Il legame tra chi nasce e chi muore: la leggenda dell’isola di Tuma

C'è una credenza secondo la quale ogni nascita, e quindi ogni nuova vita, inizia con la morte di un altro individuo. E non è l'unica

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Nascita, morte e ciclo vitale affascinano da sempre tutti noi. Ci sono gli scienziati che, basandosi su fonti certe, hanno tratto quelle conclusioni che tutti conosciamo: dallo sviluppo biologico, che avviene con la fecondazione, fino alla morte. Ci sogno gli antropologi e i sociologi che invece hanno scavato nelle credenze più antiche e lontane, per riportare in auge dei pensieri affascinanti che sono lontanissimi da tutto quello che conosciamo.

C’è ancora oggi, in un Paese molto lontano una “leggenda” – se così possiamo chiamarla – che si perpetua come una favola della buonanotte da raccontare ai bambini e che, in passato, si è trasformata in una vera discussione di dibattito a seguito delle pubblicazioni dell’antropologo e sociologo Bronisław Kasper Malinowski all’interno del quale veniva menzionata la leggenda dell’Isola di Tuma.

Una leggenda legata a un pensiero selvaggio e affascinante attribuito ai Trobriandesi, abitanti delle Isole Trobriand, oggi ufficialmente note come Isole Kiriwina, e a una visione di un paradiso trascendentale che rappresenta il fulcro del nesso tra morte e vita, intrinsecamente legate tra loro.

La leggenda dell’Isola di Tuma

Interrogarsi sul mistero della vita, teorizzare quello che accade, darsi delle spiegazioni su tutto le cose non visibili ai nostri occhi, è quello che facciamo tutti. Il pensiero dei Trobriandesi però è davvero affascinante e non c’è nulla nella cultura occidentale di paragonabile a questo.

A portarlo alla luce è stato appunto l’antropologo Malinowski, in una delle sue più importanti monografie di questa cultura: Gli argonauti del Pacifico occidentale. All’interno di questa pubblicazione (è suo il merito di aver fatto conoscere in occidente gli abitanti delle Trobriand), l’antropologo, analizza le credenze della cultura dei Trobriandesi rispetto all’accoppiamento e alla funzione riproduttive di questa civiltà. Ma c’è un aspetto ancora più affascinante e inedito che ha colpito la nostra attenzione, e riguarda l’importanza che la tribù dà alla vita, dopo la morte.

Una premessa è doverosa: i Trobriandesi non hanno paura della morte perché credono in una vita dopo di questa, condotta dai loro stessi spiriti. Secondo una leggenda, una volta l’anno, questi fanno visita ai loro villaggi in occasione della festa milamala.

Ma dove vivono questi spiriti durante il resto del loro tempo? Rispondendo a questa domanda emerge una verità affascinante e lontana anni luce da tutto quello che conosciamo e che possiamo riassumere nella leggenda dell’isola di Tuma. Secondo la civiltà, infatti, ogni nascita – e quindi ogni nuova vita – inizia con la morte di un altro individuo.

La versione poetica di questo ciclo vitale secondo i Trobriandesi trova il suo punto di riferimento sulla piccola isola di Tuma, il paradiso delle Trobiand. Qui, giungono gli spiriti dopo la morte. Sempre qui, conducono una vita molto simile a quella che avevano sulla terra, ma molto più piacevole tra i colori e i profumi della natura selvaggia. Un Eden, in ogni senso, che non crea alcuna nostalgia terrena.

Ma è qui, che si perpetua la vita in quella visione primitiva e quasi magica. Una volta che il defunto si reca a Tuma, può restare sull’isola fino a quando vuole, per poi tornare indietro. Quando lo spirito, infatti, sentirà questo desiderio, potrà recarsi al mare e lasciarsi cullare dalle onde del mare, fino a quando lo spirito di una futura madre lo vedrà, e lo accompagnerà nel grembo della donna. Così, egli rinascerà.

Ne emerge quindi una verità che non lascia spazio all’immaginazione: nascita e morte sono strettamente correlate e la seconda è necessaria per far fiorire la vita.

Il nesso tra nascita e morte nelle altre culture

Ma quella dei Trobriandesi, non è l’unica credenza che pone al centro di ogni cosa il legame tra la morte e la nuova vita. Un interessante saggio antropologico pubblicato da Riccardo Bosi su Olos e Logos, mette in rassegna tutta una serie di credenze che restituiscono il medesimo schema, pur con delle sfaccettature.

L’etnia Tamil, minoranza che vive nello Sri Lanka, il 27 novembre celebre il giorno dei maaverar, ovvero gli eroi caduti durante le battaglie per la libertà. A differenza degli altri corpi che solitamente vengono bruciati, questi sono sepolte in un luogo che prende il nome tuillam illam. Si tratta delle “case del sonno” – giardini lussureggianti e curatissimi – all’interno dei quali gli eroi possono riposare.

La credenza vuole che, i maaverar, in realtà, non sono morti, ma stanno soltanto riposando, dormendo. E non perché debbano resuscitare, ma perché è da loro che nasceranno altri eroi. La morte, quindi, segna l’inizio di nuove vite.

Anche in Benin, nella tribù tangba, possiamo trovare l’analogo nesso tra nascita e morte. In questo caso è credenza diffusa pensare che sono gli antenati a produrre bambini, o comunque a farli nascere, anche quando non sono più su questa terra. La morte, nelle tribù del Benin, è paragonabile alla natura e al corso delle stagioni: quando i frutti maturano e cadono, lasciano a terra i nuovi semi. Così, le persone che muoiono lasciano la più grande e preziosa eredità di sempre, quella di una nuova nascita. E il ciclo vitale può fare il suo corso.

La morte come rinascita

La leggenda dell’isola di Tuma, così come le credenze di alcune tribù, non ha nulla a che fare con la reincarnazione. C’è un collegamento stretto e indissolubile tra morte e nascita, che però non si traduce nella trasmigrazione dell’anima che, una volta svincolata dal corpo di appartenenza, finisce in un altro.

Nei casi che abbiamo analizzato sopra, non solo c’è una continuità che si perpetua in una sorta di loop infinito, ma si tratta di un vero e proprio passaggio necessario per far sì che il ciclo vitale si compia. Come se la morte fosse uno step da raggiungere e completare, per fare la possibilità a una nuova vita di nascere.

Teorie queste che sicuramente richiamano il ciclo vitale biologico, che riguarda tutte le creature viventi di questo mondo, ma che non considerano la nascita e la morte come due eventi slegati, come il punto di partenza e il punto di arrivo dei singoli individui, no. Qui tutti fanno parte di “tutto” e diventano protagonisti del ciclo della vita proprio attraverso la morte, un rito di passaggio necessario a creare nuove vite.