Ci sono notizie che non riesci a scrivere senza sentire un nodo alla gola e una rabbia che sale, ti brucia dietro gli occhi e ti impedisce persino di piangere. Perché questa non è solo una sentenza, è uno schiaffo. L’ennesimo, dato sul volto già martoriato delle donne che ogni giorno lottano per essere credute, protette, rispettate, vive. Crudeltà. Una parola semplice, otto lettere, un pugno allo stomaco se te la trovi scritta accanto al nome di tua figlia morta. Ma in questa storia, quella parola non l’hanno voluta scrivere, non l’hanno voluta dire, non l’hanno nemmeno sussurrata. Perché la crudeltà, per chi giudica in una Corte di Assise, ha dei criteri, e pare che le 75 coltellate, l’inseguimento, la fuga, l’abbandono del corpo in un sacco della spazzatura non rientrino nei parametri.
C’è stato un omicidio, certo, impossibile dire il contrario e sapete in realtà non mi interessa nemmeno che da un punto di vista prettamente giuridico la crudeltà sia complicata da raggiungere come aggravante, visto che è necessario che l’assassino compia uno o più atti non con la volontà di uccidere, ma di provocare dolore, sofferenze, torturare, non mi interessano le definizioni in legalese, perché io so cosa ha umanamente sofferto la piccola Giulia, per venti lunghi minuti in cui è stata consapevole del suo destino, è stata cosciente sia nel dolore che nella morte.
Eh ma ci sono dei parametri, come se uccidere una ragazza di ventidue anni che ti supplica di lasciarla andare fosse un incidente di percorso, come se il dolore della famiglia Cecchettin si potesse archiviare come un faldone qualsiasi in mezzo a mille altri. Perché non c’è crudeltà, signori, perché secondo loro Filippo Turetta non è stato crudele, è stato semplicemente inesperto, dopotutto era “solo” la prima volta che uccideva, non ne vogliamo tenere conto? Ha chiesto scusa, come se bastasse dire “mi dispiace” per lavare via il sangue, come se le lacrime di coccodrillo potessero rimettere insieme i pezzi del cuore di un padre che ha dovuto scegliere l’abito per seppellire sua figlia. Ma se questo non è crudele, allora cos’è?
La Corte d’Assise di Venezia ha condannato Turetta all’ergastolo, escludendo però l’aggravante della crudeltà perché giudici hanno ritenuto che le 75 coltellate inferte fossero finalizzate esclusivamente all’omicidio, senza l’intento di infliggere sofferenze ulteriori.
Più ci penso, più leggo le motivazioni, più mi sento male per i familiari, perché Giulia aveva 22 anni, una vita davanti, una laurea alle porte, sogni da rincorrere e mani piene di futuro. È stata inseguita, aggredita, colpita, non una, non dieci, ma settantacinque volte. Fino a spegnere ogni respiro, ogni battito, ogni possibilità, eppure non è stato ritenuto crudele. Giulia non è morta per caso, non è inciampata su un marciapiede, è stata inseguita, colpita, massacrata, era viva mentre le toglieva tutto, anche l’ultima possibilità di scappare, era viva quando l’ha caricata in auto come un sacco, viva quando la supplicava, viva mentre lui giocava a fare Dio. Ma ditemelo voi, allora: che cos’è la crudeltà, se non accanirsi su un corpo che chiede pietà? Se non continuare a colpire quando l’altro è già a terra? Se non trascinare, nascondere, fuggire e poi mentire?
Hanno detto che non c’è crudeltà perché ogni coltellata era “necessaria” alla morte non alla sofferenza. Io dico che ogni coltellata è un atto di disumanità. Un messaggio lanciato a tutte le future vittime di questo Paese: “State attente, perché anche se vi uccidono con 75 colpi, per qualcuno non sarà abbastanza crudele da meritare un’aggravante”. Questa non è giustizia, è un paradosso, il cortocircuito di un sistema che ci commemora quando siamo morte, ma ci lascia sole quando siamo vive, e allora no, non ci stiamo. Non possiamo stare zitte, perché se non chiamiamo crudeltà quello che è successo, allora siamo complici.
Dal mio profilo Facebook:
“75 coltellate
Settantacinque.
Contatele.
Una a una.
E poi provate a dire alla sua famiglia che non è crudeltà.
Diteglielo negli occhi.
Il vero orrore è questo: una sentenza che “agevola” chi uccide e dimentica chi muore.
Giulia merita giustizia. Non giustificazioni.”