Chi era Maria Grazia Cutuli

Scopriamo la storia di Maria Grazia Cutuli, giornalista coraggiosa uccisa in un attentato in Afghanistan

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Redazione

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Era il 19 novembre del 2001 quando Maria Grazia Cutuli, giornalista del “Corriere della Sera”, venne uccisa in un agguato mentre si trovava a Kabul. La reporter si trovava in Afghanistan per seguire le operazioni militari dopo la fine del regime dei talebani. La situazione era difficile e pericolosissima, ma la Cutuli era decisa a fare il suo lavoro. Quel terribile giorno insieme a lei c’erano altri tre giornalisti: Julio Fuentes, corrispondente del “Mundo”, l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari, che lavoravano per “Reuters”.

Classe 1962, Maria Grazia Cutuli era nata a Catania e aveva iniziato la sua carriera di giornalista nel 1986, lavorando per “La Sicilia” e conducendo l’edizione serale del telegiornale regionale Telecolor International. Dopo aver collaborato con varie riviste a Milano, nel 1999 era stata assunta dal “Corriere della Sera” nella sezione esteri.

Capelli lunghi e rossi, fisico minuto e carattere di ferro: Maria Grazia Cutuli era una donna coraggiosa e decisa. Il giorno della sua morte stava percorrendo la strada che da Jalalabad porta a Kabul. Erano le 5.30 del mattino e l’auto su cui viaggiava la giornalista, insieme ai colleghi, faceva parte di un convoglio con diversi rappresentati della stampa. Poi accade qualcosa, la colonna di macchine si frammentò e la Toyota Corolla con a bordo Maria Grazia si trovò alla portata degli attentatori.

A sessanta chilometri dalla capitale otto uomini armati bloccarono due delle macchine che trasportavano i giornalisti. I report vennero fatti scendere e uccisi a colpi di kalashnikov. Tutto avvenne in pochi minuti e nessuna organizzazione rivendicò l’omicidio. Dopo 16 anni gli uomini che uccisero a sangue freddo la giornalista sono stati finalmente puniti anche in Italia. Reza Khan, considerato il capo della banda, nel 2007 è stato ucciso in Afghanistan dopo una condanna a morte, mentre i fratelli Mamur e Zar Jan sono stati condannati a 16 e 18 anni di carcere nel loro paese e a 24 anni di carcere dal tribunale di Roma.