Edith Cavell, la storia dell’infermiera vittima della Grande Guerra

L'unica colpa dell'infermiera britannica fu quella di nascere all'interno di un mondo violento e maschile e di scegliere un ruolo nella società pesante quanto un flagello

Foto di DiLei

DiLei

Redazione

DiLei è il magazine femminile di Italiaonline lanciato a febbraio 2013, che parla a tutte le donne con occhi al 100% femminili.

La mattina del 12 ottobre del 1915, non lontano da Bruxelles, un plotone di esecuzione porta a compimento l’ordine di fucilare Edith Cavell, infermiera britannica condannata per spionaggio. Vittima anche lei della storia di una guerra con un carico di crudeltà, follia e drammi umani che hanno mietuto troppe vittime.

Una storia, quella di Edith Cavell, che diventerà il simbolo propagandistico della Grande Guerra, ma che è rimasta nella memoria di tutti per il grande coraggio del suo operato durante gli eventi bellici. È ricordata, infatti, per aver aiutato i soldati durante la battaglia, ma soprattutto per aver favorito la fuga a circa 200 di loro. Azione, questa, che gli è costata la vita.

Prima di quattro figli, Edith nasce nel 1865 da Frederick Cavell, vicario a Swardeston e da sua moglie Louisa Sophia Warming. Da bambina, la piccola Cavell si appassiona al pattinaggio sul ghiaccio, alla danza e al tennis, prediligendo anche le attività artistiche. Insieme alle sue sorelle è indirizzata agli studi privati, ma è durante una vacanza in Austria e Baviera che, in occasione di una visita nell’ospedale diretto dal dottor Wolfenberg, scopre l’interesse nei confronti dell’infermieristica.

Un giorno, in qualche modo, farò qualcosa di utile, qualcosa per la gente. Molte persone sono così indifese, così colpite e così infelici.

Nel 1895, a seguito della breve malattia di suo padre, occupandosi di lui, Edith capisce di voler fare l’infermiera e, dopo alcuni mesi al Fountains Fever Hospital di Tooting, entra in addestramento al London Hospital. La partenza non è delle più facili, complice la società maschilista con la quale la donna deve fare i conti.

La vecchia idea che il lavoro per le donne è una disgrazia è ancora presente in Belgio, e le donne di buona nascita ed educazione pensano ancora che perderanno la loro classe sociale se impareranno a guadagnarsi da vivere da sé.

Nell’estate del 1897, insieme ad altre 5 infermiere, gestisce un’epidemia di febbre tifoide salvando molte vite e ricevendo una medaglia in merito. Due anni dopo, a Bruxelles, conosce il Dottor Antoine Depage e insieme a lui, fonda la École Belge d’Infirmières Diplômées, la prima scuola in Belgio per infermiere laiche. Un traguardo importantissimo, per lei e per la storia intera. Fino ad allora, infatti, del settore infermieristico si erano occupate solo le suore.

Con l’inizio della Prima Guerra Mondiale, e l’invasione del Belgio, molte infermiere vengono rimandate in patria ma Edith sceglie di restare per svolgere il suo ruolo. Nel 1915, però, i militari occupanti cominciano a destare il sospetto di una possibile via di fuga dei prigionieri inglesi attraverso l’ospedale.

Attività questa che vede il coinvolgimento della stessa Cavell che alla fine sarà condannata a morte e ritenuta colpevole di spionaggio e favoreggiamento. La sua esecuzione crea sdegno e orrore in patria e la sua morte diventa la simbologia propagandistica dei drammi di una guerra troppo barbara.

Di lei, oggi, resta il coraggio e il sacrificio di una donna la cui unica colpa è stata quella di vivere all’interno di un mondo violento e maschile, schiacciata dal peso stesso del ruolo che con tanta fatica si era costruita nella società.