Kfir Bibas, la storia del più piccolo ostaggio di Hamas: a 10 mesi “morto sotto le bombe”

La speranza, poi l'annuncio di Hamas: il piccolo Kfir Bibas, 10 mesi, è "morto sotto le bombe". A Tel Aviv si cercano conferme

Pubblicato: 30 Novembre 2023 12:03

Foto di Giorgia Prina

Giorgia Prina

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Le immagini del volto di Kfir Bibas, 10 mesi, e delle sua mani, strette attorno a un peluche, erano diventate tra le più riconoscibili e simboliche degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Le foto del piccolo occhieggiavano da ovunque nelle città di Israele e all’inizio del cessate il fuoco erano in molti a pensare che il piccolo sarebbe stato uno dei primi a essere liberato. Così però non è stato e di Kfir sembrano essersi ormai perse le tracce. Il terribile verdetto delle Brigate Qassam, l’ala militare di Hamas, è arrivato mercoledì 29 novembre. Hanno infatti fatto sapere su Telegram che i due fratelli israeliani Kfir (10 mesi) e Ariel Bibas (4 anni) insieme alla madre Shiri Bibas, ostaggi a Gaza, sono “stati uccisi in un precedente bombardamento dell’esercito sionista prima della tregua”.

Le Forse di difesa israeliane (Idf) hanno fatto sapere che è in corso una valutazione dell’attendibilità della notizia, ma il caso del più piccolo tra gli ostaggi sequestrati da Hamas fa pensare alle cifre imponenti che indicano quanti giovanissimi hanno perso la vita dal 7 ottobre ad oggi e di quanti ancora la vita sia appesa a un filo.

Kfir Bibas, la storia del più piccolo ostaggio di Hamas

La famiglia Bibas, di origine argentina, è rapidamente diventata un ennesimo tragico simbolo della guerra tra Israele e Hamas. La mamma, il papà e i due bambini vivevano nel kibbutz Nir Oz, una comunità israeliana prossima a Gaza. Kfir Bibas, il fratello maggiore Ariel e la mamma, Shiri, sono stati catturati il 7 ottobre, giorno dell’attacco delle forze armate di Hamas ai kibbutz israeliani. Le foto di Kfir erano diventate subito facilmente riconoscibili grazie ai capelli rossi del neonato e la sua storia ha tenuto Israele con il fiato sospeso, poiché il neonato è il più piccolo tra gli ostaggi sequestrati quel giorno.

Poi la speranza. Dal cessate il fuoco al rilascio degli ostaggi, poi, di nuovo, la preoccupazione della famiglia, che la mattina del 29 novembre ha lanciato un appello, perché non vedeva il nome del piccolo sulla lista dei rapiti che dovevano essere restituiti. “Tutti gli altri bambini sono già stati rilasciati. Non sappiamo dove siano tenuti” né “nulla sulle loro condizioni”, aveva detto Ofri Bibas, sorella di Yarden, come riporta Agi.

L’annuncio di Hamas

L’annuncio delle Brigate Qassam, che ne hanno decretato la morte insieme al fratellino e alla madre, getta un’ombra di dolore su chi ne attendeva con angoscia il ritorno. Sarebbero dunque morti tutti e tre in un raid israeliano condotto sulla Striscia di Gaza prima dell’inizio della tregua: “L’organizzazione terroristica Hamas continua ad agire in modo crudele e disumano”, ha dichiarato un portavoce delle Forze di difesa israeliane, citato dal Jerusalem Post, “I rappresentanti delle Idf hanno parlato con i membri della famiglia Bibas, li hanno informati della notizia. Le Idf stanno esaminando l’attendibilità dell’informazione”. Ribadendo poi che “la responsabilità della sicurezza di tutti gli ostaggi nella Striscia di Gaza ricade interamente sull’organizzazione terroristica Hamas. Hamas mette in pericolo gli ostaggi, compresi nove bambini. Hamas è tenuta a restituirli immediatamente a Israele”.

Intanto c’è attesa nella ‘piazza degli ostaggi‘ a Tel Aviv tra la gente che aspetta di avere notizie certe sulla sorte del piccolo ostaggio Kfir Bibas: “La gente qui prende la notizia con trepidazione e vuole assicurarsi che sia confermata” perché in precedenza ci sono state notizie di prigionieri uccisi che poi si sono rivelate false, riporta Al Jazeera. “Alcuni – afferma l’emittente qatariota – pensano che l’annuncio di Hamas possa essere un modo per spingere ad una proroga della tregua“.

Una tragedia che non sembra aver fine e che segna la morte di tanti, tantissimi bambini israeliani e nella Striscia di Gaza. Sotto le bombe delle scorse settimane sono caduti punti sensibili della vita dei palestinesi. Medici senza frontiere, una delle organizzazioni umanitarie impegnate, manda senza sosta appelli perché arrivino aiuti umanitari in grado di stare dietro al bisogno inesauribile: “Circa 2,2 milioni di persone intrappolate nella Striscia di Gaza – si legge sul loro sito – dopo settimane di attacchi continui e con una tregua solo temporanea. Sia che cerchino di scappare o che restino in casa sono in pericolo di vita. Manca tutto: ripari, cibo, energia, carburante, acqua pulita. Negli ospedali è una catastrofe: sono sovraffollati e funzionano a malapena. Stanno esaurendo ogni forma di scorta, non ci sono abbastanza letti, sia le strutture che le ambulanze vengono attaccate”.

“Sono almeno 2000 i bambini uccisi a Gaza negli ultimi 17 giorni”, scriveva Save the Children il 23 ottobre. Nelle stesse date secondo i media israeliani altri 27 minori erano stati uccisi in Israele. Numeri che non sono solo numeri. La matematica qui non conta. Si parla di speranze, di ideali e di un futuro sempre più opaco per chi in quelle zone ha conosciuto solo la guerra. Intanto si aspetta il rilascio da parte di Hamas dei rimanenti ostaggi e si spera in una tregua che, dopo l’attacco a Gerusalemme rivendicato da Hamas il 30 novembre, sembra già un miraggio.