Mangiare pesce crudo è un piacere: sashimi, carpaccio, tartare, spesso semplicemente conditi con un filo d’olio, sono sempre più presenti sulle nostre tavole. Ma non tutto si può affettare e servire così com’è. Saper distinguere quali pesci si prestano al consumo a crudo e quali invece è meglio evitare è essenziale, non per il gusto, ma per la sicurezza. Perché in cucina, l’istinto non basta: servono conoscenza e attenzione.
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La tendenza del pesce crudo in Italia: la tradizione
Il pesce crudo, in Italia, non è certo una novità dell’ultima ora. Se da un lato il sushi e il sashimi hanno fatto un po’ da apripista nei ristoranti, dall’altro esiste da sempre una tradizione tutta nostra, tra tartare, carpacci, marinature semplici e ricette regionali. Negli ultimi quindici anni però, qualcosa è cambiato: quella che era un’abitudine di pochi si è trasformata in una tendenza diffusa sulle tavole dei ristoranti, nelle case, nei buffet delle cerimonie. Il crudo è sinonimo di eleganza, leggerezza e gusto.
Se è vero, però, che il pesce crudo piace per la sua semplicità, è altrettanto vero che è proprio questa semplicità a renderlo delicato da trattare. La catena del freddo, la freschezza reale del prodotto, le lavorazioni: ogni passaggio serve per portare in tavola un piatto eccellente ma soprattutto sicuro. La verità è che la cultura del crudo, in Italia, c’è, e va solo riscoperta con consapevolezza.
Quali tipi di pesce si possono mangiare crudi?
Non tutti i pesci si prestano ad arrivare in tavola così come sono, senza passare dal fuoco, dal vapore o dalle marinature prolungate. Il tonno e il pesce spada, per esempio, sono tra i più amati: consistenza compatta, sapore deciso, facilità nel taglio. A seguire, troviamo la ricciola, il dentice, l’orata, ma anche scampi, gamberi rossi o viola che sembrano quasi sciogliersi al palato.
Le tartare e i carpacci che vediamo sempre più spesso nei menu gourmet o nei piatti da aperitivo nascono proprio da qui: da un’accurata selezione. Anche i crudi di mare, quelli veri, hanno una lunga storia: ostriche, fasolari, cozze e vongole servite con limone, patelle e uova di riccio (ingrediente super prelibato e raffinato) raccolte fresche sulla costa, secondo le tradizioni locali che resistono nel tempo.
Ma non basta sapere quale pesce si può mangiare crudo: bisogna anche sapere quando. Perché la freschezza, la lavorazione, l’abbattimento e il trattamento sono tutto. Un pesce appena pescato non è automaticamente sicuro, così come un pesce abbattuto male può rivelarsi rischioso anche se proviene da una specie “permessa”. Prima ancora del tipo, conta la tracciabilità. E dietro ogni piatto ben fatto, c’è sempre un bravo professionista che ha scelto con cura.
Quali pesci è meglio evitare di consumare crudi?
Esistono infatti specie che possono nascondere rischi gravi, soprattutto quando la lavorazione non è fatta come si deve. Il pericolo più noto è l’Anisakis, un parassita che può trovarsi nelle viscere e nei muscoli di molti pesci. Invisibile a occhio nudo quando è allo stadio larvale, per eliminarlo, servono alte temperature — almeno 60 °C — oppure un abbattimento termico che porti il pesce a -20 °C per almeno 24 ore (ma non sempre, come vedremo, a volte servono molte più ore).
I pesci più soggetti a questo tipo di contaminazione sono quelli cosiddetti “pinnati”, come la sardina, il merluzzo, il nasello, la triglia, l’acciuga, e in generale tutte quelle specie che vivono in acque fredde e profonde. Anche seppie, calamari e polpi — molluschi che non sono bivalvi — possono essere portatori, purtroppo, dello stesso rischio. In questi casi, la cottura resta la scelta più sicura.
Diverso il discorso per molluschi bivalvi come vongole, cozze e ostriche, che non ospitano l’Anisakis. Ma attenzione: vanno consumati vivi e freschissimi, perché il problema qui non sono i parassiti, bensì eventuali contaminazioni batteriche.
I crostacei, se crudi, sono generalmente più sicuri sotto questo aspetto, ma anche in questo caso non si può improvvisare: devono essere scelti con cura, lavorati in fretta e serviti appena puliti. La prima regola, quindi, è conoscere. La seconda: fidarsi solo di mani esperte. Il mare è generoso, ma richiede rispetto e competenza.
I consigli per mangiare pesce crudo in sicurezza
Servire pesce crudo — o semplicemente mangiarlo a casa — è un gesto che oggi sembra normale, ma resta una preparazione che richiede attenzione. Il primo punto da chiarire è che non tutto il pesce crudo è pericoloso: lo diventa quando viene trattato male o conservato nel modo scorretto. Ecco perché è fondamentale conoscere qualche regola base, che vale tanto per chi lavora in cucina quanto per chi prepara una tartare di salmone o tonno per cena tra amici.
Se non si dispone di un abbattitore professionale, il pesce va congelato per almeno 96 ore a una temperatura di -18°C. Solo così si può neutralizzare l’Anisakis, un parassita che si annida spesso nei pesci azzurri, ma anche in specie più pregiate come il dentice o il salmone.
Diverso è il discorso per i batteri, che possono essere eliminati solo con la cottura. Anche il norovirus, frequente nei molluschi bivalvi come ostriche e cozze, non si elimina con il congelamento: serve una filiera controllata, una confezione sigillata, e un’etichetta chiara. Se si legge “da consumare previa cottura”, non ci sono margini di errore: quel pesce non va mangiato crudo.
Meglio preferire pesce pescato e lavorato da fornitori affidabili, oppure scegliere tagli confezionati e destinati esplicitamente al consumo a crudo, che subiscono controlli e trattamenti rigorosi. Quanto alla preparazione, meno si manipola il pesce, meglio è. E infine, se non si è sicuri della provenienza o della freschezza, è sempre meglio cuocerlo.
Ricordiamo che con il pesce crudo, il condimento è tutto: basta poco per esaltare ogni boccone, senza coprire la delicatezza della materia prima. Un filo di olio extravergine d’oliva e qualche goccia di limone sono la base più semplice, ma ci si può spingere oltre. Il lime con la salsa di soia, ad esempio, per un tocco fresco e orientale, o per chi ama i contrasti, qualche goccia di aceto balsamico sul tonno è una sorpresa piacevole. Le erbe aromatiche, come il timo o il basilico, danno profumo. E il risultato è un piatto che si fa ricordare.