Loretta Falcone, una madre lo sa. Figuriamoci una mamma scienziata

Quando al figlio di 12 anni viene diagnosticata la schizofrenia rispolvera gli studi scientifici trovando la diagnosi corretta. E la cura

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Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Quello che è capitato a Loretta Falcone, scienziata italo americana, di stanza alla Nasa nella Silicon Valley, è uno degli incubi peggiori che ogni madre teme di dover affrontare nella sua vita: la diagnosi di una malattia bastarda e devastante per il figlio, appena dodicenne.

Il bambino comincia improvvisamente a presentare disturbi ossessivo-compulsivi, ansia, depressione, angoscia, tic motori e vocali, dal nulla, senza che nessun sintomo potesse presagirlo. La diagnosi non le lascia scampo: schizofrenia.I medici decidono per il ricovero in una struttura psichiatrica per diciassette giorni, ma Loretta non è convinta, come mamma prima e come scienziata poi, dell’operato dei dottori, c’è qualcosa che non le quadra in quella situazione, e allora fa quello che è abituata a fare per lavoro, mette in discussione la diagnosi partendo dalle ipotesi, per arrivare alla tesi.

Una cosa che proprio non le torna è come sia possibile che questa malattia così invalidante si sia mostrata all’improvviso dopo una faringite, così si mette a studiare tutto quello che riguarda i sintomi avuti dal figlio, cercando un appiglio. Trovandolo. Il bambino non soffre affatto di schizofrenia, è stato colpito da PANDAS, acronimo di Disturbi Neuropsichiatrici Infantili Autoimmuni Associati a Infezioni da Streptococco. In pratica la faringite aveva scatenato una reazione che aveva provocato un’infiammazione del cervello, che a sua volta aveva fatto manifestare i sintomi scambiati per schizofrenia. Salvando il figlio dalla prescrizione di psicofarmaci che avrebbero reso la vita di questo bambino invalidante. Per questo ho deciso che avrei dovuto intervistare questa donna meravigliosa, per dimostrare come a volte l’ostinazione di una madre, sia pari all’amore che quest’ultima prova per suo figlio.

Perché una madre lo sa.

Come hai deciso di diventare scienziata? Se sei una donna è più difficile? Cosa c’è nello spazio che non trovi sulla terra? Ti piacerebbe diventare astronauta?

Chi è Loretta Falcone?
Sono una madre. Vivo nella Silicon Valley e lavoro per la NASA pianificando la prossima missione robotica al polo sud della luna. Prima vivevo vicino a Como, in Italia.

Torniamo indietro nel tempo a quando tuo figlio comincia a stare male, cosa ti ricordi di quel giorno?
La mattina inizia come tutte le altre mattine, ma non mi sentivo bene. Avevo mal di gola e torno a casa per dormire. Più tardi quel pomeriggio la scuola mi chiama per dirmi che mio figlio non stava bene, quando vado a prenderlo mi dicono che sente delle voci. In quel momento mi è crollato il mondo addosso. Come era possibile? Il giorno prima stava bene, aveva solo un po’ di mal di gola e il giorno successivo decidono di ricoverarlo in una struttura psichiatrica. Ho avuto paura. Tanta.

La diagnosi è schizofrenia con un ricovero in una struttura protetta, hai avuto paura di perderlo?
All’inizio l’ipotesi era che si trattasse di allucinazioni, che a loro volta potevano essere un sintomo di schizofrenia, ma sembrava insolito. L’insorgenza di questi ultimi è avvenuta durante la notte, ero molto preoccupata, l’ospedale stesso era difficile, l’atmosfera tesa. Mi sentivo confusa e sentivo crescere l’ansia, poi sono stata sopraffatta dalla paura. Mio figlio era triste e preoccupato, non stava migliorando. E ho sentito un’immensa oscurità. Non sapevo da dove cominciare. Non sapevo cosa fare se non sedermi accanto a lui.

Cosa ti ha spinto a mettere in discussione la diagnosi?
Il fatto che mio figlio non stesse migliorando. A un certo punto mi ha guardato e ha detto: “Mamma, aiutami”. E se tuo figlio ti chiede aiuto tu non puoi fare altro che quello. Cercare di aiutarlo. In tutti i modi. Così ho iniziato a studiarlo e cercando di capire cosa potesse essere successo, da dove fosse arrivato quel cortocircuito.

Quanto il tuo essere una scienziata ha influito nellìaffrontare la malattia di tuo figlio? E quanto il tuo essere madre?
Per me la scienza è sempre una questione di emozioni. La natura della mia esperienza come scienziato era di mettere in discussione le ipotesi e di comprendere un modello di ragionamento, come donna di scienze ho dovuto affrontare molte avversità, perché l’innovazione e la messa in discussione minacciano le persone che pensano di avere più da perdere. So che le nuove idee non sono facilmente accettate. Ma la scienza è un processo di esplorazione, messa in discussione e verifica. Siamo sempre in evoluzione. Nell’affrontare la malattia di mio figlio credo di essermi fatta guidare da entrambe le mie personalità, l’essere una scienziata mi ha aiutata ad elaborare le ipotesi, l’essere madre mi ha aiutata a trovare una soluzione.

Quando hai scoperto che si trattava di PANDAS come hai fatto per farti ascoltare?
Ho messo insieme una presentazione e ho chiesto un incontro con i medici. Ho spiegato l’eziologia dell’ipotesi di PANDAS e ho chiesto una coltura di streptococco. Ma è stato negato, anche se supportato da altre indicazioni di sviluppo di infezione. I medici non hanno accettato l’ipotesi, e non hanno nemmeno richiesto il semplice tampone. L’ho portato via, e dopo l’esito positivo di quest’ultimo, mio figlio è stato curato con antibiotico, ed è guarito. Adesso frequenta l’università e sta bene.

Dove si trova la forza per reagire agli eventi?
Le avversità costruiscono il carattere, è utile ricordare i nostri precedenti successi per affrontare un nuovo problema. In generale, penso che sia importante lavorare con amore e per aprire le porte agli altri in modo che non debbano attraversare la stessa paura. Siamo tutti una grande famiglia.

Ti sei trasformata nel dottore di tuo figlio salvandolo, è come se tu lo avessi partorito una seconda volta, non credi?
La paura ha dato vita alla speranza, la speranza accende la possibilità nell’oscurità. In un certo senso questo processo è l’evoluzione e la nascita di un’idea – un nuovo modo di pensare. Siamo rinati entrambi quando lui è guarito.

Come hai deciso di diventare scienziata? Se sei una donna è più difficile?
Ci sono alcuni sogni d’infanzia che diventano realtà, il mio desiderio di lavorare con la NASA è nato quando ero una bambina, era pura passione. Anni fa, come donna in STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics, ndr.) era difficile lavorare in un mondo di uomini. All’università c’erano pochi bagni per noi, alla NASA quando ho iniziato eravamo pochissime, ma ora le squadre hanno più donne e l’ambiente di lavoro è positivo. Lavoriamo tutti nello stesso team e guidiamo l’innovazione per esplorare l’ignoto. Perché noi donne non ci lasciamo mai abbattere, se c’è un problema cerchiamo una soluzione.

Figuriamoci una mamma.

Loretta Falcone