Vivere per lavorare o lavorare per vivere? È questa una delle domande più popolari degli ultimi tempi, la stessa che ci costringe a fare i conti con una realtà sempre più evidente, e spesso disarmante: siamo diventati schiavi del nostro lavoro?
Tutta colpa di quel mito della produttività che ci accompagna da sempre e che ci ha in qualche modo convinti che sia la nostra professione a caratterizzarci come persone, a definire la nostra identità. E se è indubbio che il lavoro nobilita l’uomo, come mai siamo tra i Paesi più tristi d’Europa proprio a causa del lavoro?
La consapevolezza di una sorta di insoddisfazione collettiva, ormai, appartiene a tutti. Ed è per questo motivo che molti Paesi in Europa hanno iniziato una rivoluzione nel campo del lavoro comprendendo, prima di altri, che un’azienda sana, fortunata e di successo diventa tale solo se c’è benessere tra i dipendenti, solo se loro riescono a trovare il giusto equilibrio tra vita privata e professionale. Perché quando quello c’è, questo è chiaro, la produttività non ne risente. Ecco perché in molti territori europei, e non solo, è stata introdotta la settimana di lavoro corta. Ecco perché anche in Italia, qualcuno, ha deciso di cambiare le cose.
Cos’è la settimana corta da 4 giorni?
Ne abbiamo parlato più volte della settimana lavorativa di soli 4 giorni, perché in alcuni territori europei è già realtà. E, vi anticipiamo, che si è rivelata un successo.
L’Islanda lo aveva previsto prima di tutti gli altri: lavorare solo quattro giorni a settimana, lasciando invariata le retribuzione, non solo fa bene ai lavoratori, ma porta anche benefici all’azienda. La sperimentazione effettuata sul territorio lo ha confermato, così come lo ha fatto anche il Belgio quando ha scelto di concedere ai dipendenti una mini settimana lavorativa, con tanto di garanzia di disconnessione al di fuori degli orari di lavoro.
Lo hanno fatto anche la Spagna, la Scozia e pure il Giappone, il Paese tristemente noto per le sue morti sul lavoro. E ultimo, ma non meno importante, il Regno Unito che ha aperto la strada alla settimana lavorativa di quattro giorni con un progetto pilota che ha già dato grandi risultati. E l’Italia?
Nel Belpaese, lo sappiamo, le proposte di legge ancora non si sono spinte fin qui. Ma per fortuna, dove non arrivano queste, ci pensano i privati a fare da apripista, come il caso dell’istituto di credito Intesa San Paolo, che ha scelto di introdurre la settimana corta lavorativa in azienda. Vediamo come funziona.
La proposta di Intesa San Paolo: 4 giorni da 9 ore con lo stesso stipendio
La notizia, della proposta di Intesa San Paolo, ha già fatto il giro del web e non solo, perché sono in molti a sperare che questo modello possa essere adottato da tante altre realtà territoriali.
Come abbiamo anticipato, presto i dipendenti dell’istituto di credito italiano – esclusi per il momento quelli delle filiali per una questione organizzativa – si ritroveranno a cambiare la loro quotidianità, potendo forse trovare il tanto agognato equilibrio tra tempo libero e professione. A differenza dei modelli adottati dagli altri Paesi sopra citati, però, quello di Intesa San Paolo non prevede una vera e propria riduzione dell’orario di lavoro, quanto più una ridistribuzione delle ore lavorative.
La settimana corta proposta dall’istituto bancario, infatti, prevede 4 giorni di lavoro da 9 ore, con lo stesso stipendio. Inoltre verrà consentito ai dipendenti di poter lavorare in smart working per un totale di 120 giorni all’anno.
Il modello proposto, come abbiamo anticipato, non prevede una vera riduzione di lavoro, quanto più una riorganizzazione dello stesso che per ora non coinvolge le filiali ma che permetterà ad alcuni dipendenti di poter conciliare al meglio il tempo libero con il lavoro.