Basta vittime di violenza sessuale nei conflitti: la guerra, uomini, fatevela tra di voi

Il 19 giugno è stata istituita la Giornata mondiale per l'eliminazione della violenza sessuale nei conflitti armati per porre fine a una pratica disumana

Quando parliamo di guerra, nel suo significato più tradizionale, ci riferiamo a un conflitto tra stati sovrani o coalizioni che si accende per trovare una risoluzione di una controversia motivata da conflitti ideologici, economici, politici e sociali reali o presunti. Non ci addentreremo in questo complesso argomento, ma lasciateci dire che indipendentemente dalle motivazioni o dalle vittorie, la guerra non conosce vincitori perché essa genere rumore, lacrime e paura.

E come se non bastassero le innumerevoli vittime mietute dalle situazioni belliche, in un passato neanche troppo lontano, c’era un’altra guerra nella guerra, da combattere o peggio da subire. Più silenziosa, più subdola e disumana: quella della violenza sessuale nei conflitti.

Il 19 giugno del 2015, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per commemorare la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU del 19 giugno 2008 che condannava l’impiego della violenza sessuale come strategia bellica, ha introdotto la Giornata Internazionale contro la violenza sessuale nei conflitti armati per chiudere, per sempre, uno dei capitoli più neri della storia dell’umanità.

La violenza sessuale esercitata dai soldati o da tutti coloro che erano coinvolti in un conflitto armato, infatti, veniva praticata in maniera impunita. Ci sono voluti anni, anzi secoli, affinché questa venisse riconosciuta come una minaccia alla pace e alla sicurezza dei popoli e dei Paesi del mondo.

Stupri, schiavitù sessuali, obbligo alla prostituzione sono state incluse nella definizione di violenza sessuale affinché l’integrità fisica e morale delle persone non venisse più lesa. Perché negli anni troppe brutalità, oltre a quelle generate dalla guerra stessa, hanno ottenuto il lascia passare.

Tra queste ci sono state le sterilizzazioni forzate, i divieti matrimoniali e le segregazioni dei sessi. E ancora le mutilazioni genitali, lo stupro e le gravidanze obbligate. Nella sentenza Karadžić and Mladić, rispettivamente leader politico e capo militare dei serbi di Bosnia le cui truppe perpetrarono il massacro di Srebrenica, è emerso che in alcuni campi di prigionia si praticava lo stupro con l’obiettivo di generare figli di origine serba.

La storia ci insegna che a farne le spese, più di tutti, sono state le donne. La scelta degli avversari di colpire le donne non era fatta a caso: la donna rappresenta le fondamenta di un popolo, colei che dà vita e garantisce la discendenza delle generazioni.

Ma queste atrocità, fino al 2008, non erano un’eccezione sul campo di battaglia. La violenza sessuale, infatti, è stata accettata in passato come una diretta e inevitabile conseguenza del conflitto armato. Fu però proprio la guerra dell’ex-Jugoslavia a richiamare l’attenzione delle Nazioni Unite: era il momento di fare qualcosa.

Così, il 19 giugno del 2015 è stata istituita la Giornata Internazionale contro la violenza sessuale con l’obiettivo di accrescere la consapevolezza pubblica in merito a queste barbarie. Per onorare tutte le vittime di tali crimini e per ricordare che questa è una minaccia per la pace e per la sicurezza internazionale ma è, soprattutto, una grave violazione dei diritti umani.