Bruciature, ecco perché il dolore rimane a lungo

A spiegare la differenza tra il dolore provocato dalle scottature e quello meccanico, causato per esempio dalle botte

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 10 Agosto 2020 16:17

Quanto ci fa male quando ci cade il classico olio caldo sulla mano, creando quasi immediatamente un’ustione? E soprattutto, quanto dura il dolore, a prescindere dalla formazione della vescica? Se è vero che non tutti i dolori sono uguali, è altrettanto innegabile che anche sul fronte della durata del fastidio la situazione cambia, per cui uno stress termico tende a creare problemi più a lungo della classica “botta”. Ma come mai? Uno studio che ha visto impegnata l’Università di Torino spiega i motivi di questa differenza.

Cosa succede in caso di ustione

La ricerca, condotta da un’equipe mista italiano-canadese, ha individuato un meccanismo nel midollo spinale che dimostra come il dolore di tipo termico tende a perdurare e amplificarsi di più rispetto al dolore di tipo meccanico.

Questa diverso comportamento dipende da un trasportatore del cloro, il KCC2, che condiziona la capacità dei neuroni centrali di inibire i diversi tipi di stimoli dolorifici. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Communications: primo autore dell’articolo è Francesco Ferrini, docente del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’ateneo torinese.

Sebbene siano entrambi stimoli dolorosi, una bruciatura lascia una sensazione di dolore più persistente rispetto a un pizzico o una puntura. Il dolore di tipo termico e quello meccanico rappresentano due modalità differenti e sono trasmesse al corno dorsale del midollo spinale attraverso delle vie specializzate.

I neuroni spinali, a loro volta, trasmettono l’informazione al cervello dopo averla rielaborata e filtrata. La capacità del midollo spinale di controllare gli stimoli dolorifici in arrivo dalla periferia è estremamente importante per evitare che stimoli non rilevanti siano erroneamente trasmessi al cervello come segnali dolorifici.

Questa modulazione è in gran parte dovuta al rilascio di trasmettitori inibitori (GABA o glicina), che inibiscono la comunicazione tra neuroni mediante l’ingresso di cloro. L’efficacia di questi trasmettitori inibitori è determinata dal KCC2, un trasportatore che mantiene basso il livello di cloro nei neuroni.

Se il trasportatore funziona bene, i trasmettitori inibitori sono più efficaci nel limitare il passaggio di informazioni dolorifiche. Grazie a questo studio si è scoperto che, in condizioni normali, i livelli di espressione del trasportatore di cloro, KCC2, sono più bassi nelle aree del midollo spinale che elaborano stimoli termici, mentre sono più alti in quelle che ricevono gli stimoli meccanici.

Ne consegue che i trasmettitori inibitori sono molto meno efficaci nel controllare uno stimolo termico (ad esempio una bruciatura), rispetto a uno stimolo meccanico (p.e. un pizzicotto). Ricevendo un’inibizione più debole, gli stimoli termici tendono ad amplificarsi e a sommarsi maggiormente, divenendo più rapidamente intollerabili.

Cosa cambia in pratica

“Il nostro studio – dichiara Ferrini – oltre a perfezionare le conoscenze sui meccanismi che regolano la trasmissione di segnali dolorifici nel sistema nervoso, può avere importanti conseguenze nella terapia del dolore.

È noto, infatti, che farmaci che agiscono potenziando il GABA, come le benzodiazepine, sono spesso poco efficaci come analgesici. Il nostro studio suggerisce che l’efficacia di tali trattamenti dovrebbe essere riconsiderata sulla base della specifica modalità dolorifica coinvolta.

Tali considerazioni possono essere estese anche alle manifestazioni di dolore cronico, come il dolore neuropatico, dove l’espressione della proteina KCC2 è fortemente ridotta. Uno dei sintomi più prominenti del dolore neuropatico è l’ipersensibilità agli stimoli meccanici, anche banali, come il contatto con i propri vestiti.

Si può supporre che in condizioni patologiche la riduzione dell’inibizione, dovuta all’abbassamento del KCC2, abbia effetti molto più drammatici proprio in quelle aree del midollo spinale dove l’inibizione è normalmente più efficace.

Pertanto, il controllo dell’inibizione spinale sugli stimoli meccanici, molto presente e robusto in condizioni normali, potrebbe essere del tutto annullato in condizioni patologiche, con la conseguenza che stimoli meccanici innocui possono essere erroneamente interpretati come stimoli dolorosi”.