L’8 maggio 2025, quando Papa Leone XIV si è affacciato dalla Loggia delle Benedizioni, non è stato solo il primo Pontefice americano della storia a salutare il mondo. È stato anche il primo, dopo oltre dieci anni, a riaccendere l’immaginario papale fatto di trine, velluti e ricami dorati. Con la mozzetta rossa sulle spalle e la stola cerimoniale in oro ricamata a fili sacri, Robert Francis Prevost ha scelto di raccontare la sua visione del papato attraverso un linguaggio silenzioso ma potentissimo: quello dei simboli sartoriali. Un ritorno alla solennità, certo, ma senza arroganza. Anzi, con l’umiltà negli occhi lucidi di chi sa il peso – anche visivo – del ruolo che sta assumendo.
La veste papale che racconta (molto più) di un abito
Il nuovo Papa, entrato nella storia già per il solo fatto di essere statunitense, ha sorpreso tutti al primo affaccio mostrandosi in una veste papale che sembrava uscita da un’altra epoca. Addio essenzialità di Francesco, benvenuto splendore liturgico: Leone XIV ha indossato tutto ciò che il protocollo metteva a disposizione nella cosiddetta “Sala delle Lacrime”. E lo ha fatto con una precisione che ha lasciato il pubblico — e i vaticanisti — senza parole.
La veste talare bianca, quella tradizionale del Pontefice, era stata confezionata dal sarto Raniero Mancinelli con cinque metri di fresco lana italiano, lo stesso tessuto scelto per Bergoglio. Ma sopra, uno dopo l’altro, sono apparsi tutti i simboli che raccontano un’idea di papato solenne e ieratico: il rocchetto in pizzo bianco, la mozzetta di velluto rosso porpora senza bordatura d’ermellino (dato il caldo della stagione), la stola cerimoniale con ricami dorati, la croce pettorale d’oro appesa al collo, l’anello del Pescatore già infilato all’anulare e — forse — anche le storiche scarpe rosse, da anni finite nel dimenticatoio.
Soprattutto, ha colpito la scelta di indossare la stola sin da subito. Francesco, nel 2013, la indossò solo per il tempo della benedizione apostolica. Prevost invece ha scelto di portarla con sé. Il messaggio era chiaro: la stola è la voce muta del potere spirituale, il segno visivo di un’autorità che si assume con rispetto, ma che non si nasconde.

Mozzetta e stola, simboli ritrovati
Tra tutti i dettagli, è proprio la mozzetta rossa ad aver acceso la miccia del confronto. Era dal 2013 che non si vedeva più quel piccolo manto sulle spalle di un Papa al primo saluto. Bergoglio, in quell’ormai lontano marzo, l’aveva rifiutata con gesto deciso, preferendo affacciarsi in semplice tonaca bianca, con la croce d’argento che portava già da vescovo e senza nulla che potesse evocare fasto o pompa.
Leone XIV ha invece scelto di rispolverare il guardaroba pontificio nella sua interezza. Un gesto che, pur nella sua teatralità estetica, è apparso tutt’altro che vuoto. La mozzetta rossa, il cui colore richiama il sangue dei martiri e la dignità del ministero petrino, è tornata in scena come un personaggio silenzioso ma centrale.
E poi c’è la stola: in oro, ampia, ricamata, praticamente identica a quelle usate da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nel giorno del loro primo affaccio. Un richiamo voluto, consapevole, quasi liturgico, a quei pontificati che avevano fatto della cerimonia un elemento di comunicazione chiave.
Tra tradizione e umiltà: l’equilibrio del nuovo Papa
Sarebbe però un errore fermarsi all’apparenza. Chi ha seguito da vicino la prima apparizione pubblica di Leone XIV ha notato, oltre all’imponenza dell’abito, la commozione del volto. “Aveva gli occhi lucidi, le mani tremanti, il sorriso incerto ma tenero”, ha scritto Infobae. E le sue parole, pronunciate con voce calda, hanno parlato di pace, di unità, di cura per i poveri. Temi cari a Francesco, a cui Leone XIV ha subito rivolto un pensiero di gratitudine.
Anche nella scelta di non usare l’ermellino sulla mozzetta (di solito applicato nelle versioni invernali), qualcuno ha letto il desiderio di evitare eccessi decorativi. In fondo, è maggio. Il velluto rosso bastava già a parlare da solo. Nessuna tiara, ovviamente, e nessun fanone (il doppio colletto liturgico abolito da decenni), ma tutto il resto – sì – era lì, pronto a riaccendere la memoria visiva dei grandi Papi del Novecento.

Il confronto inevitabile con Papa Francesco
Impossibile non tornare al marzo 2013. L’immagine di Bergoglio sul balcone, semplice, spoglia, fraterna, è ancora viva nella memoria collettiva. All’epoca sembrò una rivoluzione: niente mozzetta, niente oro, solo bianco e argento. Un “vescovo di Roma” che chiedeva al popolo di pregare per lui, prima ancora di benedirlo.
Leone XIV ha scelto una strada diversa. Il suo affaccio ha riportato alla mente quello di Benedetto XVI, nel 2005. L’immagine dei due, affiancata, è circolata rapidamente sui social. Stessa stola, stessa mozzetta, stessa compostezza. Ma è il contesto che cambia tutto: Prevost, pur provenendo dallo stesso solco spirituale di Francesco, ha voluto iniziare il suo pontificato con un richiamo visivo alla solennità del ruolo. Un “papa in uniforme”, per così dire. Ma con il cuore nello stesso posto.
Va detto, per completezza, che le vesti papali sono predisposte dal Cerimoniale per ogni elezione. Sta al nuovo Papa scegliere se e cosa indossare. Francesco, nel 2013, disse semplicemente “no grazie” alla mozzetta. Leone XIV ha detto “sì, e anche alla stola”.