Il rapimento di Cleo Smith, quattro anni, avvenuto in Australia quasi tre settimane fa, assomiglia a uno di quei film horror visti al cinema, perché la sparizione di uno dei propri figli, durante il sonno, dal proprio letto, è sicuramente una delle paure più grandi di ogni genitore. Soprattutto, quando questo accade, e l’autore è un adulto, difficilmente si può associare la parola lieto fine alla storia, ma veniamo ai fatti.
Cleo era scomparsa nella notte tra il 15 e il 16 ottobre. La bambina stava trascorrendo un periodo di vacanza insieme ai genitori in un campeggio lungo la Coral Coast, a McLeod, 900 km da Perth. Al mattino la madre si era accorta che la piccola non era più nella tenda in cui avevano dormito e aveva dato l’allarme. Una massiccia operazione di ricerca ha visto immediatamente in campo uomini e mezzi per scandagliare una vasta area mentre le autorità hanno offerto una ricompensa da un milione di dollari australiani per chiunque avesse informazioni sulla bambina. Senza fare pubblicamente supposizioni su quello che poteva esserle accaduto, la polizia aveva espresso “grave preoccupazione” per un caso che ricordava un’altra storia accaduta nel deserto australiano negli anni Ottanta, quando la bambina di una coppia andata in vacanza con i figli in un campeggio sparì nel nulla: la madre fu prima condannata all’ergastolo e poi rilasciata.
Il 17 Agosto del 1980 l’Australia è scossa da un delitto sanguinoso ed efferato che genererà uno degli errori giudiziari più clamorosi della storia. Coinvolti i coniugi Lindy e Michael Chamberlain, vittima la piccola Azaria, la loro terzogenita, di appena dieci mesi d’età, perché la donna verrà incolpata dell’omicidio, trascorrendo tre anni della sua vita dietro le sbarre. La verità però è stata definitivamente ristabilita solamente nel 2012, quando un’inchiesta svoltasi ben 32 anni dopo la morte della piccola, ha convinto le autorità giudiziarie australiane a riconoscere ufficialmente che la bambina fosse stata rapita e uccisa da un dingo selvatico, una razza che vive solamente in Australia. E per la coppia ha avuto fine un tormento durato per tre lunghi decenni.
E come dimenticare il caso della piccola Maddie McCann, stessa età, stesso colore di capelli e stesso colore degli occhi, ma con un finale mai scritto, purtroppo solo immaginato. Sono sincera: quando i media hanno iniziato a rimbalzare di sito in sito, di agenzia in agenzia, la notizia della scomparsa della piccola Cleo ho temuto il peggio, e la cosa che a mente fredda mi fa stare male è che ho temuto che in qualche modo la famiglia potesse essere responsabile della sua dipartita. All’improvviso da spettatrice mi sono ritrovata giudicante, io che più di qualunque altra cosa al mondo non tollero le persone che si ergono a giudici, mi sono ritrovata improvvisamente dall’altre parte.
E mi sono domandata come fosse possibile, come potessi essere così cinica in una situazione di questo genere, dove una madre piangeva il rapimento della figlia, come potessi anche solo pensare che ne fosse responsabile. È che forse siamo talmente abituati ad aspettarci il peggio, oppure siamo talmente assuefatti alle serie tv che ricostruiscono i peggior crimini, che aspettarsi un orrendo colpo di scena è diventata la normalità. E in questo caso la mia mente tra il rapimento di un estraneo e una tragedia familiare mistificata, ha preferito la seconda.
E invece il male esiste, anche quello che ci fa più paura, anche quello che in una notte australiana è entrato di soppiatto nella tenda di questa giovane famiglia, mutilandone un pezzo, strappando una piccola creatura di soli quattro anni dall’abbraccio premuroso dei suoi genitori, dal caldo della sua coperta, dalla presenza rassicurante, ma addormentata, della sorellina. E mettiamoci nei panni di questa giovane mamma che all’1:30 di notte dà il biberon con l’acqua a sua figlia, poi la rimette a dormire, e la mattina alle 6:30 si sveglia, apre il divisorio e non la trova più. Mi immagino il terrore attraversare i suoi occhi e la sua mente, immaginando gli scenari più disparati, che si fosse allontanata volontariamente, che fosse caduta in acqua, che fosse stata azzannata da un dingo, e in ultimo, solo per ultimo, che qualcuno l’avesse rapita.
Eppure anche in questo caso la realtà supera la fantasia perché oggi, con la sua liberazione, scopriamo che il male esiste, e ha la faccia ed il corpo di un uomo di 36 anni, un uomo che secondo quanto stabilito dalla polizia, non ha alcun legame con la famiglia Smith, anche se la casa in cui la bambina è stata trovata si trova a soli sei minuti di macchina da quella dei genitori della piccola a Carnavon, cittadina che conta 5mila anime, un uomo che era stato visto acquistare pannolini in un supermarket, e questa cosa, dato il suo essere single, aveva destato sospetti.
La polizia ha fatto irruzione nell’abitazione e ha trovato la bambina in una delle stanze della casa. Uno degli agenti le si è avvicinato, l’ha presa in braccio e le ha chiesto come si chiamasse, lei ha risposto: “Mi chiamo Cleo”. Ancora non sappiamo se la piccina abbia subito delle violenze, né il motivo della sua presenza in quella casa, l’uomo per adesso, che é anche l’unico indagato e fermato per il rapimento, non ha risposto alle domande degli inquirenti. Quello che sappiamo è che è stata portata in ospedale per degli accertamenti e sembrerebbe stare bene, almeno fisicamente, e forse, data la giovane età, il trauma di questi 18 giorni rimarrà rinchiuso in qualche meandro della sua testa, sperando che non trovi mai la strada per uscirne.
Enorme commozione anche tra la polizia che aveva deciso di non informare i genitori di Cleo dell’irruzione, per non alimentare false speranze. Dopo aver aver ritrovato la piccola sana e salva, uno degli agenti li ha chiamati al telefono dicendo: “C’è qualcuno che vorrebbe parlare con voi”. E questa per adesso è l’unica cosa che conta. La fine di un incubo, l’inizio della sua seconda vita. Tra le braccia della sua famiglia.