L’elenco delle lettere si allunga. Dopo la A, di natura alimentare, la B e la C, ora si parla anche di epatite delta. Il virus che la causa è un difettivo, ed è stato scoperto nel 1977 da uno studioso italiano, Mario Rizzetto. Cosa significa? Che il ceppo ha bisogno di un altro virus, il B, per riprodursi, svilupparsi e creare problemi al fegato. Il punto su questa patologia e sulle possibili cure viene fatto al primo Congresso Internazionale per la cura dell’epatite Delta – il Delta Cure International Meeting – organizzato a Milano da Pietro Lampertico, Professore Ordinario di Gastroenterologia all’Università di Milano e Direttore dell’Unità di Gastroenterologia e Epatologia del Policlinico di Milano.
Terapie mirate per l’epatite delta
Il virus dell’epatite delta è un virus molto particolare: si tratta infatti di un virus difettivo, che ha bisogno di una porzione di un altro virus, quello dell’epatite B, per potersi replicare. “Quando parliamo di pazienti con epatite Delta, quindi, parliamo sempre di persone che hanno già un’altra epatite virale, l’epatite B. Nel mondo si ritiene che circa il 5% di tutti i soggetti con l’epatite B abbiano anche l’epatite Delta, in numeri assoluti tra i dieci e i venti milioni – spiega Lampertico”.
L’epatite Delta ha anche un’altra caratteristica, legata alla storia naturale dell’infezione: questa forma di epatite è estremamente aggressiva. La probabilità che i pazienti con epatite Delta sviluppino una cirrosi, uno scompenso epatico, un’insufficienza epatica, il tumore primitivo del fegato o debbano essere trapiantati è molto più elevata rispetto ai pazienti che hanno la sola epatite B o, per esempio, per confronto, la sola epatite C.
Di fronte a questa malattia aggressiva la medicina è stata a lungo senza strumenti: “Negli ultimi trent’anni non abbiamo avuto alcun farmaco specificamente dedicato, e approvato da FDA o EMA, per questa malattia”, sottolinea ancora Lampertico “La grande novità di questi ultimi due anni, ma soprattutto dell’ultimo anno, è la disponibilità, per la prima volta in Europa, di un farmaco approvato da EMA, che si chiama bulevirtide, che è un entry inhibitor, che blocca l’entrata del virus delta all’interno delle cellule epatiche. Durante il congresso parleremo di questo farmaco ma anche di studi di fase 3 in corso con altri farmaci con un meccanismo d’azione diverso, e quindi potenzialmente complementari. E poi delle molecole in studio per pazienti HBV (cioè positivi per virus B dell’epatite) monoinfetti che potrebbero essere efficaci anche nei pazienti con epatite delta”.
Importante scoprire il virus
Il Congresso rappresenta un’occasione unica per presentare le novità in tutti i campi legati all’epatite delta, tra cui la diagnostica. “Purtroppo, il test con cui si identifica il materiale genomico circolante del virus HDV (HDV RNA) non è diffuso su tutto il territorio ed è al momento possibile solo in alcuni centri in Italia; inoltre, non in tutti i pazienti HBsAg positivi viene controllata la presenza del virus dell’epatite Delta mediante ricerca degli anti-HDV – sottolinea Lampertico. “Ecco perché è importante, anche dal punto di vista diagnostico, condividere tutte le informazioni disponibili e la necessità di una diagnosi più accurata”.