#SegretiDelCuore

Ho subito catcalling ma non sono riuscita a reagire

Quando un gruppetto di ragazzi ci rivolge commenti sfacciati, pesanti e beffardi mentre camminiamo in strada, ci sentiamo spaventate e indignate. Ecco come si può reagire al catcalling (senza rischiare)

Marina Mannino

Giornalista

La settimana scorsa andavo a piedi verso il centro per fare una passeggiata con le amiche. Sono passata davanti a dei ragazzi seduti sui motorini, credo della mia età, e hanno cominciato a parlarmi con tono canzonatorio: “Che fai tutta sola qui? Dai bella, ti accompagniamo noi!” e altre cose che non scrivo. Io non sono riuscita a dire o fare niente mentre loro se ne sono andati ridendo e urlando “Cretina, ma chi ti redi di essere!”. Ma perché i ragazzi si possono permettere di fare queste cose? E cosa avrei dovuto fare io? Forse è stata colpa mia, che indossavo gli shorts di jeans e una magliettina corta? Ma faceva caldo e poi tutte le ragazze della mia età (ho 16 anni) si vestono così.

Marea

Il fenomeno del catcalling – ovvero l’atto di rivolgere ad alta voce a una donna commenti molesti e sessualmente allusivi, minacciosi o derisori – è antico quanto il mondo anche se l’uso di questo termine, nell’accezione che conosciamo, esordisce solo nel 1956 in America, mentre in Italia arriva intorno al 2013. Il significato è “richiamo del gatto”, ovvero quel suono che facciamo con la bocca, come una serie di bacini ravvicinati, quando chiamiamo i mici di zona.

Al di là delle informazioni linguistico-semantiche, dobbiamo riconoscere che da sempre i maschi hanno questa specie di spirito di corpo che li porta a unirsi per lanciare apprezzamenti più o meno pesanti alle ragazze di passaggio, con un corollario di fischi, gesti, ammiccamenti, risate sguaiate, giudizi volgari, insulti. Sarà un ancestrale istinto predatorio che li spinge a cacciare in branco? Oppure una forma socialmente tollerata di diritto maschile sulle donne, che per secoli sono state costrette – da convenzioni educative e culturali radicate nel tempo – a subire senza protestare? Chissà. Di sicuro sappiamo che se al catcalling seguono episodi negativi per la donna, troppo spesso tocca a lei, che è la vittima, dimostrare di non essere stata incauta o troppo vistosa.

Se prendono di mira proprio noi

Messa così sembra una strada senza uscita, una specie di inevitabile effetto collaterale dell’arroganza, la maleducazione e il sessismo di una parte degli uomini e dei ragazzi. E invece no, perché a questo atteggiamento si può reagire.

Come? Insegnando – a partire dalla famiglia – il senso del rispetto verso le donne e l’educazione nei rapporti interpersonali, che non possono prescindere dal consenso. È una strada lunga, ma si può percorrere. Nel frattempo, cerchiamo di capire cosa fare quando il catcalling prende di mira proprio noi.

Vogliono metterci a disagio

Molto spesso i catcaller agiscono in gruppo e il loro bersaglio è una ragazza da sola. Il loro intento è di divertirsi a spaventarla o a metterla in imbarazzo. Il più delle volte ci riescono, perché quando siamo oggetto di commenti volgari, fischi, insulti e minacce proviamo paura e disagio. Quei ragazzi che ci urlano dietro potrebbero spingersi oltre? Infastidirci fisicamente? Aggredirci? Derubarci o peggio? Le ipotesi peggiori si susseguono nella nostra mentre mentre acceleriamo il passo.

Se proviamo paura

Cerchiamo di stare calme: di solito di tratta di un gruppo di giovani “tacchini” che si sentono forti nel gruppo, ma non vanno oltre. Quindi continuiamo a camminare con lo stesso passo, senza affrettarci e senza degnarli di uno sguardo. D’altronde essere ignorati per loro è un’abitudine: quale ragazza potrebbe mai fermarsi perché si è sentita lusingata da quella serie di stupidaggini che dicono? Piuttosto, controlliamo se ci sono altre persone intorno a cui eventualmente chiedere aiuto – anche se purtroppo non è sempre scontato che la gente abbia voglia di esporsi per difendere una ragazza.

Se proviamo vergogna

Ovvio che non abbiamo nessun motivo di vergognarci. Semmai sono i catcaller a doversi vergognare – cosa che accadrà molto difficilmente. È una sensazione che dobbiamo ricacciare indietro, perché non c’è nessuna vergogna ad essere delle belle ragazze, vestite bene, brillanti, intelligenti, sicure. Stoppiamo quella vocina interiore che ci sussurra “è colpa tua, hai messo gli shorts troppo corti, la maglietta aderente… è colpa tua, li stai provocando…”.

Non è affatto colpa nostra o di come siamo vestite: i molestatori si comportano male a prescindere dall’outfit di una ragazza e fischierebbero anche ad una tipa che passasse indossando una tuta da astronauta! Ogni ragazza ha il diritto di avere il look che preferisce e non saranno le frasi volgari di un estraneo a metterlo in discussione. Procediamo con indifferenza e i molestatori la pianteranno.

Se ci sale la rabbia

È comprensibile che di fronte ad un apprezzamento, a una minaccia o a un insulto, vorremmo rispondere per le rime, anche in maniera “dura”. Dopo il primo momento di sconcerto e timore, l’istinto è quello di dirgliene quattro. Attenzione: se siamo in un luogo dove ci sono anche altre persone, potremmo anche farlo, ma non contiamo sull’aiuto scontato di qualcuno, in caso di una reazione pericolosa dei bulletti. È meglio quindi non replicare al catcalling: allontaniamoci con calma, in silenzio. Sbolliremo la rabbia raccontando l’episodio a un’amica che saprà capirci e confrontarsi con noi.

Due mosse furbe

Se le cose si mettono male, infiliamoci in un bar, in un negozio e comunque avviciniamoci ad altre persone. Oppure tiriamo fuori il cellulare per chiamare qualcuno: parliamo ad alta voce dicendo con tono fermo cosa ci sta accadendo e che tra due minuti l’interlocutore sarà lì. Vederci parlare potrebbe scoraggiare i bulletti da strada che smetteranno di infastidirci, temendo che magari stiamo parlando con un amico poliziotto campione di Krav Maga! Comunque memorizziamo il 112, numero unico gratuito del Servizio di Emergenza. Se ci sentiamo minacciate dai molestatori chiamiamolo senza indugi: un’auto dei Carabinieri può arrivare in un attimo.