Ricominciare a vivere

Centodue sono i giorni in cui la vita della mia famiglia è stata messa in stand by, in cui c'è stata solo la speranza di sopravvivere a tutte le prove cui siamo stati sottoposti.

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Ritornare a vivere, ricominciarsi, voglia di normalità. Quante volte in questi giorni mi sono ripetuta queste frasi, come un mantra, per potermi dare la forza, per poter riuscire a liberarmi dall’ansia, per poter ricominciare anche solo a sperare di vedere quella famosa luce in fondo al tunnel. Centodue sono i giorni in cui la vita della mia famiglia è stata messa in stand by, in cui non ci sono stati festeggiamenti per Natale, ma solo la speranza di sopravvivere a tutte le prove cui siamo stati sottoposti. Infezione da citomegalovirus che aveva colpito tutti gli organi di mio marito, covid, un’emorragia interna con conseguente infarto del rene trapiantato, un intervento durato cinque ore il cui risultato era incerto, la terapia intensiva e, per non farci mancare nulla, un’ischemia transitoria, ho scoperto anche un nuovo nome, TIA (attacco ischemico transitorio), di cui, onestamente, avrei fatto volentieri a meno. Immaginate di venire dalle situazioni di cui sopra, di essere riusciti a ritagliarvi una notte solo per voi, davanti al mare della Toscana, in concomitanza di una trasferta del Mister, di aver appena disfatto le valigie, di esservi regalati una favolosa suite in offerta, immaginate di essere a cena per la prima volta dopo tanto, troppo tempo, e immaginate che improvvisamente e, ancora una volta, il destino si prenda gioco di voi, della vostra voglia di vivere e della vostra voglia di farcela.

Quando Luigi ha cominciato a dire di sentire uno strano formicolio nella mano destra ho pensato ad un affaticamento dei muscoli, quando mi ha detto di sentire come se la parte destra del viso fosse paralizzata, ho voluto fortemente credere che fosse solo un colpo di freddo, quando le sue parole hanno iniziato a non uscire, a non essere collegate con il pensiero, ho realizzato di essere di fronte ai sintomi di un ictus, anzi, sembrava proprio il manuale dei sintomi dell’ictus. Ecco in quel preciso momento ho creduto di non farcela, ho pensato che no, non fosse possibile, ancora una volta, ancora noi, ancora lui, eppure nonostante tutto, sono riuscita a rimanere lucida, sono riuscita a caricare il mio amore in macchina, e a portarlo in ospedale, che per fortuna, si trovava a soli due km dal nostro hotel. Sono anche riuscita a fare una descrizione accurata dei suoi sintomi e della presunta diagnosi al punto che Luigi è stato immediatamente ricoverato per sospetto ictus in corso, ed io, ancora una volta, sono rimasta fuori da quel pronto soccorso, in attesa di notizie, in attesa di una diagnosi certa, in attesa della vita. Dalle 23 alle 3:30 di notte, orario in cui sono tornata, da sola, in hotel e, finalmente, ho potuto piangere, guardando quel meraviglioso letto vuoto, i due bagni tirati a lucido, ed il mio cuore così profondamente ferito e sanguinante.

E una sola domanda, una domanda sola girava nella mia testa. Perché? Perché ancora una volta? Perché noi? Eh no, non sono riuscita a darmi una risposta, perché la verità è che una risposta non esiste, esiste solo il dolore, quello vero, quello che ti sconquassa l’anima e la vita, ho guardato quella suite che doveva essere il nostro inno alla rinascita e mi sono maledetta, maledetta sì, perché solo qualche ora prima avevo postato una foto sui miei social d noi due abbracciati con questa didascalia: “L’amore, conosci un altro modo per fregar la morte?“. Sono arrivata a pensare che la morte se la fosse presa, che avesse raccolto la mia affermazione trasformandola in una sfida, ho temuto che questa volta potesse davvero portarmelo via, come in quel film in cui alcuni ragazzi riescono a scampare alla caduta di un aereo e a sopravvivere, beffando in qualche modo il destino, e quest’ultimo invece di accettare la sconfitta, tornasse a reclamare quelle che ritiene le sue anime, uccidendoli uno per uno. Sì sono arrivata anche a pensare questo, a pensare di non scrivere più sui miei social, di non aggiornare più la mia adorata community, che tanto mi aveva dato in termini di supporto ed affetto, ho pensato che forse la condivisione della malattia non portasse a nulla di buono e l’ho anche messo nero su bianco, ma sono stata travolta, ancora una volta, da un’ondata di affetto così grande, che ho deciso di continuare a farlo.

Perché la vita vera è proprio questa, quella in cui cadi mille volte, e ti rialzi mille una, quando credi di aver esaurito la forza, e la forza viene a prenderti per mano, quando rimani bloccata per tre settimane lontana dai tuoi figli, e la famiglia dei tuoi amici, quella che ti sei scelta negli anni, viene a prenderti in quella che tu chiami casa, anche se è solo un piccolo appartamento in affitto dietro all’ospedale, per farti mangiare, quella che ti telefona per farti piangere, sfogare e darti la spinta per tornare a combattere. Quella che tra un cappuccino e un aperitivo rimette a posto i tuoi pezzi, perché tu possa aggiustare quelli del tuo amore e quelli del tuo nucleo familiare, quella che tu non hai voglia di parlare e riesce ad ascoltare i tuoi silenzi, capendoli fino in fondo. E allora piano, piano, un passo alla volta, ho continuato a fare quello che ho sempre fatto. Vivere e raccontare, che forse è la cosa che mi riesce meglio, osservare la vita degli altri mescolandola alla mia, riuscendo a trovare il bello anche in una situazione drammatica, annusando il profumo del mare seduta su uno scoglio a Marina di Massa, mentre le mie lacrime scendevano silenziose, per la tanta bellezza e per il troppo dolore, passeggiando nel giardino dei Miracoli a Pisa, chiedendone uno anche per noi, lasciandomi trascinare dalla maestosità della Torre, e dalla storia dei suoi vicoli, che conosco come le mie tasche, avendoci abitato per sedici anni.

Che alla fine sono riuscita a trascorrere ventun giorni nella mia adorata regione, quella che mi ha vista nascere e diventare una donna, quella che mi ha spezzato il cuore per poi riempirmelo d’amore, quella che mi ha vista diventare mamma per due volte e moglie una sola, quella che mi ha vista piangere davanti alle parole di un medico che diagnosticava l’insufficienza renale a Luigi, per poi tornare a sorridere dopo il trapianto. Sono riuscita a riabbracciare amiche che non vedevo da tanto, troppo tempo, ho mangiato quantità industriali di sfoglie al riso e schiaccine con la cecina, ed ho capito, ancora una volta, che nessun posto sarà mai come la propria casa, ma che con una famiglia di amici, anche una piccola stanza in affitto riuscirà a restituirti tanto di quell’amore che mai avresti immaginato. Ed io voglio restituire una parte di quell’affetto a Chiara Ferragni e a Federico, che, in questo momento, stanno affrontando la prova più difficile della loro vita, perché io in quegli occhi mi ci sono riconosciuta, perché ti puoi sforzare di sorridere, anche quando dentro sei a pezzi, ma gli occhi, quelli che non mentono mai. Forza ragazzi siamo tutti con voi.

Grazie a tutti i miei amici, senza di voi, questa volta, forse, non ce l’avrei fatta.