Pakhshan Azizi, condannata a morte in Iran per aver aiutato donne e bambini

Il mondo si mobilita per la condanna a morte dell’attivista umanitaria curda Pakhshan Azizi, condannata a morte per ribellione, ma che in realtà lavorava per aiutare donne e bambini nei campi profughi

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Sara Gambero

Giornalista esperta di Spettacolo e Lifestyle

Una laurea in Lettere Moderne con indirizzo Storia del Cinema. Appassionata di libri, film e del mare, ha fatto in modo che il lavoro coincidesse con le sue passioni. Scrive da vent’anni di televisione, celebrities, costume e trend. Sempre con un occhio critico e l'altro divertito.

Pubblicato: 14 Gennaio 2025 10:51

Dopo i riflettori puntanti sulla vicenda di Cecilia Sala, la giornalista italiana che era stata arrestata in Iran e che per fortuna, grazie alla mediazione del nostro Governo, è stata rilasciata, il mondo si sta indignando e mobilitando per un’altra giovane donna: l’attivista umanitaria Pakhshan Azizi.

Azizi, prigioniera politica curda, è stata condannata a morte dalla Corte Suprema dell’Iran e sarà impiccata a Evin. L’accusa del regime è quello di “baghi”, ovvero di ribellione armata contro lo Stato: è accusata di appartenere a gruppi impegnati in attività armate contro la Repubblica islamica. In realtà la quarantenne è una operatrice umanitaria, la cui unica colpa è quella di aver aiutato, tra il 2014 e il 2022, donne e bambini sfollati in seguito agli attacchi del gruppo armato dello Stato islamico e ospitati in campi nel nord-est della Siria e nella regione del Kurdistan iracheno.

L’accusa formale di “collaborazione con il Partito per una Vita Libera in Kurdistan (PJAK)”, considerato un gruppo terroristico dal regime, è stata accompagnata da prove inesistenti. Il processo contro di lei si è svolto a porte chiuse, senza la presenza di osservatori indipendenti. Il verdetto, emesso nel luglio 2024, è stato il peggiore possibile, una condanna a morte.

Chi è Pakhshan Azizi, condannata a morte in Iran

Azizi ha 40 anni ed è un’operatrice umanitaria: ha lavorato nel Kurdistan iracheno e nel nord della Siria, in particolare nei campi profughi di Sinjar. Era arrestata a Teheran il 4 agosto 2023, con il padre, la sorella e il cognato.

Come riportato dall’Huffington Post: “Nata a Mahabad, una città a maggioranza curda situata nel nord-ovest dell’Iran, Pakhshan Azizi è cresciuta in una comunità emarginata, vittima di sistematica discriminazione e lei ha dimostrato fin da giovane un forte spirito di solidarietà e una determinazione incrollabile a migliorare le condizioni della sua comunità. La sua passione per la giustizia sociale l’ha portata a iscriversi all’Università Allameh Tabataba’i di Teheran, dove ha conseguito una laurea in assistenza sociale. Durante gli anni universitari ha iniziato a distinguersi come una figura attiva e coraggiosa nel sostenere i diritti delle donne e delle minoranze etniche. I suoi compagni di studio la ricordano come una persona determinata, sempre pronta a difendere i più deboli, anche a rischio di attirare l’attenzione delle autorità. Dopo la laurea, ha lavorato per diverse organizzazioni non governative, specializzandosi nel supporto psicologico e materiale alle donne e ai bambini sfollati nei campi profughi nel nord-est della Siria. Là, Azizi ha avuto modo di sperimentare in prima persona le difficoltà delle comunità devastate dalla guerra, un’esperienza che ha rafforzato la sua convinzione che il cambiamento sociale passi attraverso il coinvolgimento delle donne come agenti di trasformazione. La sua attività non si è limitata al lavoro umanitario. Azizi è diventata una figura di spicco sui social media, utilizzando piattaforme come YouTube per denunciare le violazioni dei diritti umani in Iran. Nei suoi video, spesso registrati in modo semplice ma incisivo, raccontava le storie di persone dimenticate, documentava la vita nei villaggi curdi e portava avanti un messaggio di resistenza pacifica contro l’oppressione”.

Azizi, le accuse e l’arresto nel 2023

Azizi è accusata di appartenere a gruppi impegnati in attività armate contro la Repubblica islamica. Era già stata arrestata dalle forze di sicurezza il 16 novembre 2009 per aver protestato contro l’esecuzione di Ehsan Fattahian ed era stata rilasciata su cauzione dopo quattro mesi.
I suoi avvocati hanno negato qualsiasi legame con le organizzazioni. Amnesty International ha definito il processo ad Azizi “gravemente ingiusto”. Si legge sul sito di Amnesty: “Appartenente all’oppressa minoranza etnica curda dell’Iran, la donna è stata accusata di ‘ribellione armata contro lo Stato’ solo in relazione alle sue attività pacifiche per i diritti umani e umanitarie”.

Azizi, l’appello di Amnesty per la liberazione immediata

Si legge sempre su sito di  Amnesty: “Il 4 agosto 2023, agenti del ministero dell’Intelligence hanno arrestato arbitrariamente Pakhshan Azizi e l’hanno sottoposta a sparizione forzata. Dopo il trasferimento nella prigione di Evin a Teheran è stata tenuta in isolamento prolungato per cinque mesi senza poter parlare con un avvocato o con la sua famiglia.
Durante questo periodo la donna è stata sottoposta a torture e altri maltrattamenti per costringerla a “confessare” legami con gruppi di opposizione curdi, da lei ha ripetutamente negati. All’inizio di dicembre 2023 è stata trasferita nel reparto femminile della prigione di Evin.
Il processo di Pakhshan Azizi, svoltosi in due sessioni il 28 maggio e il 16 giugno 2024, è stato gravemente iniquo. Il suo ricorso è stato respinto dalla Corte suprema.

Chiediamo l’annullamento della condanna a morte per Pakhshan Azizi e la sua liberazione immediata e senza condizioni”.

Pakhshan Azizi
Fonte: IPA
Pakhshan Azizi

Azizi, la sua lettera testamento dal carcere

Pakhshan Azizi è riuscita a far uscire dal carcere di Evin una sorta di lettera-testamento morale, dal titolo “Nascondere la verità e la sua alternativa”. Vi si legge: “Coloro che hanno imboccato la strada della verità e della libertà hanno dato un nuovo significato alla vita e alla morte. Non temiamo la morte, ma temiamo una vita senza dignità e in schiavitù. La vita libera inizia dove le donne (le più antiche colonizzate) vivono con fermezza e risolutezza per il loro onore e la loro dignità, abbracciando la morte per una vita libera. Sharifeh Mohammadi, io e le altre donne nel braccio della morte non siamo le prime e non saremo le ultime donne a essere condannate semplicemente per aver cercato una vita libera e dignitosa. Ma senza sacrificio, la libertà non può essere raggiunta. Il prezzo della libertà è alto. Il nostro crimine è collegare genere, vita e libertà”.

Iran, l’aumento allarmante delle esecuzioni

L’uso della pena di morte in Iran come strumento di repressione è particolarmente allarmante. Secondo i rapporti di Amnesty International, l’Iran è tra i paesi con il più alto numero di esecuzioni al mondo, molte delle quali riguardano dissidenti politici e membri di minoranze etniche.

Nell’anno appena concluso, c’è stato un aumento senza precedenti delle esecuzioni: 901. A dicembre, in una settimana sono state uccise quaranta persone. È raddoppiato anche il numero delle donne impiccate: 34. Quasi un terzo di queste sono state giustiziate durante la presidenza del riformista Masoud Pezeshkian.