Più volte la storia ci ha mostrato il lato più oscuro della natura umana, un’ombra che ha portato a crudeltà indicibili.
Il XX secolo ha segnato uno dei capitoli più terribili della storia: la Shoah, un orrore senza precedenti, che ha portato alla persecuzione e all’annientamento di milioni di uomini, donne e bambini innocenti.
“La chiave di Sara“, un film prodotto nel 2010 e arrivato nelle sale italiane nel 2012, è un capolavoro che sconvolge e commuove profondamente. Tratto dall’omonimo romanzo di Tatiana De Rosnay, racconta uno degli episodi più drammatici e meno noti del periodo nazista: il rastrellamento del Velodromo d’Inverno di Parigi nel 1942.
Sarah Starzynski, interpretata da Mélusine Mayance, è una piccola bambina ebrea di dieci anni che viene rapita dalla polizia francese collaborazionista e portata al Velodromo d’Inverno, insieme ad altre migliaia di ebrei francesi. Ma prima di essere catturata, riesce a nascondere il suo adorato fratellino Michael in un armadio a muro, chiudendo la porta a chiave per tenerlo al sicuro.
Sessant’anni dopo, il suo destino s’intreccia con quello di Julia Jarmond, una giornalista determinata, incaricata di indagare e raccontare quella terribile vicenda. Mentre si immerge nella ricerca della verità, si rende conto che Sarah potrebbe ancora essere viva.
Una pagina buia della Francia, che ha assistito all’atroce sterminio della sua stessa popolazione ebraica.
Il rastrellamento del Velodromo di Parigi
Nell’estate del 1940 il governo francese mise in atto un censimento per identificare la presenza degli ebrei nella popolazione. Quello che ne seguì fu una persecuzione feroce e spaventosa.
Il 16 luglio 1942, la polizia francese collaborazionista compì un’operazione di arresto di massa contro gli ebrei di Parigi. Questa operazione fu chiamata “Vento di Primavera“. Circa 13.000 uomini, donne e bambini ebrei furono prelevati dalle loro case, strade e luoghi di lavoro e condotti da cinquemila poliziotti nel Velodromo d’Inverno, situato vicino alla Tour Eiffel, nel quindicesimo arrondissement. Questo luogo, precedentemente utilizzato come pista per le gare di ciclismo, fu trasformato in un campo di prigionia improvvisato.
Vennero catturati circa quattromila bambini, con un’età compresa tra i due e i quindici anni. Le condizioni erano assolutamente disumane. Rinchiusi per diversi giorni senza cibo, acqua e servizi igienici adeguati, i deportati affrontarono un’angoscia e una sofferenza insopportabili.
Successivamente, vennero trasferiti in vari campi di concentramento in Francia, tra cui Drancy, Pithiviers e Beaune-la-Rolande, che svolgevano la funzione di centri di transito prima di essere trasferiti ai campi di sterminio nazisti.
La Francia e il peso della memoria: una responsabilità rifiutata
Oltre tredicimila vite spezzate, altrettante storie interrotte. Solo un centinaio di loro ha fatto ritorno, ma i pochi sopravvissuti portano con sé il peso di questa crudeltà, una verità che il governo francese ha negato per decenni.
Il Velodromo fu ufficialmente demolito nel 1959 a seguito di un devastante incendio che ne compromise gran parte della struttura. Al suo posto, oggi si erge un giardino commemorativo dedicato alle vittime, un luogo di riflessione e rispetto per onorare la memoria delle persone che hanno perso la vita a causa dell’odio e della discriminazione.
Solo nel 1995, il presidente Jacques Chirac finalmente ha riconosciuto la responsabilità della Francia per quell’atroce tragedia, dichiarando che era giunto il momento di confrontarsi con questo oscuro capitolo della nazione ed esprimendo le scuse tanto attese, seppur inutili, per tutti i morti innocenti.
Passano gli anni, ma l’orrore dell’Olocausto non smette di destare sgomento, simbolo di una delle pagine più crude e tragiche della storia dell’umanità. I racconti di sofferenza, persecuzione e distruzione emersi da quel periodo continuano a scuotere le nostre coscienze affinché simili atrocità non si ripetano mai più.