Una dimora storica nel cuore di Milano che ha una lunga storia da raccontare. Lei è Villa Necchi Campiglio, Signora dei primi anni ’30 ed eretta come casa unifamiliare su progetto di Piero Portaluppi, uno degli architetti italiani più famosi del periodo. Oggi, è una casa museo che ha una identità unica, circondata da un grande giardino in cui sorge un campo da tennis e una piscina enorme che detiene un primato ed è seconda solo a quella municipale del capoluogo lombardo.
Diverse le personalità si sono mosse tra le sue mura, da Enrico d’Assia – scenografo per il Teatro alla Scala – che soggiornava per lunghi periodo in una stanza ribattezzata in suo onore con il nome di Camera del Principe, alla Principessa Maria Gabriella di Savoia, che qui raggiungeva le sorelle Necchi, sue grandi amiche.
Indice
Chi erano i Necchi Campiglio
I primi proprietari della Villa provenivano dall’alta borghesia industriale lombarda colta. Il loro tenore di vita era quindi elevato, come traspare dalla ricchezza e dalle rifiniture di pregio dell’edificio che sembra essere stato costruito senza limiti di budget. Grande testimonianza su Milano del razionalismo italiano, stile architettonico di quegli anni, è composto da sale grandi e luminose arredate finemente con manufatti artigianali e con capolavori artistici di grande valore.
I Necchi Campiglio, in particolare le sorelle Gigina col marito Angelo Campiglio e Neda Necchi, sono stati attivi nel campo dell’imprenditoria fino alla fine degli anni ’60. La loro produzione si incentrava principalmente sulle ghise smaltate e sulle macchine da cucire professionali del marchio Necchi, che resistono ancora oggi ma chiaramente sotto diverso proprietario.
La storia della Villa
Villa Necchi Campiglio sorge in un’area adiacente al centro della città e, alla fine dell’Ottocento, era ancora circondata da giardini e orti privati per gran parte dell’area esterna. La sua costruzione inizia alla fine del 1800 con l’edificazione dell’Istituto dei Ciechi e continua in seguito con l’apertura delle nuove vie cittadine. La sua via Mozart ma anche le vie Serbelloni e Barozzi, inserite nella convenzione del 1907 tra il Comune di Milano e la Contessa Antonietta Sola-Busca che era allora proprietaria del Palazzo e del giardino Serbelloni. Le aree intorno a via Mozart sono state costruite dal 1926 attraverso il piano di lottizzazione dell’architetto Aldo Andreani.
La tranquillità e il silenzio inusuale di questa zona cittadina attirarono l’attenzione di Angelo Campiglio e delle sorelle Necchi, originari di Pavia, che da tempo desideravano una residenza a Milano. Acquistano quindi il terreno intorno al 1930 e affidano la progettazione a Paolo Portaluppi. L’edificio attuale viene terminato nel 1935 dall’Impresa Gadola. Il progetto rispecchia in pieno i desideri dei suoi proprietari, che restituisce una casa elegante ma comoda, moderna nella concezione degli impianti e delle attrezzature. Era dotata di ascensore e montavivande, citofoni e telefoni all’avanguardia per l’epoca, oltre alla grande piscina riscaldata che è la prima su proprietà privata dell’intero Comune di Milano.
Negli anni successivi, vengono riviste le aree esterne e l’arredamento di alcuni locali, in cui viene ammorbidito il razionalismo spigoloso di Portaluppi in favore di uno stile ispirato all’arte del ‘700.
La fuga dei Necchi Campiglio e l’istituzione della casa museo
A partire dal 1938, e per circa un ventennio, i Necchi Campiglio si avvalgono dell’architetto Tomaso Buzzi, a cui vengono commissionati la sistemazione dell’esterno e poi il rifacimento dell’arredo di alcuni locali, in uno stile ispirato all’arte settecentesca, più morbido ed elaborato rispetto all’essenzialità degli ambienti originari di Portaluppi. La Famiglia sfollò durante la seconda guerra mondiale nella villa di Barasso nel Varesotto. La Villa venne così requisita, diventando la residenza-comando di Alessandro Pavolini. Dopo la fine della Repubblica di Salò venne prima occupata dagli inglesi e poi divenne residenza del console dei Paesi Bassi. I Necchi Campiglio rientrarono in possesso dell’abitazione subito dopo.
Angelo Campiglio muore nel 1984, mentre le sorelle Nedda e Gigina sono venute a mancare rispettivamente nel 1993 e nel 2001. In mancanza di figli, le due sorelle si sono preoccupate di trovare una giusta destinazione per la residenza che hanno lasciato in eredità al FAI. La struttura è stata sottoposta a completo restauro sotto la direzione di Pietro Castellini e, in oltre tre anni di lavoro, la spesa è stata di circa sei milioni di euro. La Villa è aperta al pubblico dal 2008. Un anno dopo, nel 2009, è stata il set del film di Luca Guadagnino Io sono l’amore.
La particolarità dell’accesso sotterraneo
Villa Necchi Campiglio è oggi inserita nel circuito delle Case Museo di Milano e si distingue dalle altre perché sorge come una struttura unifamiliare indipendente e non come un Palazzo, come nel caso del Museo Poldi Pezzoli o il Museo Bagatti Valsecchi. L’abitazione è rientrata rispetto alla strada, aspetto che le garantisce la giusta privacy e che certamente era stato richiesto dai suoi proprietari. Sulla via Mozart, invece, si erge un corpo di fabbrica collegato alla struttura principale attraverso un sotterraneo e adibito a portineria e rimessa.
L’ambiente esterno racconta già moltissimo, con la linea rigorosa delle superfici che è sicuramente un tributo al razionalismo nascente del periodo della sua costruzione. Gli interni sono invece caratterizzati da elementi di art déco. Il piano rialzato era quello destinato al ricevimento e alla rappresentanza. Al primo piano c’erano invece le camere; il sottotetto era l’alloggio per la servitù; il seminterrato era destinato a locali di servizio e per i momenti di relax dei padroni di casa.
Gli arredi originali del seminterrato
Qui si trovano la cucina, che non è originale, la dispensa, la sala da pranzo per il personale di servizio, gli spogliatoi, le docce, il campo da tennis e la sala da biliardo che mantengono invece le disposizioni originarie. Una delle sale presenti nel seminterrato ospita una ricostruzione del primo tavolo della sala da pranzo del piano terra, oggi ancora utilizzata per eventi e conferenze.
La biblioteca del piano rialzato e gli appartamenti padronali
Dall’ingresso principale, si accede all’atrio con pavimento in noce e palissandro. Sulla sinistra troviamo la biblioteca, caratterizzata dal soffitto con decorazioni a stucco a forma di losanga. I volumi sono sistemati in ampi scaffali in palissandro a cui si aggiungono alcuni tavoli da gioco. Da qui si accede anche alla veranda con le pareti finestrate e il pavimento in travertino e marmo verde. Il salone, invece, è arredato da Tomaso Buzzi, che mise mano anche anche al salottino di gusto rinascimentale. Le pareti della sala da pranzo sono invece in pergamena e soffitto a stucco, sul quale campeggiano motivi naturalistici e astrologici.
Al primo piano si trovano gli appartamenti padronali, disposti in maniera simmetrica ai lati di un corridoio. La volta a botte è decorata con motivo a rete mentre ciascuno dei due appartamenti contiene uno spogliatoio, una stanza da bagno rivestita in marmo e una camera da letto. Dal disimpegno centrale si accede alle camere degli ospiti, quelle che erano soliti occupare Enrico d’Assia e Maria Gabriella di Savoia, che oggi ospita la collezione de’ Micheli.
Le collezioni
La Villa è aperta al pubblico dal 2008 e si può visitare in circa un’ora. La struttura è una vera e propria opera d’arte, arricchita con dipinti, sculture, arredi di pregio che in parte appartenevano ai Necchi Campiglio e in parte sono stati donati al FAI che li ha sistemati all’interno della casa. Tra questi ricordiamo la raccolta del primo Novecento di Claudia Gian Ferrari, nonché la collezione di dipinti e arti decorative del XVIII secolo di Alighiero ed Emilietta De Micheli.
La raccolta di pezzi d’arte del novecento curata personalmente da Nedda Necchi, con opere di Jean Arp, Gianni Dova, Lucio Fontana, Roberto Crippa, Mario Sironi, René Magritte, è andata invece perduta. La sua proprietaria l’aveva infatti venduta per finanziare l’Istituto di Umberto Veronesi, che era anche suo amico, ma conservò un solo pezzo. Si tratta dell’opera del pittore Giuseppe Amisani Il Cardinale Richelieu, catalogata tra i Beni Culturali della Lombardia.