Femminicidio, per Treccani è la parola del 2023

Treccani ha scelto "femminicidio" come parola del 2023: "Ci è sembrata una parola irrinunciabile"

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Paola Landriani

Lifestyle Editor

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Treccani ha deciso di scegliere femminicidio come parola del 2023. Una decisione parte della campagna di comunicazione #leparolevalgono, che lavora per promuovere un uso corretto della lingua italiana e che, in questo senso, pone l’attenzione sul fenomeno della violenza di genere.

Femminicidio è la parola del 2023

Usata per la prima su un giornale italiano nell’ottobre del 2001, la parola femminicidio e diventata, tristemente, un termine molto usato e conosciuto. Sette anni più tardi è entrata nel vocabolario diventando un neologismo che, pochi giorni prima della fine del 2023, è stata scelta proprio da Treccani come parola dell’anno. Un sostantivo composto da “femmina” e dal suffisso “cidio” che deriva dal tema latino di caedĕre che significa tagliare, uccidere. Un fenomeno che, nonostante sia molto più antico di questo neologismo, necessita con sempre più forza di essere individuato grazie a un nome proprio.

Il vocabolario online della Treccani lo definisce come: “Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale che, penetrata nel senso comune anche attraverso la lingua, ha impresso sulla concezione della donna il marchio di una presunta, e sempre infondata, inferiorità e subordinazione rispetto all’uomo”. Parole che risuonano nelle nostre menti da sempre, ma che lo fanno con una forza particolare in questo 2023 in cui abbiamo dovuto convivere con 110 femminicidi e le lucide parole di Elena Cecchettin, sorella di Giulia, che L’Espresso ha proclamato persona dell’anno per aver “trasformato il dolore privato in assunzione di responsabilità collettiva, costringendoci a dare un nome al male di cui soffriamo: il patriarcato” facendo rumore dopo la morte della sorella per mano dell’ex fidanzato Filippo Turetta. Femminicidio è una parola importante che, come scriveva Michela Murgia: “Non indica il sesso della morta. Indica il motivo per cui è stata uccisa, ci dice il perché.”

I motivi della scelta di Treccani

Una scelta fatta tra più di 920mila lemmi che è stata pensata, ragionata, oltre che “unanime e determinata“, ha spiegato Valeria Della Valle, professoressa e direttrice del vocabolario Treccani. “Ci è sembrata anzitutto una parola irrinunciabile, per colpa dei numerosi casi di femminicidio che si sono verificati in Italia e per gli ultimi, clamorosi, come quello di Giulia Cecchettin. Ci è sembrata anche una parola indispensabile e purtroppo utile: volevamo dare il nostro contributo, un contributo piccolo, linguistico, sperando che anche questo possa servire a riflettere su un crimine odioso, che possa coinvolgere tutti a prendere coscienza e consapevolezza di un fenomeno pressoché quotidiano.”

Un primato triste ma necessario, che mette l’accento su un fenomeno culturale come la violenza di genere che non può e non deve essere ignorato. “Avremmo potuto optare per un termine positivo, avevamo pensato a ‘inclusione’” continua Della Valle “ma ci sembrava avesse senso scegliere invece una parola crudele, che ha effetto su chi la ascolta e chi la legge. I vocabolari non sono cimiteri di parole. Sono luoghi di ricerca e riflessione sulla lingua e sulla società. Il nostro lavoro è questo: stare dietro alla realtà e registrarne le parole, un servizio non solo linguistico ma anche sociale. E quest’anno era giusto fare così.”