Autismo, il paracetamolo in gravidanza: USA ed Europa a confronto

Il presidente americano Trump consiglia di evitare il farmaco, l'UE risponde. Cosa c'è da sapere

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Eleonora Lorusso

Giornalista, esperta di salute e benessere

Milanese di nascita, ligure di adozione, ha vissuto negli USA. Scrive di salute, benessere e scienza. Nel tempo libero ama correre, nuotare, leggere e viaggiare

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L’uso del paracetamolo in gravidanza è diventato un terreno di scontro tra Stati Uniti ed Europa. Alle parole del presidente americano, Donald Trump, che ha esortato a non assumere il farmaco durante i mesi di gestazione, primo hanno risposto alcuni esperti, poi sono arrivate le dichiarazioni ufficiali da parte delle autorità UE. Il messaggio è unanime: non ci sono prove del fatto che il medicinale possa aumentare il rischio di insorgenza di autismo nel nascituro.

Le rassicurazioni sull’uso del paracetamolo

Tra le prime autorità a intervenire sulla questione c’è stata quella britannica, la Medicines and Healthcare products Regulatory Agency (Mhra), che ha chiarito: “Se usato come indicato, il paracetamolo rimane l’opzione raccomandata per le donne in gravidanza per il sollievo dal dolore”. Ma anche l’Agenzia italiana del farmaco e poi l’ente europeo, l’EMA, hanno assunto posizioni analoghe. Proprio l’Autorità europea ha sottolineato che “al momento non ci sono nuove prove che richiederebbero modifiche alle attuali raccomandazioni dell’Ue per l’uso” del paracetamolo. Tradotto, significa che l’antidolorifico e antipiretico è ritenuto sicuro.

Gli esperti in campo: nessun nesso con l’autismo

Sono molti gli esperti che sono intervenuti per confermare la sicurezza del farmaco. Di recente il presidente dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs, Silvio Garattini, ha citato i risultati di una ricerca: “Quelli più importanti di cui disponiamo derivano da uno studio pubblicato lo scorso anno sul Journal of the American Medical Association. La ricerca, condotta in Svezia, ha considerato 2,5 milioni di donne in gravidanza, da cui sono derivati 185 mila neonati esposti al paracetamolo ed è emerso che non c’era nessuna differenza” tra chi aveva assunto il medicinale e il rischio che il nascituro potesse andare incontro ad autismo. Nonostante, come ricorda l’Ansa, lo scorso agosto un altro studio fosse giunto a risultati opposti, secondo Garattini si sarebbe trattato di un lavoro “meno attendibile di quello svedese”.

Cosa dicono le società scientifiche

“Gli studi di cui parla il Presidente degli Stati Uniti sono osservazionali sulla base di biomarcatori nel sangue del cordone o di analisi epidemiologiche non verificate da caso controllo – ha spiegato il Prof. Claudio Giorlandino, ginecologo e Direttore Scientifico del Centro di Ricerche Altamedica sottolineando che questo tipo di ricerche non sono sufficienti a stabilire un nesso di causalità – Non è la prima volta che accade: basti ricordare il caso dei vaccini, finiti ingiustamente sul banco degli imputati. Lo stesso vale per il paracetamolo: alcune ricerche osservazionali avevano suggerito un’associazione, ma lo studio più ampio e robusto, pubblicato su JAMA nel 2024 e basato su oltre due milioni di bambini, ha escluso una relazione causale”.  Tutte le principali società scientifiche, incluse l’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) e l’Italian College of Feto-Maternal Medicine presieduto da Giorlandino stesso, concordano sul fatto che il paracetamolo rimanga la prima scelta per trattare febbre e dolore in gravidanza.

Non prendere il paracetamolo può essere più rischioso

“Non trattare febbre o dolore può essere più dannoso che ricorrere al farmaco”, ha avvertito ancora Giorlandino, aggiungendo che “nessuna prova dimostra che il paracetamolo provochi autismo. La scienza smonta allarmi infondati, ricordando un principio semplice ma essenziale: curare quando serve, con buon senso”. La stessa Food and Drug Administration, cioè l’ente regolatore in materia di farmaci negli Stati Uniti, pur non escludendo un possibile nesso tra paracetamolo e autismo, ha sottolineato che finora “non è stata stabilita una relazione causale”.

Trump e la “nuova cura” dell’autismo

Il presidente americano non si è limitato a parlare del paracetamolo, ma riguardo all’autismo ha annunciato il possibile uso di un altro farmaco per contrastare proprio la malattia. Si tratta del leucovorin o acido folinico, già impiegato per ridurre gli effetti tossici di chemioterapici. La Food and Drug Administration ha fatto sapere di avere avviato l’iter di approvazione e la casa farmaceutica Gsk ha confermato di volerlo commercializzare. Si tratta, comunque, di un prodotto già noto alla comunità scientifica. “È vero e dimostrato da numerosissimi studi che ci sono miglioramenti in linguaggio e capacità cognitive nei bambini con autismo; non si tratta di una cura definitiva. I miglioramenti sono prevalenti in particolare nei bambini nei quali ancora persista l’attività autoimmunitaria contro il recettore alfa del folato”, afferma Giorlandino. L’esperto ha però chiarito la differenza tra l’autismo sindromico, di origine genetica, e l’autismo non sindromico, sempre più associato a meccanismi autoimmunitari.

Quali forme di autismo

“Negli ultimi vent’anni l’aumento dei casi (passati da 1:180 a 1: su 31 secondo le maggiori agenzie sanitarie) ha seguito in parallelo l’aumento delle malattie autoimmuni nelle donne – ha sottolineato Giorlandino – Questa ipotesi suggerisce che anticorpi materni diretti contro il recettore alfa del folato possano bloccare il corretto sviluppo cerebrale del feto. Se non si inizia a bloccare questo meccanismo nella vita fetale, si arriva troppo tardi ed i miglioramenti non sono tali da annullare i danni già prodotti in utero. Questa chiave autoimmunitaria spiega anche perché l’autismo colpisca più i maschi che le femmine: le placente delle bambine filtrano gran parte degli anticorpi materni, mentre quelle dei maschi lasciano passare più facilmente le immunoglobuline verso il cervello in formazione”. “È certo un filone interessante, che deve essere esplorato”, ha commentato direttore della Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Tor Vergata di Roma, Luigi Mazzone, all’Ansa. “È possibile che qualche persona con autismo ne tragga beneficio, ma potrebbe essere dannoso per altri”, ha però aggiunto.