Giulio Beranek è senza dubbio uno degli attori più intensi e versatili della sua generazione. Ha esordito ventenne in Marpiccolo, che l’ha “rapito” dal mondo delle giostre e catapultato in quello dello spettacolo. Salvandogli la vita, lui dice. Oggi è uno degli interpreti più richiesti del nostro cinema. Su Sky si può vedere (chi non lo ha ancora fatto si sbrighi, perché è una piccola meraviglia) I re del luna Park, docu-serie in 4 puntate che racconta il suo mondo, quello dei dritti, degli “esercenti dello spettacolo viaggiante”, con tutte le sue luci e ombre. Concentrandosi sui Monti Condesnitt, una delle famiglie di giostrai pugliesi più famose: la sua. Abbiamo fatto una bella chiacchierata in cui ci ha raccontato tanto della serie e di sé, confermandoci come brave docenti possano salvare vite, come le donne, nella sua famiglia, abbiano tutte le “palle” e come abbia perdonato, scegliendo di essere un uomo in pace, libero da rabbia e rimorsi. Non chiedetegli, però, di andare in vacanza in camper.
Come è nato I re de Luna Park?
Più di 15 anni fa, tra il 2008 e il 2009, il regista Emanuele Tammaro aveva iniziato a fare delle riprese all’interno del luna park di Taranto, dicendo: “È un mondo pazzesco, meraviglioso, dobbiamo raccontarlo”. Ai tempi stavo già scrivendo i mio primo romanzo, Il figlio delle rane, e con lui abbiamo iniziato a realizzare un documentario che si chiamava I dritti, gente del viaggio che avevo finanziato personalmente. Ci siamo dovuti fermati per mancanza di fondi, nel frattempo ho pubblicato il romanzo e solo successivamente ho ripreso in mano il materiale girato, scrivendo il soggetto di una serie in quattro puntate, che copre un arco temporale di 17 anni. Il mio intento è sempre stato quello di scrivere un film su questo mondo. Per adesso siamo (io e Marco Pellegrino, il regista e coautore del mio libro) riusciti a scrivere un romanzo e una serie documentaristica: speriamo di riuscire a realizzare anche il terzo traguardo.
Perché desideravi così tanto raccontare questo mondo?
Da quando ho cominciato a fare l’attore a 20-21 anni, e anche quando mi sono poi trasferito a Roma, ho sempre desiderato raccontare la mia esperienza. Principalmente per me, in realtà. Quando il cinema è diventato il mio mestiere mi sono detto: da tutti questi traumi dovrò pur tirar fuori e costruire qualcosa di bello.
Cosa speri che pensi la gente vedendolo?
Vorrei avvicinare le persone che non vivono e conoscono questa vita, al mondo dei giostrai, o meglio “degli esercenti dello spettacolo viaggiante”. Quelli pugliesi, perché non ho mai avuto la velleità di raccontare in toto questo mondo. Ci sono circensi e giostrai in tutta Italia, e sono una categoria di lavoratori e di imprenditori che come delle spugne assorbono il contesto i cui vivono. La Puglia è un mondo a sé. Per questo i giostrai che racconto io nella serie non saranno mai uguali agli esercenti del Veneto del Piemonte o della Lombardia. Aggiungo che la Puglia è un contesto particolare che per forza di cose ha dato vita a questo tipo di storia.
Tua nonna, tua mamma Ketty, tua zia Manola: le donne sembrano essere i personaggi più positivi e forti di questo mondo. Sbaglio?
Verissimo, è un mondo solo di facciata machista, in realtà matriarcale. Anche per forza di cose: nella mia famiglia mia nonna ha avuto sei figlie femmine e un maschio. Per quanto sia un mestiere fatto di viaggi, lunghe distanze, montaggi e smontaggi e tanta fatica fisica, oltre al fatto che tutte le donne cresciute in un luna park sanno fare queste cose, la gestione del rapporto col pubblico è in mano loro. Aprono le giostre, imboniscono il pubblico. Nella mia famiglia in particolare, poi, si parla di donne “con le palle” che si sono sostituite agli uomini. E forse se fossero state proprio tutte donne si sarebbero evitati tanti problemi.
Il ricordo più bello e quello più brutto di quegli anni?
Ho ricordi belli e brutti di varie fasi della mia vita. Uno in particolare, che mi porto più dietro, è quello che ho anche scritto all’inizio del mio romanzo: quando mi spogliarono in una classe perché non avevo il grembiule. Avevo sette anni e fu un momento traumatico. Già allora vivevo con il pregiudizio addosso, quello di essere il bambino che viveva nelle roulotte, lo zingaro, lo sporco. In realtà non avevo il grembiule perché quando arrivavamo in una città c’erano sempre quei primi giorni di assestamento in cui dovevamo attaccare la luce, il gas, sistemarci. Una maestra, non particolarmente umana e comprensiva, mi disse: “Se vieni di nuovo senza grembiule ti lascio in mutandine e canottiera”, e così fece. In realtà non riuscì del tutto perché scappai (ride, ndr) Mentre quello più bello è legato al ricordo di mia madre che il giorno dopo andò a scuola e mi vendicò.
Fortunatamente nella tua vita le maestre non sono state tutte così: una in particolare è stata l’artefice dell’inizio della tua carriera cinematografica, proponendoti per il provino di Marpiccolo, da cui tutto è cominciato.
Lei è stata l’operatrice scolastica per eccellenza, come dovrebbero essere tutte. Perché quando la scuola e i docenti sono delle persone capaci e umane salvano davvero vite, come nel mio caso. Da ex alunno, oggi uomo e padre, mi ricorderò sempre di lei: ogni volta che posso le scrivo, passo a trovarla. Oltreché una grandissima insegnante è stata una persona meravigliosa che ha fatto il suo lavoro alla perfezione. Comunque sono stato fortunato, perché oltre a lei, tutti i docenti che ho avuto, anche al liceo, mi hanno amato profondamente. Forse mi sono anche fatto voler bene ma ho sempre trovato delle persone aperte, curiose e desiderose di conoscermi.
Ad un certo punto dici: “Il problema del luna park in Puglia è la Puglia”. Pensi che se fosse stato da un’altra parte d’Italia, magari al nord, certe cose non sarebbero successe?
So per certo che in Sardegna o a Roma o in Lombardia, colleghi e parenti che avevano le giostre e vivevano lì non hanno mai dovuto stampare un blocchetto di biglietti omaggio. In Puglia c’è questo problema, e noi siamo arrivati al punto di dover dare un “obolo” volontario per poter vivere e lavorare tranquilli. Perché comunque lo pretendevano: in alcuni paesi, a tasso di criminalità più elevato, più di altri. È una pratica tipicamente meridionale, di una certa parte del Meridione.
Ad un certo punto nella serie irrompe anche la guerra dei Balcani, con il dramma di tuo zio che ne è stato “risucchiato”. Tuo papà è di Belgrado. Che ricordi hai di quegli anni?
Io ero piccolo ma quando venne bombardato l’edificio vicino casa di mia nonna nel ‘92, lo ricordo bene: avevo 7 anni, eravamo in Grecia (ho vissuto lì dai 7 ai 16 anni), e ricordo perfettamente l’apprensione di mio padre e dei miei zii. Mia nonna viveva a Belgrado, quindi la guerra, la paura dei bombardamenti, l’ho vissuta eccome.
Ti faccio una domanda personale (che solo chi ha visto la serie può capire): hai perdonato tuo zio Amilcare?
In parte sì, perché crescendo sono diventato una persona che ha scelto di non vivere di rimorsi e rabbia. E in parte perché ho capito che forse l’unica maniera per aiutare un ragazzo come me, che aveva già preso per i fatti suoi una determinata strada, era cercare di metterlo in guardia. Per altri versi non si può perdonare uno zio che instaura un rapporto del genere con un nipote. Da padre non lo perdono, da nipote, sapendo che tipo di persona ero in quel periodo, lo capisco. Ho sempre pensato che fossimo due leoni, uno grande e uno piccolo: lui fondamentalmente mi ha insegnato a cacciare. Oggi sono sereno nei suoi confronti, quando ci siamo rivisti per fare l’intervista che compare nella serie, non c’erano tensioni. Lui si è raccontato a cuore aperto e ho apprezzato tantissimo il suo volersi liberare. La sua onestà e il coraggio di spogliarsi davanti a tutti.
Da spettatrice non sono riuscita a etichettarlo come negativo a tutto tondo, mi ha fatto anche tenerezza sotto certi aspetti
Quando sono venuto a conoscenza di alcuni fatti che ignoravo, mi sono spiegato tante cose e per certi versi ha fatto tanta tenerezza anche a me.
Se non fosse arrivato il cinema nella tua vita, capitato quasi per caso, cosa faresti oggi?
Di certo non avrei continuato a fare il giostraio, perché era un mondo che si era troppo “sporcato”, si erano persi dei valori fondamentali. Ad oggi sostengo che il cinema mi abbia letteralmente salvato la vita. Non a caso la figura salvifica nella mia esistenza è la professoressa di cui cui parlavamo sopra e il momento chiave è rappresentato dall’ingaggio in Marpiccolo. Senza di loro non sono come sarei oggi.
Quale è stato il ruolo più difficile e quale quello che ti ha dato più soddisfazioni?
Quello che mi ha dato più soddisfazioni è Lorenzo di Tutto può succedere perché è stato un personaggio molto amato dal pubblico. Nonostante fosse un ruolo piccolo è entrato nel cuore di tantissima gente e io non c’ero abituato. Il più difficile per intensità e mole di lavoro è stato Gerri, ispettore di polizia protagonista dell’omonima serie che dovremmo vedere in tv in primavera, su Rai 1.
Pensavo mi dicessi “il Biondo”, il demone di Christian
In realtà no, quelli sono personaggi che faccio col pilota automatico. Quando Stefano Lodovichi (regista della serie, ndr) mi propose il biondo, e avevamo già lavorato insieme ne Il Cacciatore, lui sapeva che quella era “roba mia”. Lì mi diverto proprio, sono nel mio, anzi rischio di strabordare, mi si deve contenere!
Perché i ruoli da cattivo ti vengono meglio, li senti più nella tua pelle?
Sì, anche se mi ritengo una persona molto romantica, ruoli come Farinella o il Biondo, sono personaggi che mi vengono facile. Però ho molta curiosità di vedere il riscontro nel pubblico di Gerri, questo mio nuovo ruolo, ispettore di polizia “ingarbugliato”, un personaggio tridimensionale (tratto dai romanzi di Giorgia Lepore). Ecco, lì ho dovuto lavorare di più sulla tecnica attoriale. In 112 giorni ne ho lavorati 109, perché è presente in ogni frame. È stato molto intenso.
Vivi ancora nel “campino”, i tuoi figli stanno crescendo come sei cresciuto tu?
In questo preciso momento sono qui con loro a Taranto, in roulotte, perché devo iniziare a girare un film a Bari. Ma di base ormai vivo a Roma. Però i miei figli l’hanno vissuto tanto, il campino, la carovana e appena posso li porto in Puglia.
Oggi con quale regista o attore vorresti lavorare?
Mi piacerebbe tornare a lavorare con Matteo Garrone, con cui ho girato Il racconto dei racconti. Avevo un piccolo ruolo, uno dei ragazzi circensi che aiutano la principessa a scappare dal gigante (ero il figlio di Ceccherini e Alba Rorwacher). Penso che Matteo sia il numero uno, per questo mi piacerebbe tornare a essere diretto da lui. E poi mi piacerebbe incontrare di nuovo quello che penso sia uno dei più grandi attori della nostra generazione, nonché un grande amico per me: Luca Marinelli.
Avete già lavorato insieme?
Ho avuto la fortuna di girare con lui Una questione privata, Lasciati andare. Pensa che ci siamo conosciuti ai provini di Non essere cattivo, ultimo film di Claudio Caligari. Ero nel cast iniziale, ma ero l’unico non romano e per quanto fossi molto voluto da Valerio Mastandrea alla fine è subentrato Borghi. Ma è stato giusto così, che il film lo facessero due attori romani.
Dove ti vedremo prossimamente ?
A parte Gerri, questa serie poliziesca in uscita in primavera, ci sono anche in uscita Muori di lei, di Stefano Sardo, con Riccardo Scamarcio, e Dedalus di Gianluca Manzetti con Matide Gioli e Francesco Russo. A febbraio, invece, dovrei cominciare a girare a Bari Cattiva strada, opera prima di Davide Angiuli. Sono fortunato, sono sua una scia positiva
In vacanza ovviamente mai albergo, solo camper?
Pensa che non ho mai passato un giorno in camper! Non fa per me. Noi abbiamo delle abitazioni che sono strutturate per viverci proprio, con veri sistemi fognari e veri bagni. In camper tutto è di plastica, che per un dritto non va bene: c’è dello snobismo, lo so…