Il triplice femminicidio di Brenda Del Castillo, Morena Verdi e Lara Gutiérrez ha sconvolto l’Argentina e il mondo intero. Le tre ragazze, due cugine di vent’anni e una quindicenne, erano scomparse il 19 settembre da Florencio Varela, sobborgo meridionale di Buenos Aires. Avevano ricevuto la promessa di trecento dollari per partecipare a una festa privata e, fidandosi, erano salite a bordo di un’auto. Da quel momento si erano perse le loro tracce.
Cinque giorni più tardi, il 24 settembre, i loro corpi mutilati sono stati ritrovati sepolti nel cortile di una casa della stessa zona, chiusi in sacchi di plastica. L’autopsia ha confermato che erano state torturate a lungo prima di essere uccise. A rendere la vicenda ancora più agghiacciante è stata la scoperta di un video nelle disponibilità di uno degli arrestati: le torture e l’omicidio erano stati filmati e trasmessi in diretta su un social network chiuso, davanti a circa 45 spettatori.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, uno dei capi della banda, durante la registrazione, avrebbe pronunciato la frase: «Questo è quello che succede a chi mi ruba la droga». Il delitto, dunque, si configurerebbe come un “narco-femminicidio“, un atto di vendetta e intimidazione da parte di un gruppo criminale legato al traffico di stupefacenti.
La polizia ha arrestato cinque persone, tra cui tre uomini e una donna, mentre altre due risultano ancora ricercate. Tra queste, Tony Janzen Valverde Victoriano, ventenne di origine peruviana, considerato il mandante del massacro. Il Ministro della Sicurezza della provincia di Buenos Aires ha confermato che le immagini sono state individuate durante un interrogatorio e che le indagini hanno permesso di collegare il delitto al narcotraffico.
La brutalità dell’omicidio ha scatenato un’ondata di indignazione. Migliaia di persone sono scese in piazza a Buenos Aires e in altre città, da Rosario a Córdoba, da San Juan a San Miguel de Tucumán. A guidare i cortei, i movimenti femministi come Ni Una Menos, che da anni denunciano la violenza di genere e chiedono allo Stato maggiore protezione e giustizia. «Le nostre vite non sono sacrificabili», «Nessuna vita è usa e getta», recitavano gli striscioni.

Le manifestazioni non hanno solo invocato giustizia per le tre ragazze, ma hanno anche puntato il dito contro uno Stato sociale in crisi, che con i tagli del governo Milei ha lasciato terreno libero alle organizzazioni criminali. La Conferenza Episcopale Argentina aveva già avvertito: «Se lo Stato si fa da parte, entra il narcotraffico». A ricordarlo è stata anche l’opinionista Silvia Fesquet su Clarín, parlando di “morte annunciata”, frutto di una società segnata da droga, emarginazione ed esclusione.
Questa storia è drammaticamente feroce, non solo per la crudeltà del delitto, ma perché ci racconta come i social, usati nel modo peggiore, possano diventare strumenti di terrore. Abbiamo già visto suicidi in diretta, aggressioni trasmesse davanti a centinaia di utenti, persino omicidi filmati da stalker. Ma qui siamo andati oltre: un triplice femminicidio trasformato in show, con torture mandate in streaming a spettatori che hanno guardato in silenzio.
È il segno di un’epoca in cui anche la malavita non si sottrae al fascino della telecamera. Le gang, in Argentina come altrove, usano i social per intimidire, per fare propaganda criminale, per dire al mondo: “guardate cosa succede a chi osa sfidarci”. La morte diventa messaggio, il dolore diventa spettacolo. E questo fa tremare, perché ci riguarda tutti.
La più giovane delle tre vittime, Lara, aveva appena 15 anni. Una bambina. Eppure chi le ha torturate non si è fermato davanti a niente. Non davanti all’età, non davanti alla sofferenza. Perché il vero obiettivo era mostrare potere, dominare attraverso la paura, umiliare davanti a un pubblico. È così che la violenza si evolve: non più nascosta, ma esibita.
Ma se la tecnologia ha permesso a tutto questo di accadere, allora la stessa tecnologia deve diventare argine e responsabilità. Non possiamo accettare che le piattaforme siano complici dell’orrore. Non possiamo accettare che il dolore diventi intrattenimento.
Brenda Del Castillo, Morena Verdi e Lara Gutiérrez non devono essere ricordate solo come vittime. Devono diventare simbolo di una lotta globale: contro i femminicidi, contro la spettacolarizzazione della violenza, contro l’indifferenza. La loro voce spezzata deve risuonare ancora, più forte, nelle piazze e nel cuore di tutti.