I recruiter (o selezionatori, o responsabili delle risorse umane) sono segugi professionali specializzati nel fiutare i migliori talenti. Sono incaricati di esaminare i candidati tramite un’intervista in apparenza innocua ma in realtà insidiosissima, che può durare 20/30 minuti fino ad un’ora. Durante la quale è tassativo tenere spento lo smartphone.
Ingannare i reclutatori è impossibile, ma non dobbiamo farci intimidire. Nemmeno quando, con un sorrisetto, ci faranno domande terribili. Perché sappiamo come rispondere.
Indice
Mi parla un po’ di lei?
Sembra un approccio gentile e discorsivo, ma in realtà è la domanda più infida perché ogni parola che diremo potrà essere usata contro di noi! Dobbiamo apparire spigliate e sicure, ma non spavalde: dunque prepariamoci (e proviamo) una breve risposta in cui ci focalizziamo sugli aspetti chiave della nostra preparazione e delle nostre esperienze (dagli studi fatti ai lavori precedenti alle abilità sviluppate –ma senza ripetere il curriculum tale e quale) che ci rendono le candidate ideali per la posizione. Un sorriso è utile, ma non di più.
- Prima del colloquio studiamo bene il sito web aziendale e i suoi canali social, le caratteristiche, le attività, i valori e la missione.
- Saremo così in grado di collegare le nostre competenze, esperienze e aspirazioni all’azienda stessa, dimostrando motivazione e conoscenza della società.
Vietato esordire con “Che dire? Sono una persona normalissima”. Non lo siamo. Siamo super, ma senza enfasi.
Quali sono i suoi punti deboli?
Con questa domanda si vuole indagare la nostra capacità di autovalutazione, la sincerità e l’attitudine a rimediare alle nostre carenze. Accenniamo a piccole mancanze che ci fanno apparire umanissime brave ragazze, sottolineando il nostro intento di migliorare: “Sono un po’ riservata ma mi sto impegnando per comunicare meglio con gli altri”, “Talvolta sono impulsiva e prendo decisioni d’istinto, ma mi sto imponendo di darmi tempo per riflettere”.
- Non confessiamo i difetti che ci remano contro (“Sono aggressiva”, “Sono pigra”, “Non ho pazienza”, “Mi deprimo facilmente”).
Vietato dire “Non credo di avere punti deboli”: mostra che siamo presuntuose o non proprio limpide.
Come dev’essere il suo capo ideale?
Procediamo con cautela, perché da questa risposta possono emergere i nostri pregiudizi ma anche le difficoltà a relazionarci con una figura dirigente. Una buona replica, che appare equilibrata e sincera, potrebbe essere: “Un capo ideale dovrebbe avere competenza, sicurezza, doti comunicative, senso dell’umorismo ed essere una fonte d’ispirazione”.
- Tralasciamo i commenti sull’età: per noi non importa che il capo sia molto più grande di noi o più giovane.
Vietato fare battute come “Il capo perfetto non esiste”, “I capi sono tutti uguali”: il selezionatore non apprezzerebbe.
Perché la nostra azienda dovrebbe sceglierla?
È una domanda volutamente antipatica che punta a valutare la capacità del candidato di gestire le difficoltà e mantenere i nervi saldi. Don’t panic! Rispondiamo rifacendoci non solo al nostro curriculum ma anche alle nostre soft skills (capacità relazionali e comportamentali come comprensione degli altri, problem solving, pensiero critico) spiegando – meglio se con un esempio – come i nostri interessi e obiettivi professionali si allineino ali obiettivi l’azienda e le esigenze del ruolo.
- Dimostriamoci interessate ad imparare sempre cose nuove, anche se le nostre competenze sono vaste.
Vietato dire: “In effetti… perché dovreste aver bisogno di me?”.
Come si relaziona con i colleghi?
La domanda punta a capire se sappiamo integrarci bene con gli altri o siamo delle piantagrane asociali. Rispondiamo che ci piace collaborare con tutti, siamo aperte al dialogo e al confronto, pronte a crescere insieme ai colleghi ma sempre nel rispetto reciproco.
- È utile fare qualche esempio di lavori precedenti (o anche gruppi di studio) nei quali abbiamo lavorato insieme ad altre persone, raggiungendo buoni risultati.
Vietato dire “Io lavoro meglio da sola”: è la negazione del concetto stesso di lavoro in un’azienda (ma anche in un negozio di abbigliamento o in un supermercato).
Che cosa sa fare bene?
Non ci stanno chiedendo se siamo dei talenti del tennis, della chiffon cake o del canto gospel. Senza ripetere quello che abbiamo scritto nel cv facciamo un paio di esempi di come abbiamo sfruttato le nostre competenze in precedenti occasioni lavorative (ma anche di studio) senza mai apparire vanagloriose.
- Dovremmo mostrare di avere una obiettiva consapevolezza del nostro valore e dei nostri talenti.
Vietato sminuirci: dire “Sì, parlo inglese, ma quando sono andata a Londra non mi capiva nessuno!” è un autogol.
Come si vede tra 5 anni?
Naturalmente la risposta non è “Sposata e mamma felice di due bambini” perché all’esaminatore questo non interessa. Il recruiter in realtà vuole capire il nostro quoziente di progettualità oltre al desiderio di migliorarci e impegnarci.
- Posiamo rispondere che immaginiamo di progredire professionalmente, imparando e crescendo anche umanamente.
Vietato dire: “Proprio non lo so!”, denota pessimismo, pressapochismo, vittimismo, tutti –ismi che il selezionatore detesta.
Quali sono i suoi hobby o interessi?
È tra le domande del colloquio che più mettono in difficoltà: un interesse sbagliato e addio! Quello che cerca il selezionatore è una persona di cui gli interessi extra-lavorativi possano rappresentare dei vantaggi per l’efficienza e le mansioni da affrontare. Se siamo appassionate di ballo di coppia, potremmo sottolineare la nostra capacità di raggiungere obiettivi vincenti con un’attenta strategia comune.
- Se facciamo volontariato, è una buonissima carta da giocare: aiutando gli altri dimostriamo di essere empatiche, attente, generose e rispettose degli impegni presi. Doti ideali da dipendente modello.
Vietato dire “Non ho hobby o passioni”, “La mia passione è lo shopping”, “Il mio hobby preferito è il mio fidanzato”: sono frasi che equivalgono a buttarsi nel cestino da sole!
Quali letture l’hanno influenzata di più?
Domanda innocente? Non proprio. Leggere significa informarsi, crescere, arricchire il linguaggio e avere un’attitudine curiosa e aperta. Se non leggiamo libri, e-book o ascoltiamo audiolibri, possiamo ripiegare sui siti di approfondimento di vari temi, ma niente politica o temi scottanti. Prepariamoci, insomma, una risposta plausibile. Scorrendo TikTok troveremo nella comunità di #BookTok tante proposte che potremo prendere in considerazione per leggere qualcosa di interessante. Ci piacerà!
- Evitiamo di nominare libri che non abbiamo letto davvero: potrebbe rivelarsi un epic fail.
Vietato dire: “Non mi viene in mente niente: non ho tempo per leggere (o non mi piace farlo, è una cosa superatissima)”.
Domande che non possono fare
In un colloquio di lavoro ci sono domande che non potrebbero esser fatte, perché riguardano aspetti legati alla propria sfera personale come:
- il credo religioso
- lo stato di salute
- l’orientamento sessuale
- le opinioni politiche
- le proprie origini
- lo stato matrimoniale o di convivenza
- la situazione familiare
- lo stato di gravidanza
A queste domande non dobbiamo sentirci obbligate a rispondere.
L’articolo 27 del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna è chiaro: in pratica vieta domande come “È fidanzata?”, “È sposata?”, “Quanti figli ha?”, “Com’è composta la sua famiglia?”, “Ha intenzione di avere figli?”. La presenza di bambini o anziani può configurarsi come un freno all’assunzione, perché potrebbe preludere a un calo nel rendimento della lavoratrice se dovrà occuparsi di carichi familiari. Fa male a dirlo, ma purtroppo talvolta è ancora così.
Questo possono chiederlo
Domandarci di mostrare la nostra precedente busta paga è nelle facoltà del recruiter. È una pratica legittima a livello normativo e molto diffusa, specialmente nelle aziende più grandi.
- Visionare la nostra busta paga serve a verificare la corrispondenza tra le informazioni che abbiamo dato e i dati oggettivi del documento (eventuali benefit, buoni pasto, premi aziendali, contributi).
- Non è un segno che il colloquio sta andando male: i dati relativi alla retribuzione potrebbero servire all’azienda per capire quali siano le nostre aspettative economiche e poi formulare un’offerta.
È una richiesta che potrebbe essere il segnale di un reale interesse nei nostri confronti, quindi è meglio non rifiutare.