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Tumore colon retto con metastasi peritoneali: nemico invincibile?

La panoramica attuale e i passi avanti della medicina nei confronti del tumore del colon-retto metastatico al peritoneo

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Redazione

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Il tumore del colon retto viene diagnosticato ogni anno in più di un milione e novecentomila pazienti al mondo con una mortalità stimata nel 2020 di 935.000 unità. Viene considerato il terzo tumore in termini di incidenza e il secondo in termini di mortalità.

Cosa fare in caso di tumore del colon retto

Queste neoplasie, in circa il 4%-6% dei casi presenta diffusione peritoneale già al momento della diagnosi, mentre in circa il 20% andrà incontro alla comparsa di metastasi peritoneali come ripresa di malattia soprattutto nei casi operati per lesioni localmente avanzate. Ma un dato particolarmente allarmante che ci proviene dall’America Cancer Society (Cancer 2022;128:299-310) riguarda il rapido incremento di questa neoplasia negli ultimi anni (2012-2017) nei soggetti di razza bianca non ispanici tra i 20 e i 49 anni, in una fascia di età per la quale non sono previsti screening di massa. Ed è questa la ragione per cui soggetti giovani vanno incontro al riscontro della malattia tardivamente in una fase avanzata senza aver avuto la possibilità di effettuare prevenzione.

Abbiamo raggiunto il Prof. Paolo Sammartino, professore universitario  dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Umberto I dell’Università Sapienza di Roma, e chirurgo specialista di fama internazionale nel campo della chirurgia oncologica nel trattamento delle neoplasie primitive o metastatiche del peritoneo.

Professore, oggi la diffusione peritoneale di un tumore del colon-retto rappresenta realmente una condanna senza appello per il paziente?

Bisogna certamente sottolineare che questo capitolo riguardante la diffusione peritoneale da cancro colorettale è quello che, negli anni scorsi, ha fornito ai cultori della materia più ombre che luci. Ma direi che le cose stanno rapidamente cambiando. Come sempre sottolineo, l’impostazione metodologica deve farci da guida. Come segnalato precedentemente esistono casi in cui la diffusione peritoneale è SINCRONA al cancro del colon-retto e casi in cui questa avviene come diffusione METACRONA dopo la prima chirurgia specie per tumori localmente avanzati e spesso nonostante l’adozione di una chemioterapia adiuvante. Si tratta di situazioni cliniche differenti e mentre nella prima in quasi tutti i pazienti si inizia con un trattamento chemioterapico, nella diffusione metacrona, almeno secondo alcuni, è possibile in casi selezionati procedere direttamente con la chirurgia. In ogni modo, sebbene anche studi recenti dimostrino che la chemioterapia sistemica nel trattamento delle metastasi peritoneali a partenza da cancro del colon retto non risulti di pari   efficacia rispetto alle metastasi polmonari ed epatiche, l’utilizzo sistematico del profilo molecolare della neoplasia come guida al suo trattamento sta migliorando velocemente i risultati. Attualmente abbiamo informazioni che ci permettono di selezionare meglio i pazienti e ottimizzare i risultati.

Oggi come stanno evolvendo questi trattamenti?

La situazione come dicevo sta migliorando sensibilmente sia perché siamo in grado di selezionare meglio i nostri pazienti sia perché i risultati della chemioterapia sistemica integrata da farmaci biologici sono, rispetto al passato, nettamente migliorati. Il nostro ruolo da chirurghi è quello di selezionare opportunamente i pazienti e scegliere il timing della chirurgia. L’adozione di tecniche di peritonectomia altresì definite come chirurgia citoriduttiva (CRS) in combinazione con la chemioterapia intraperitoneale ipertermica (HIPEC) è utilizzata da circa trent’anni in questa patologia. Una recente pubblicazione ha messo in luce che circa 3.800 pazienti affetti da metastasi peritoneali da cancro del colon retto, vengono annualmente sottoposti a CRS e HIPEC in 430 centri nel mondo. Ma l’atteggiamento del chirurgo è cambiato in quanto investiamo le nostre risorse sui pazienti nei quali sappiamo che potremo ottenere i migliori risultati. Rispetto al passato sottoponiamo a chirurgia pazienti con impegno peritoneale limitato ( 15/18 PCI), senza specifiche mutazioni (Braf) e soprattutto laddove la chemioterapia sistemica ci dimostra una sostanziale risposta. Questo peraltro ci permette di limitare le complicanze del passato indirizzando i nostri interventi in senso realmente curativo nei pazienti in cui siamo ragionevolmente certi di asportare tutta la malattia presente. Ovviamente non dobbiamo nascondere che l’ottimizzazione dei nostri risultati va a discapito della maggioranza dei pazienti che noi vediamo e che purtroppo siamo costretti ad escludere dai nostri trattamenti in quanto l’esperienza ci ha dimostrato l’inutilità di queste procedure laddove l’impegno peritoneale sia eccedente uno specifico cutoff.

Quali sono le prospettive che si palesano nel futuro di questa patologia?

Attualmente la ricerca clinica si muove in due direzioni.

La prima è quella di dimostrare (analogamente a quanto si è fatto per neoplasie ovariche con diffusione peritoneale) il valore prognostico dell’HIPEC combinata con la chirurgia citoriduttiva (CRS). Lo studio condotto da colleghi francesi (PRODIGE 7) recentemente pubblicato non è riuscito a dimostrare sull’intero campione analizzato un incremento prognostico nei casi sottoposti ad HIPEC. Purtroppo però lo studio è fallito per un errata impostazione dello stesso che permetteva l’accesso al trattamento a pazienti con un indice di coinvolgimento peritoneale eccessivo. Una subanalisi dello studio però ha dimostrato che ove si considerino i risultati ottenuti in pazienti con estensione della malattia peritoneale limitata (PCI 11-15), la combinazione della CRS con l’HIPEC permette di migliorare la prognosi. Ma al di là del ruolo dell’HIPEC il contributo più significativo dello studio PRODIGE 7 è stato quello di dimostrare come in entrambi i bracci randomizzati si sia ottenuta una sopravvivenza mediana di circa 40 mesi un dato difficilmente immaginabile quando queste procedure si sono sviluppate.

La seconda linea di ricerca è quella di prevenzione delle diffusioni metacrone. È di tutta evidenza che non abbiamo possibilità di prevenire lo sviluppo di una diffusione peritoneale sincrona ad una neoplasia colorettale. Ma certamente esistono caratteristiche di una neoplasia colorettale (ad esempio il coinvolgimento di tutte le tuniche intestinali con la perforazione della sierosa pT4a o l’invasione diretta di altre stutture pT4b) che lasciano presumere un alta possibilità di recidiva peritoneale metacrona. I risultati preliminari di uno studio spagnolo (HIPECT4) che suggerisce l’asportazione di alcuni target della malattia peritoneale (omento,ovaie) associata ad HIPEC in neoplasie coliche T4 nell’ottica della riduzione dell’incidenza delle recidive locali sembrano incoraggianti.