cellula.

Ma non basta: se sono otto le mutazioni osservate nei confronti di Omicron 2, diverrebbero addirittura 11 considerando invece Omicron 5 che stiamo conoscendo in questo periodo. Ancora: secondo gli esperti, ci sarebbero due di queste specifiche mutazioni da tenere d’occhio, anche perché potenzialmente più in grado di sfuggire alle difese degli anticorpi, siano essi prodotti attraverso l’immunità naturale, cioè dopo aver contratto la malattia, o in seguito al percorso di vaccinazione. Al momento, comunque, fare previsioni su quanto avverrà non è possibile.

Continuiamo a proteggerci

Per quanto si sa fino ad ora, siamo di fronte ad un ceppo virale che potrebbe “invadere” in termini invisibili il panorama di Covid-19, assumendo un ruolo da protagonista tra i diversi sottotipi virali. Ma non si può dire nulla di certo in questo senso. Occorre ancora capire se sul fronte evolutivo BA.2.75 potrà essere una sottovariante particolarmente “competitiva” rispetto alle varianti circolanti e quindi potrà tendere a prendere spazio in particolare rispetto agli altri tipi di Omicron circolanti. Certo la lezione di Omicron 5 ci ha permesso di capire come il virus possa diventare più trasmissibile e quindi potenzialmente più contagioso, con una maggior facilità di “attecchire” nell’organismo umano e di diffondersi da una persona all’altra.

Va anche detto che le strategie di prevenzione rimangono comunque l’arma più efficace che abbiamo per limitare i rischi, soprattutto in questo periodo di grande diffusione dell’infezione che pare aver superato (lo dicono i numeri) anche la stagionalità che aveva caratterizzato i primi due anni di pandemia. E c’è da dire che anche i farmaci, utilizzati con la massima appropriatezza e prima possibile (siano essi antivirali specifici o cocktail di anticorpi monoclonali che si sono rivelati utili anche nei confronti di Omicron) possono consentire di affrontare in modo più efficace un’eventuale infezione nei soggetti a rischio. Senza dimenticare che vaccinazione, mascherine e igiene rimangono i caposaldi delle nostre difese.