Perché nella sessualità esiste ancora il doppio standard

Giudizi e aspettative legati al comportamento sessuale maschile e femminile sono formulati secondo due pesi e due misure. Un bias che alimenta le disparità.

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Veronica Colella

Sex Editor

Content writer con una laurea in Scienze antropologiche e un passato tra musei e archivi. Scrive di sessualità e questioni di genere da un punto di vista sex positive, con la consapevolezza che non esistono risposte semplici a psicodrammi complessi.

Quando si parla di doppio standard si fa riferimento a quel meccanismo secondo cui lo stesso comportamento viene valutato in maniera diversa a seconda di chi è a metterlo in atto. Non conta solo quello che si fa, ma anche chi lo fa. In materia di (etero) sessualità è ancora piuttosto radicato quello che vincola in maniera diametralmente opposta la reputazione al numero di partner. Per un ragazzo raccontare di essere andato a letto con molte ragazze è un modo di vantarsi, mentre una ragazza è incoraggiata a mantenere una certa discrezione e se possibile arrotondare per difetto il numero dei suoi ex, pena l’essere bollata come “facile”.

Alla base di questo particolare doppio standard c’è il preconcetto che vuole uomini e ragazzi sempre interessati al sesso (quasi a rasentare l’ossessione) e che affida invece a donne e ragazze il compito di frenare sia i loro bassi istinti che i propri. E ne esistono molti altri, legati alle aspettative su quello che è considerato appropriato o desiderabile a seconda del gruppo sociale a cui si appartiene. Persino una scelta del tutto soggettiva come depilarsi o non depilarsi, fa notare la sociologa Silvia Semenzin su Virgin & Martyr, può essere valutata secondo un doppio standard: un uomo che si depila è poco virile, una donna che decide di non farlo diventa una persona che si trascura.

Due pesi e due misure

Alla parola pregiudizio il più delle volte si associa un significato negativo, ovvero quello di un preconcetto che causa ingiustizie e disparità. Ma di per sé i pregiudizi non sono che un modo di semplificare la realtà e renderla più comprensibile, anche a costo di sbagliare. Sono le opinioni che formiamo per sentito dire, quelle in cui crediamo fino a prova contraria.

Ecco perché è facile continuare ad applicare due pesi e due misure finché non ci rendiamo conto delle storture e delle distorsioni che ne risultano. Come riporta uno studio pubblicato nel 2019 su Frontiers in Psychology, è importante determinare se preconcetti come questi abbiano una ricaduta sul benessere sessuale, ovvero l’abilità di esprimere e vivere liberamente la propria sessualità. Per esempio, indagando sul ruolo che possono giocare in atteggiamenti di colpevolizzazione della vittima quando si parla di molestie o stupri, oppure se possano o meno aumentare il rischio di contrarre malattie e infezioni sessualmente trasmissibili, o ancora se siano associati a una minore soddisfazione sessuale.

Esiste ancora un doppio standard?

Rispetto al 1956, anno in cui il sociologo Ira L. Reiss sottolineò per la prima volta il doppio standard nella sessualità sulle pagine di Social Forces, molte cose sono cambiate. La liberazione sessuale ha contribuito a stemperare molte disparità, ma siamo ancora lontani dalla piena uguaglianza sociale. E le tracce del vecchio schema di pensiero sono ancora riconoscibili.

Non è un mistero che anche il relativo privilegio accordato alla sessualità maschile abbia i suoi lati negativi fatti di ansia da prestazione e pressioni sociali nel conformarsi a un modello di mascolinità che non sempre rispecchia il proprio sentire e i propri desideri, oltre a promuovere atteggiamenti negativi se non aggressivi verso le donne che non si conformano agli ideali di femminilità nel proprio comportamento o nell’espressione di genere, come ha dolorosamente raccontato in Nanette la stand-up comedian Hannah Gadsby.

Per quanto sia diventato relativamente impopolare se non in ambienti conservatori, ritenere che i doppi standard sulla sessualità non abbiano presa sulle nuove generazioni è prematuro. Alcuni studi hanno addirittura ravvisato la nascita di un secondo doppio standard che penalizza la promiscuità maschile e non quella femminile, o una tendenza a essere più indulgenti con le persone del proprio sesso e a giudicare più rigidamente quelle del sesso opposto. In qualsiasi direzione lo si guardi, questo bias cognitivo tende a portare con sé giudizi morali e idee preconcette poco compatibili con una società aperta e rispettosa delle diversità.

Il ruolo dei media

Reality, video musicali, social e pornografia possono contribuire a rafforzare il doppio standard sul comportamento sessuale? Se lo sono chiesto gli autori di una ricerca olandese pubblicata nel 2021 su Archives of Sexual Behavior, indagando sul ruolo dei media nel formare aspettative e giudizi negli adolescenti insieme a quello della famiglia e del gruppo dei pari. E in effetti sembra proprio che in Olanda le due influenze più forti siano i coetanei e i media: a prescindere da cosa ne pensino i loro genitori, ragazzi e ragazze eterosessuali tendono ad applicare di meno il doppio standard quando frequentano gruppi di coetanei in cui si ha l’impressione che le ragazze siano sessualmente attive quanto i ragazzi.

Solo nel caso dei ragazzi invece l’aderenza al doppio standard sembra essere maggiore quando i media che consumano propongono modelli di comportamento che incoraggiano i ragazzi a essere più dominanti e le ragazze a essere più remissive. Ma una volta tanto non è colpa della pornografia: chi ne consuma di più appare meno convinto di questo stereotipo (anche se questo non implica che sia privo di preconcetti analoghi). Per tracciare rapporti di causa-effetto servono ulteriori ricerche, precisano i ricercatori, ma potrebbe essere una buona idea educare le nuove generazioni alle sfumature di comportamento – smorzando quindi aspettative irrealistiche promosse da un certo tipo di narrazione – o incoraggiare nelle ore di educazione sessuale discussioni su argomenti come lo slut-shaming, la coercizione sessuale e la pressione esercitata su ragazzi e ragazze, in un senso o nell’altro, anziché lasciarle che assimilino acriticamente i modelli proposti da social, video musicali e programmi televisivi.