Valanga Rosa, la storia mai raccontata che ha cambiato per sempre lo sci femminile

Adriana Riccomagno ci racconta del suo libro "Che storia! La Valanga Rosa", il primo in assoluto che parla di questo fenomeno sportivo e di riscatto femminile

Foto di Federica Cislaghi

Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

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Per la prima volta in un testo scritto viene raccontato il fenomeno della Valanga Rosa. A compiere questa ricostruzione è la giornalista Adriana Riccomagno che ha pubblicato per Cose Note Edizioni il libro Che storia! La Valanga Rosa, con prefazione del consigliere nazionale Ussi Matteo Contessa.

Tramite interviste ai protagonisti, resoconti e un’indagine storica, il libro racconta il percorso che – anche grazie alle battaglie per la parità di genere – a partire dalla seconda metà degli anni ‘70 ha portato le atlete italiane in vetta allo sci mondiale, a partire dalle medaglie olimpiche di Claudia Giordani e Paola Magoni. È il racconto di una storia italiana di successo che ha dato inizio a un percorso di straordinarie imprese sportive che prosegue ancora oggi.

Tutto questo ha un nome: Valanga Rosa. Si tratta del primo libro in assoluto che racconta il fenomeno Valanga Rosa, con le testimonianze di oltre venti protagonisti tra atlete e tecnici, comprese le medagliate olimpiche degli anni ‘70 e ‘80 Claudia Giordani e Paola Magoni e le campionesse della Storia più recente: Deborah Compagnoni, Federica Brignone, Sofia Goggia e Marta Bassino.

Adriana Riccomagno
Ufficio stampa - Cose Note Edizioni
Adriana Riccomagno

Adriana Riccomagno ci ha raccontato come è nata l’idea di questo libro e perché è importante dare risalto alla “Valanga Rosa”, anche in prospettiva delle Olimpiadi invernali 2026.

Che storia la Valanga Rosa è il titolo del tuo libro: come è nata l’idea di raccontare questa storia?
Con la mia famiglia frequentiamo da sempre Limone Piemonte. Mio marito è editore, io sono giornalista, e sulle piste della Riserva Bianca abbiamo sempre incontrato alcuni protagonisti storici della Valanga Rosa: l’allenatore Stefano Dalmasso, lo skiman “maestro Cocco” e Carlo Fiandrino, che poi seguì anche Debora Compagnoni. Tutti li indicavano come figure mitiche, ma quando abbiamo cercato libri sulla Valanga Rosa… non c’era nulla. Mentre sulla Valanga Azzurra si potrebbero riempire biblioteche intere, sulle donne niente. Così abbiamo deciso che questa storia andava raccontata. Abbiamo iniziato proprio da quei tre limonesi per arrivare a tutte le protagoniste, a partire dalla capitana Claudia Giordani.

Tra tutte le storie e le testimonianze raccolte, quale ti ha colpito di più?
La figura che emerge con più forza è quella di Claudia Giordani. Le altre atlete la citano spontaneamente in ogni capitolo: era un punto di riferimento non solo tecnico, ma etico. Non era “l’amicona”, come dicono loro, però era il faro della squadra. Non a caso ha poi intrapreso un percorso dirigenziale importante fino alla vicepresidenza del CONI. Sono state lei e altre come Daniela Zini e Ninna Quario a lottare per diritti basilari che oggi sembrano scontati: compensi dignitosi, sicurezza, riconoscimento professionale. Le atlete di oggi beneficiano di quel lavoro sotterraneo durato decenni. Il libro racconta l’evoluzione di questo sport in ambito femminile. Queste ragazze entravano nella Nazionale giovanissime a 13 o 14 anni e lasciavano tutto. Una volta che smettevano queste ragazze non si erano diplomate, non avevano contributi, non facevano parte di corpi militari… Dovevano reinventarsi una vita. Non avevano nessuna tutela, contrariamente agli atleti uomini.

Ma queste disparità di genere riguardava solo lo sci o tutto lo sport in generale?
In generale riguardavano tutto lo sport femminile. Il calcio, con figure come Evelina Christillin e Sara Gama, ha poi accelerato molto il percorso verso l’equo compenso. Negli anni Settanta, però, lo spazio mediatico dedicato alle donne era minimo. Prima della nascita della Valanga Rosa si parlava delle giovani sciatrici come “ragazzine dell’asilo”. Cose che oggi fatichiamo perfino a immaginare. La risposta arrivò il 28 novembre 1978, allo Stelvio: Ninna Quario vinse le World Series e sei italiane entrarono nelle prime dieci. Quel giorno nacque ufficialmente la Valanga Rosa.

Questa arretratezza era un fenomeno tipicamente italiano o comune anche agli altri Paesi europei?Alcune federazioni erano un po’ più avanti, tecnicamente e organizzativamente, ma il ritardo nello sport femminile era diffuso ovunque. Le atlete non erano abituate neppure ad avere pubblico. In molte testimonianze emerge un senso di pionierismo puro: uno skiman solo per tutta la squadra, allenatori che guidavano il pulmino e preparavano gli sci fino alle cinque del mattino, trasferte rocambolesche. Era davvero un altro mondo.

Guardando invece alle prossime Olimpiadi invernali, cosa possiamo aspettarci?
Gli infortuni di Brignone e Bassino pesano, anche se non è ancora certo che Brignone non gareggerà. Sono assenze che cambiano gli equilibri, ma possono aprire spazio a nuove protagoniste. Un po’ come accadde negli anni Settanta. La vera nascita della Valanga Rosa, infatti, avviene dopo un trauma: le Olimpiadi di Sapporo 1972. La squadra femminile era stata convocata e data praticamente per certa, poi una settimana prima la federazione comunica che non partirà nessuna. Atlete come Beba Schranz, che avevano pieno punteggio, si vedono togliere il sogno all’ultimo minuto. Il gruppo si ammutina: tutte si ritirano. A giugno si ritirano anche gli allenatori. La squadra italiana di sci alpino femminile, semplicemente, non esiste più. E da questo vuoto avviene il riscatto: nuovi allenatori vengono incaricati di cercare giovanissime talenti nelle gare di paese. Nasce così il gruppo che, nell’arco di un decennio, conquista tutto. Per questo dico che, senza drammatizzare gli infortuni attuali, la storia ci ricorda che i momenti critici possono diventare occasioni inattese per far emergere nuove atlete.

 

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